Studi e riscoperte
Figlie d’arte: Elisabetta Sirani

PITTRICE
E MAESTRA

Morta a soli ventisette anni, Elisabetta Sirani si è cimentata sia nei soggetti sacri sia nella raffigurazione di donne forti ed eroine storiche, simbolo della sua indole coraggiosa e determinata. Non a caso, ammalatosi il padre, la pittrice assunse le redini della sua bottega d’artista e fondò la prima scuola europea femminile di disegno.


Marilena Mosco

«Lusingando l’orecchio con l’arpa mostravasi vaga di maneggiare sull’arpa le linee armoniose di Apollo lei che sapeva emulare sulle tele tutte le linee colorite di Apelle»(1).

Figlia di Giovanni Andrea Sirani, tra i più fedeli seguaci di Guido Reni e creatore di un’attivissima bottega d’arte frequentata dalla migliore società bolognese, Elisabetta (1638-1655) ebbe la fortuna di ereditare dal padre la passione del dipingere mostrandosi, come scrisse Cesare Malvasia «ardita e animosa, operando in un modo che ebbe del virile e del grande, superando quasi anche il padre»(2). Colpisce quanto scrive Malvasia riguardo il «modo virile», significativo del pregiudizio largamente diffuso a quei tempi, che il genio fosse naturalmente virile, e non femminile. Fu Malvasia a incoraggiare il talento naturale di Elisabetta che, a differenza della Tintoretta e della con terranea Lavinia Fontana, non fu avviata e aiutata dal padre, piuttosto riluttante, pronto ad approfittare del di lei successo per inglobarne i guadagni nel patrimonio familiare a tal punto che Elisabetta «di soppiatto e senza saputa del padre dipingeva testicciole e picciole figurette in rame e perlopiù Madonne le più belle dopo quelle del gran Guido»(3).

Tipica di Elisabetta era la «sveltezza nel tratteggiare le figure e nello schizzarle ad acquerello tanto che la sua invenzione si poteva dire senza segni disegnata, ombrata ed insieme lumeggiata tutta in un tempo»(4); se ne ebbe la prova nel Battesimo di Cristo, accostato nella certosa di Bologna al Cristo in casa del fariseo di Giovanni Andrea Sirani, che mostra come la maniera neoveneta, assimilata dal padre in un contesto classicista di stampo reniano, si carichi di più audaci contrasti luministici e di una più ampia partitura spaziale.

(1) Orazione funebre del Piccinardi, in C. C. Malvasia, Felsina pittrice. Vite dei pittori bolognesi (1678), Bologna 1971, p. 612.

(2) Ivi, p. 606.

(3) Ivi, p. 614.

(4) Ivi, pp. 615-616.

La maniera neoveneta assimilata dal padre si carica dei più audaci contrasti luministici


Nel 1661 quando il padre non poté più reggere il pennello per un’artrite deformante, Elisabetta assunse la direzione della bottega paterna e istituì, prima in Europa, una scuola di disegno per ragazze, nuova nel suo genere in quanto permetteva alle fanciulle di studiare nei disegni e nelle stampe di casa Sirani l’anatomia maschile, essendo loro vietato l’ingresso nell’Accademia del nudo. La lezione di Elisabetta si rivelava proficua anche per le sorelle e per la discepola preferita Ginevra Cantofoli che in questo cenacolo cantavano, suonavano e dipingevano.

L’attiva partecipazione di Elisabetta alla vita culturale della città felsinea è stata messa in luce in questi ultimi anni da mostre e pubblicazioni come l’esauriente libro di Adelina Modesti(5), che offre uno spaccato interessante della Bologna del tempo nonché un’attenta lettura delle opere di Elisabetta, in parte annotate, firmate e datate dall’artista stessa.


La Giustizia, la Carità e la Prudenza (1664), Vignola (Modena), Comune.

Dalla Madonna del latte (Modena, Banca popolare dell’Emilia Romagna), dipinta su un modello di Guido Reni, alla Madonna col Bambino e san Giovannino (Pesaro, Musei civici), che echeggia la prima maniera di Guercino e di Cignani, si snoda la parabola delle opere di soggetto sacro; a queste si accostano quelle profane, spesso dettate da commissioni di personaggi illustri, come Leopoldo de’ Medici, per cui fu dipinta l’allegoria delle tre virtù ideali del governo di casa Medici.

