Grandi mostre. 5
Raffaello Sanzio e i suoi maestri a Bergamo

UN ARTISTA
IN FORMAZIONE

Dal San Sebastiano, capolavoro giovanile di Raffaello, prende avvio la mostra realizzata da Fondazione Accademia Carrara e ospitata presso Gamec - Galleria d’arte moderna e contemporanea qui illustrata da uno dei curatori. Occasione di riscoperta dell’artista urbinate colto nel momento in cui andava formando il suo gusto e lo stile e messo a confronto con i suoi maestri.


Emanuela Daffra

Un viso giovane e intatto, incorniciato da una ricca capigliatura castana, domina un paesaggio azzurro che a destra si indora. Il ragazzo non ci guarda, come se inseguisse una fantasticheria personale. Sono soltanto l’aureola sottile e la freccia sorretta con grazia distratta a dirci che non si tratta di un paggio elegantissimo, ma del martire Sebastiano, raffigurato qui in un momento in cui sembra presentire il suo destino.

È uno dei dipinti giovanili meno noti di Raffaello. Perfino la critica più recente è scarna e ripetitiva, malgrado sia una delle gemme indiscusse dell’Accademia Carrara di Bergamo e un oggetto raffinato. La forma del supporto infatti lascia indovinare che in origine era dipinto anche sul retro, imponendo a chi volesse comprenderlo una visione a tutto tondo, ora impossibile. Perciò se le mostre devono alimentare il gusto della scoperta che si fa conoscenza non stupisce che la programmazione varata dalla Carrara nell’estate 2016 ne abbia prevista una che ha nel cuore, letteralmente, il San Sebastiano (Raffaello e l’eco del mito, fino al 6 maggio). Nelle sale di Gamec - Galleria d’arte moderna e contemporanea di Bergamo sono sette sezioni più una, con il dipinto del San Sebastiano (1502-1503) che compare nella quinta, a ribadirne la centralità rispetto alle piste di ricerca che da lui partono.

Sette sezioni più una che aggiungono, ciascuna, un tassello alla conoscenza di un artista considerato fondamentale nell’universo delle arti figurative ancora prima della sua morte (1520).

Sette sezioni che si muovono lungo due direttrici temporali dettate dal dipinto stesso: ante 1504, anno del trasferimento di Raffaello a Firenze e simbolica conclusione della sua fase formativa; 1819-1866, periodo che va dalla prima notizia sul San Sebastiano al suo arrivo all’Accademia Carrara. Più una sezione che dal Novecento arriva fino ai giorni nostri, progettata da Giacinto Di Pietrantonio, uno dei curatori della mostra.

Urbino e il padre si confermano i primi e fondamentali pilastri della sua formazione


Poiché il dipinto è variamente datato entro il 1504 esso diventa prima di tutto la cartina di tornasole per rileggere la formazione di Raffaello, sulla quale non si hanno dati certi. Figlio di Giovanni Santi, pittore con ambizioni letterarie, resta orfano a undici anni nel 1494 ed eredita con la bottega paterna una rete di rapporti artistici e di collaborazioni. Urbino e il padre si confermano i primi e fondamentali pilastri della sua formazione.

Non a caso fino al termine della sua giovane vita Raffaello si firmerà «Urbinas», urbinate. La nitida città affacciata sullo strapiombo che ancora oggi ci incanta, grazie a Federico da Montefeltro era divenuta un centro fecondo della cultura rinascimentale, dove si incrociavano i linguaggi artistici più nuovi e diversi. Un’autentica palestra in termini di apertura mentale per un giovane attento.

Ma importante, anche se sottotraccia è l’eredità di Giovanni Santi. Le sue opere, spesso disomogenee per la presenza di mani diverse sotto un’unica regia insegnano a Raffaello - che diventerà un autentico imprenditore - l’importanza di una bottega ben organizzata. Le loro superfici lustre realizzate con leganti diversi nascono da modi di operare che passeranno nel bagaglio tecnico del figlio.


Giovanni Santi, Erato (1482-1485), Firenze, Galleria Corsini.


Bernardino di Betto detto il Pintoricchio, Madonna della pace (1495 circa), San Severino Marche (Macerata), Pinacoteca comunale Tacchi Venturi.

Nelle Muse i distici latini che corrono sotto le figure ci ricordano come Giovanni incarnasse il modello, ancora insolito nel Quattrocento, di pittore colto, aggiornato, capace di scrivere e verseggiare, che anche Raffaello farà proprio.

Il San Sebastiano però nei raffinati decori delle vesti, nella sua aria mondana e dolcemente svagata, attesta anche l’importanza di Pintoricchio, in mostra con opere dove rilievi in oro quasi tardogotici si mescolano con colte citazioni all’antica. E ci rimanda un’eco del Perugino migliore, quello che con opere dall’«aria angelica e molto dolce», come le descriveva nel 1494 un informatore di Ludovico il Moro, giocherà un ruolo cruciale nell’aprire alla pittura un mondo di morbida verità.

In questo “ritratto di un grande talento da giovane” i fogli raccolti nel cosiddetto Libretto veneziano con le loro copie da opere antiche e moderne aggiungono una ulteriore pennellata, mettendoci davanti agli occhi i materiali usati in bottega e gli ideali interlocutori di Raffaello in un dialogo formativo.

