Grandi mostre. 1
Ritratti e racconti di rifugiati e richiedenti asilo a Matera

IL MIO VOLTO,
LA MIA VITA

Visi non più anonimi ma legati a precise identità con le loro storie e con gli oggetti simbolo della loro unicità. Persone prima di tutto, migranti poi. Al Museo di palazzo Lanfranchi la mostra della fotografa Luisa Menazzi Moretti parte da qui.


Giovanna Ferri

Parole, non solo immagini. Parole forti, dure, laceranti, parole che dipingono mondi terribili dove la sola via d’uscita è scappare nella piena consapevolezza di non avere alcuna certezza del buon esito della fuga. Parole che diventano memoria, segni incancellabili della propria esistenza. Parole per affermare che la dignità individuale non può essere mimetizzata, per non dire negata, in una massa indistinta o ridotta a fredde e impersonali statistiche.

Un nome, un volto, una persona, una storia. «Ogni essere umano è un fatto a sé […] ogni faccia è un miracolo, unico e inimitabile»(1). In quest’ottica e con questo spirito è nato il progetto espositivo Io sono (Matera, Museo di palazzo Lanfranchi, dal 1° marzo al 5 aprile), composto da ritratti e racconti, prodotto dalla Fondazione Città della pace per i bambini della Basilicata in partnership con Arci Basilicata e con la cooperativa sociale lucana Il Sicomoro, enti che operano all’interno di progetti di inclusione gestiti dal Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), provenienti, nel caso specifico, da Nigeria, Mali, Gambia, Eritrea, Libia, Costa d’Avorio, Senegal, Nepal, Siria, Congo. Paesi colpiti da guerre, terrorismo, miseria, razzismo, intolleranza religiosa, violenze familiari, odio gratuito. L’artista chiamata a sviluppare il progetto è la fotografa Luisa Menazzi Moretti, nata a Udine, che ha vissuto per molti anni in Texas, dove si reca ancora oggi per lunghi periodi, e in Inghilterra, per poi tornare in Italia. Viaggi e trasferimenti funzionali a un bisogno interiore di conoscenza e scoperta, a una sensibilità antropologica che ha trovato nel mezzo fotografico un naturale prolungamento espressivo. Ma insieme all’obiettivo, Menazzi Moretti ha necessità di continuare, come sempre nel suo percorso, a dare importanza alle parole e alle rappresentazioni che le stesse parole le suscitano attraverso letture, appunti, conversazioni.

Ahmad (2017). Trentanove anni, dalla Siria con la sua famiglia. La guerra civile, la distruzione totale, la paura, la morte, un viaggio pericoloso, la salvezza per tutti.


Tresor (2017). Trentaquattro anni, dal Congo. Una lunga traversata dall’Africa all’Italia. La moglie e il terzo figlio non ce l’hanno fatta.

Così, durante la sua permanenza in Basilicata, a più riprese, nella prima metà dello scorso anno, ecco che il lavoro che le è stato affidato prende corpo grazie alla disponibilità al dialogo di alcuni rifugiati e richiedenti asilo e alla sua capacità di ascolto. Ma non basta. È necessario dare forma ai racconti, strutturarli, metterli a fuoco. Per questo la fotografa riascolta le registrazioni, trascrive i colloqui cercando di comprendere ogni singola esperienza narrata di fronte alla quale è difficile rimanere impassibili. La partecipazione emotiva anche a distanza di ore, giorni, si fa sentire. E allora non resta che rimanere distaccati, calarsi nel ruolo professionale. Ma le voci riaffiorano nitide, precise. Ognuna porta con sé un carico enorme di sofferenza. Yakouba, diciassette anni, dal Mali: orfano di madre, con un padre incapace di prendersi cura di lui, con una matrigna che gli rifiutava persino il cibo, crudele. E poi la guerra. Motivi sufficienti per partire a quattordici anni da solo, fare ritorno nel paese d’origine per vedere almeno un’altra volta il proprio padre e poi andare via, per sempre, lontano.