Sempre per un altro membro di casa Medici, Cosimo III, che aveva onorato personalmente lo studio della Sirani, fu eseguito il delizioso quadretto con l’Amorino trionfante in mare (Amorino Medici, in collezione privata) citato nella lista dei lavori redatta dall’artista come opera «per la gran Principessa Margherita con sei grossissime perle che figurano l’arma dello sposo e alludono al di lei nome».

Ma i dipinti più originali di Elisabetta sono quelli raffiguranti donne forti, i personaggi della storia romana che nelle Vite di Plutarco si distinsero per coraggio e dignità in confronto agli uomini di valore: è il caso di Porzia (Houston, Miles Foundation), moglie di Bruto dipinta nel gesto di ferirsi a una gamba per dimostrare al marito, tirannicida, che anche le donne sono capaci di atti di coraggio. Un altro personaggio attinto dalla Vita di Alessandro Magno di Plutarco è Timoclea (Timoclea uccide il capo dei traci, Napoli, Museo nazionale di Capodimonte) che si vendica del suo violentatore attirandolo con la scusa di un tesoro nascosto nel pozzo per poi farlo sprofondare dentro con audacia e con forza.


Luigi Martelli, Autoritratto di Elisabetta Sirani in atto di dipingere il padre (1835), Bologna, Biblioteca comunale. Incisione ricavata da un autoritratto della Sirani esistente nell’allora Galleria Hercolani di Bologna.


Madonna del latte (1658), Modena, Banca popolare dell’Emilia Romagna.


Madonna con Gesù Bambino e san Giovannino (1664), Pesaro, Musei civici.

Pur non essendo stata oggetto di violenza come Artemisia Gentileschi, la Sirani, vergine per scelta non per destino, si identifica con Timoclea. Donne forti, eroine della storia, che rispetto alla visione corrente di una Elisabetta sdolcinata, pittrice di Madonne e santi, offrono un altro volto, quello di una donna conscia del proprio valore, abituata a firmare le sue opere, a elencarle una a una e a tenere aperta la porta del suo studio sulla via Urbana di Bologna per mostrare che era lei e non suo padre a eseguirle.


Significativo dell’evoluzione della sua pittura, è il Ritratto di Anna Maria Ranuzzi Marsigli come Carità


Significativo della sua maturità, e dell’evoluzione della sua pittura, è il Ritratto di Anna Maria Ranuzzi Marsigli come Carità (Bologna, Cassa di risparmio in Bologna) che mostra la nobildonna con i suoi tre figli, in una posa libera e originale avvolta dalla luce; il dipinto è l’ultimo e precede la morte dell’artista avvenuta nell’agosto del 1665.


Amorino trionfante in mare (Amorino Medici) (1661).

Una fine improvvisa, a soli ventisette anni, per un’ulcera gastrica, diagnosticata da ben sei esperti dopo un’autopsia che il padre, sopravvissuto tristemente alla figlia, volle per verificare le cause della morte che una diceria supponeva dovuta all’avvelenamento per gelosia da parte della ex domestica.
La donna, sottoposta a un processo, fu prosciolta e la leggenda fornì motivo per un testo teatrale nell’Ottocento da cui nel 2004 ha preso spunto un pamphlet(6), mirante a fare della pittrice un’eroina da romanzo piuttosto che un’artista dotata di forte autostima, consapevole del suo valore, che con Properzia de Rossi e Lavinia Fontana forma una triade da ricordare nell’arte bolognese.

(5) A. Modesti, Elisabetta Sirani “virtuosa”. Women’s Cultural Production in Early Modern Bologna, Turenhout (Belgio) 2014.

(6) B. Buscaroli, D. Rondoni, Il veleno, l’arte. Storia vera e teatrale di Elisabetta Sirani pittrice, Genova-Milano 2004.

ART E DOSSIER N. 352
ART E DOSSIER N. 352
MARZO 2018
In questo numero: GIO PONTI OGGI La chiesa abbandonata; Un design senza tempo. SPAZI D'ARTE L'isola di Hombroich; Tefaf a Maastricht. IN MOSTRA I volti di Menazzi Moretti a Matera; Arte e psiche a Ferrara; I napoletani ''parigini'' a Napoli; Raffaello a Bergamo; Tessuto e ricchezza a Firenze; Perù preincaico a Parigi.Direttore: Philippe Daverio