«La mia adorata nebbia di Londra! È affascinante. E io sono il suo pittore». James Abbott McNeill Whistler, americano in adozione ai francesi, è tra i primi artisti a essere incantato dalle atmosfere sfocate e confuse provocate dal clima inglese, da quei contorni indistinti in cui oggetti, palazzi e persone affiorano come fantasmi o come fantasie di altri mondi. Un rompicapo per Monet le infinite variazioni cromatiche che emergono al crepuscolo e cambiano così velocemente da costringerlo a usare decine di tele contemporaneamente. Una sfida continua della luce, seducente come ogni sfida. «Ciò che mi piace di più a Londra è la nebbia. I suoi massicci, regolari edifici diventano fantastici sotto questo misterioso mantello». D’altra parte Whistler e Monet non sono stati gli unici stranieri a restare stregati dalle “magie” del Tamigi e dagli effetti del grandioso nuovo palazzo di Westminster. Si racconta che Monet abbia incontrato Daubigny proprio lungo il fiume, anche lui con il cavalletto piazzato sulle sponde, intento a dipingere “en plein air”. Così fecero anche Sisley e Pissarro. Persino De Nittis e Tissot aprirono parentesi nella loro divertita e divertente rappresentazione della “bella società” per fare spazio all’aria fumosa e all’affollato viavai del Tamigi. E Oscar Wilde riconobbe agli impressionisti il merito di aver scoperto la nebbia. «Ci può essere stata nebbia per secoli a Londra, ma nessuno la vedeva e quindi nessuno la conosceva », scrive nel saggio La decadenza della menzogna. «Non è esistita fino a quando l’arte non l’ha inventata».
A portare nella capitale inglese così tanti artisti francesi (di nascita o d’adozione) fu una sventura. Quella avvenuta nel 1870 con lo scoppio della guerra franco-prussiana e gli orrori che ne seguirono fino alla Comune di Parigi e alla sua sanguinosa repressione.