Adama, diciotto anni, dal Senegal, vissuta in Gambia. Suo zio voleva costringerla a sposare un suo amico molto anziano. Ma lei non ci sta. A quattordici anni se ne va. La tappa in Libia è la peggiore. Silenzio. «È l’inferno». In Italia arriva dopo un viaggio di trequattro giorni. Un’imbarcazione stracolma di persone. Per fortuna Adama ce l’ha fatta. È qui.

Tresor, trentaquattro anni. Per una lite con un vicino di casa rischia di essere ucciso. Obbligato ad abbandonare il Congo, dov’è nato, raggiunge con la famiglia prima l’Algeria, poi la Libia. Infine l’Italia. Ma la traversata per approdare nel nostro paese è una tragedia: perde un figlio e la moglie. E con loro il mare, quel giorno, inghiotte oltre cinquanta persone.


Adama (2017). Diciotto anni, dal Senegal, vissuta in Gambia. Promessa sposa a un vecchio amico dello zio, fugge. La sua passione è la cucina.

Altri racconti oltre a quelli di Yakouba, Adama, Tresor rivelano altre identità accompagnate, tutte, da ritratti su sfondo nero. Una scelta che permette di dare risalto alla specificità dei singoli visi e all’oggetto simbolo di ciascuna storia.

Il progetto ha previsto, insieme a un catalogo, la realizzazione di un kit didattico per gli insegnanti della scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado al fine di educare alla diversità, al multiculturalismo, al fine di stimolare la riflessione sull’accoglienza, sui diritti umani, sulla condivisione, per diffondere la conoscenza sulla complessità del fenomeno migratorio, da noi avvertito sempre più come minaccia, come privazione del nostro benessere già messo a dura prova dalla precarietà di posti di lavoro e dalla grave crisi economica. Un modo per far acquisire agli studenti libertà di pensiero, per non cadere nella semplificazione, negli stereotipi, utilizzando come base del lavoro - con le opportune differenze metodologiche sia da un punto di vista teorico sia da un punto di vista pratico, a seconda della fascia d’età - i racconti e i ritratti di Luisa Menazzi Moretti. L’arte, quindi, al servizio della scuola, per un apprendimento creativo, fuori da schemi e rigide convenzioni, che mira a trasmettere valori universali.

«Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un’altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. […] Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità»(2).


Mohamed (2017). Sedici anni, dal Mali. La guerra civile, la fuga, la violenza. Ha rischiato la lapidazione.

(1) T. Ben Jelloun, Il razzismo spiegato a mia figlia, Milano 1998, p. 27.

(2) Ivi, pp. 61-62.

Io Sono

Matera, Museo di palazzo Lanfranchi a cura di Luisa Menazzi Moretti
mostra prodotta da Fondazione Città della pace
per i bambini della Basilicata con Arci Basilicata e la cooperativa sociale Il Sicomoro
dal 1° marzo al 5 aprile orario 9-20, mercoledì 11-20, sabato 9-23
www.polomusealebasilicata.beniculturali.it; telefono 0835-2562539
Potenza, Museo archeologico provinciale, dal 18 al 31 maggio
Napoli, Pan - Palazzo delle arti Napoli, dal 24 ottobre al 26 novembre
Lecce, luogo e date ancora da definire
catalogo Giunti Editore
www.luisamenazzimoretti.it
https://www.youtube.com/watch?v=bjb-7xxXzP0

ART E DOSSIER N. 352
ART E DOSSIER N. 352
MARZO 2018
In questo numero: GIO PONTI OGGI La chiesa abbandonata; Un design senza tempo. SPAZI D'ARTE L'isola di Hombroich; Tefaf a Maastricht. IN MOSTRA I volti di Menazzi Moretti a Matera; Arte e psiche a Ferrara; I napoletani ''parigini'' a Napoli; Raffaello a Bergamo; Tessuto e ricchezza a Firenze; Perù preincaico a Parigi.Direttore: Philippe Daverio