Percorrendo le sale si può misurare a colpo d’occhio la sua rapidissima maturazione a partire dalla prima opera documentata, la Pala Baronci per Città di Castello (1500-1501). È parlante il confronto eccezionale tra due predelle, l’una collegata in ipotesi a questa prima fatica, l’altra appartenente alla Pala Colonna (1503), per giungere al San Michele realizzato dall’artista per la corte di Urbino prima di trasferirsi a Firenze. Tra bagliori di incendi e mostri infernali alla Bosch, al centro dell’azione è il giovane arcangelo che affonda nello spazio, dinamico fratello del san Sebastiano e come lui distaccato, in miracoloso equilibrio tra eleganza studiata e convincente naturalezza. Naturalezza che è una conquista e presuppone l’intreccio di fili, anche iconografici, diversi.


Raffaello Sanzio, San Michele (1503-1504), Parigi, Musée du Louvre.

Il “nostro” San Sebastiano ha i suoi progenitori ideali nelle pitture devozionali fiamminghe


Il “nostro” San Sebastiano ha i suoi progenitori ideali nelle pitture devozionali fiamminghe con i santi nel paesaggio incrociate con i ritratti su fondo di paese, così come li aveva fomulati Memling, e con i busti di santi in abiti moderni. Proprio per Urbino, Perugino realizza una Maddalena tanto distante dai cliché consueti da essere stata interpretata come «ritratto in veste di Maddalena». Ipotetici “ritratti in veste di san Sabastiano”, anch’essi plausibili suggestioni per la tavola bergamasca, hanno visto invece la luce in Lombardia nella cerchia di Leonardo da Vinci. Sono elegantissimi «zovini con la friza in mano» - per usare l’espressione che compare nell’inventario dei dipinti in casa di Cristoforo Lattuada del 1511 -, dove il soggetto religioso è quasi in sordina rispetto al tema petrarchesco e neoplatonico dell’Amore come dardo doloroso, cantato nella lirica cortigiana del tempo.

È su di un simile sfondo fatto di raffinata cultura letteraria, religiosità che fugge gli aspetti più ovvi, capacità di letture complesse che dobbiamo porre la realizzazione del San Sebastiano, del quale conosciamo almeno una replica. Senza aureola.


Ma veniamo al “secondo tempo” della mostra. È il 1819 quando la tavola di Bergamo si impone sulla scena storico-artistica, dopo essere passata dalla famiglia Zurla di Crema nelle mani del milanese Giuseppe Longhi. Nel 1833 uno Zurla, il cardinale Placido, appartenente a un ramo altro della medesima famiglia cremasca, sarà tra i promotori della ricerca delle spoglie di Raffaello al Pantheon, che susciterà autentico entusiasmo popolare. In quei primi decenni del XIX secolo due dipinti di Raffaello giovane entrano nella collezione bresciana del conte Tosio e il conte Lochis acquista nel 1836 il San Sebastiano che poi arriverà all’Accademia Carrara. Sono gli anni in cui i nazareni riscoprono la produzione iniziale dell’artista e ne rileggono la biografia che viene narrata per iscritto(*) e dipinta nei suoi episodi salienti.

Tra di essi, essendo Raffaello, come scrisse Vasari, «persona molto amorosa e affezionata alle donne, dedito fuori di modo ai piaceri amorosi», un posto speciale ebbe il leggendario amore per la Fornarina, che in mostra si può godere prima in vere e proprie ricostruzioni storiche condotte con cura filologica e poi condensato in “istantanee” ricche di pathos, dove le intenzioni didascaliche naufragano davanti alla forza dei sentimenti. La storia arretra sullo sfondo e prevalgono i colori leggendari del mito.

Pietro Vannucci detto il Perugino, Maddalena (1500 circa), Firenze, palazzo Pitti, Galleria palatina.


Hans Memling, Ritratto d’uomo (1480 circa), Venezia, Gallerie dell’Accademia.


Giovanni Antonio Boltraffio, Giovane in figura di san Sebastiano, (1496 circa), Mosca, Museo Puškin.

Ma la storia accampa nuovamente i suoi diritti nel corso del Novecento. La sezione prende le mosse dal Raffaello simbolo di ogni accademia e ogni tradizione costrittiva rifiutato dalle avanguardie per passare poi al Raffaello visto come essenza di un mondo che aveva posto nell’uomo il centro e la misura delle cose o a quello che è l’inevitabile riferimento per gli interrogativi sull’identità dell’artista e del suo fare.

Per arrivare a un artista come Giulio Paolini che conclude (provvisoriamente) il suo confronto ormai decennale con Raffaello realizzando un’opera che sostituisce nelle sale del museo il San Sebastiano transitato in mostra e che ancora una volta sottolinea, da par suo, la continuità dialettica e feconda del dialogo tra antichi e moderni.


Francesco Valaperta, Raffaello e la Fornarina (1866), Varese, castello di Masnago Civico Museo d’arte moderna e contemporanea.

(*) Per esempio in J. D. Passavant, Rafael von Urbino und sein Vater Giovanni Santi, Lipsia 1839-1858.

Raffaello e l’eco del mito

Bergamo, Gamec - Galleria d’arte moderna e contemporanea
a cura di Emanuela Daffra, Maria Cristina Rodeschini
e Giacinto Di Pietrantonio
fino al 6 maggio
orario 9.30-19, chiuso martedì

catalogo Marsilio - Electa
www.raffaellesco.it

ART E DOSSIER N. 352
ART E DOSSIER N. 352
MARZO 2018
In questo numero: GIO PONTI OGGI La chiesa abbandonata; Un design senza tempo. SPAZI D'ARTE L'isola di Hombroich; Tefaf a Maastricht. IN MOSTRA I volti di Menazzi Moretti a Matera; Arte e psiche a Ferrara; I napoletani ''parigini'' a Napoli; Raffaello a Bergamo; Tessuto e ricchezza a Firenze; Perù preincaico a Parigi.Direttore: Philippe Daverio