Grandi mostre. 2
Impressionisti a Londra

SOTTO UN MANTELLO
DI NEBBIA

Molti artisti francesi di nascita o d’adozione approdarono a Londra, in seguito allo scoppio della guerra franco-prussiana del 1870. Irresistibile fu per loro il fascino della città spesso avvolta in atmosfere sospese e dai contorni indefiniti. Una sfida per chi, come Monet, cercava di cogliere le mimine sfumature di luce. Alla Tate Britain in mostra, tra gli altri, oltre a Monet, Pissarro, Sisley e De Nittis.


Valeria Caldelli

«La mia adorata nebbia di Londra! È affascinante. E io sono il suo pittore». James Abbott McNeill Whistler, americano in adozione ai francesi, è tra i primi artisti a essere incantato dalle atmosfere sfocate e confuse provocate dal clima inglese, da quei contorni indistinti in cui oggetti, palazzi e persone affiorano come fantasmi o come fantasie di altri mondi. Un rompicapo per Monet le infinite variazioni cromatiche che emergono al crepuscolo e cambiano così velocemente da costringerlo a usare decine di tele contemporaneamente. Una sfida continua della luce, seducente come ogni sfida. «Ciò che mi piace di più a Londra è la nebbia. I suoi massicci, regolari edifici diventano fantastici sotto questo misterioso mantello». D’altra parte Whistler e Monet non sono stati gli unici stranieri a restare stregati dalle “magie” del Tamigi e dagli effetti del grandioso nuovo palazzo di Westminster. Si racconta che Monet abbia incontrato Daubigny proprio lungo il fiume, anche lui con il cavalletto piazzato sulle sponde, intento a dipingere “en plein air”. Così fecero anche Sisley e Pissarro. Persino De Nittis e Tissot aprirono parentesi nella loro divertita e divertente rappresentazione della “bella società” per fare spazio all’aria fumosa e all’affollato viavai del Tamigi. E Oscar Wilde riconobbe agli impressionisti il merito di aver scoperto la nebbia. «Ci può essere stata nebbia per secoli a Londra, ma nessuno la vedeva e quindi nessuno la conosceva », scrive nel saggio La decadenza della menzogna. «Non è esistita fino a quando l’arte non l’ha inventata».

A portare nella capitale inglese così tanti artisti francesi (di nascita o d’adozione) fu una sventura. Quella avvenuta nel 1870 con lo scoppio della guerra franco-prussiana e gli orrori che ne seguirono fino alla Comune di Parigi e alla sua sanguinosa repressione.

«[La nebbia] non è esistita fino a quando l’arte non l’ha inventata»
(Oscar Wilde)


Una mostra in corso alla Tate Britain (Impressionists in London, fino al 7 maggio) racconta attraverso cento splendide opere la storia dei numerosi pittori e scultori che trovarono rifugio a Londra nell’anno orribile della caduta del Secondo impero e li segue nei loro successivi viaggi in Inghilterra fino al 1904, anno che segna il culmine del progetto artistico di Monet e della sua serie dedicata al Parlamento. «Per molto tempo ci siamo dimenticati di quanto terribile fosse stato quel periodo storico e di quanti artisti arrivarono a Londra scappando dalla fame, dalla povertà, dai rischi mortali e da una Parigi semidistrutta», spiega Caroline Corbeau-Parsons, curatrice della mostra inglese. «In Inghilterra non c’erano restrizioni al loro ingresso e tutti i rifugiati, compresi i ribelli della Comune, furono i benvenuti anche da parte delle classi più conservatrici».


Claude Monet, Il Parlamento, tramonto (1904), Krefeld, Kunstmuseen Krefeld.

Ogni artista ebbe ovviamente i suoi motivi personali per imballare tele e colori e salpare verso le coste inglesi. Monet, tra i più giovani, temeva di essere arruolato nell’esercito; Pissarro, che invece avrebbe voluto combattere, fu obbligato ad abbandonare la sua casa di Louveciennes perché i prussiani la occuparono; Sisley partì in seguito alla bancarotta finanziaria della famiglia; De Nittis cercò rifugio tra Londra e Barletta. Anche lo scultore Jean-Baptiste Carpeaux, artista di corte, fu costretto alla fuga in seguito alla caduta di Napoleone III, mentre il suo allievo Jules Dalou fu coinvolto nella Comune e quindi “forzato” a lasciare la Francia, pena la morte. Così James Tissot, che certamente si trovava a Parigi il 29 maggio 1871 e vide il bagno di sangue dei rivoltosi, come testimoniano i due acquerelli Il soldato ferito e L’esecuzione dei comunardi esibiti per la prima volta nella mostra della Tate Britain.

Artisti di tutte le estrazioni sociali e delle più diverse idee politiche si ritrovarono dunque a Londra, dove formarono una comunità disparata ma unita che aveva il suo pilastro in Alphonse Legros, un pittore di scuola realista senza il minimo guizzo innovativo che non faceva fortuna in Francia e che già prima della guerra aveva invece trovato un buon successo finanziario Oltremanica.


Giuseppe de Nittis, Piccadilly (1875).

Il gruppo di autoesiliati frequentava gli stessi caffè e pasticcerie nella zona di Soho e Leicester Square, e lì si confrontava su quella “strana” città, dalla lingua ostile, i cui inusuali codici di comportamento attiravano attenzione, stupore e qualche volta ilarità. Sisley con la sua Regata a Molesey ci porta nel mondo dei grandi college inglesi, Monet ci fa passeggiare in Hyde Park, dove si poteva camminare sull’erba dei prati, mentre Pissarro, con una tavolozza più luminosa, dalle tante tonalità di verde in contrasto con il grigio multicolore del cielo, ci illustra in Kew Green il gioco del cricket, di cui lui stesso diventerà un appassionato.

Ma certamente sono di Tissot e De Nittis i pennelli che più si dedicarono ai costumi sociali, quelli che dipinsero in maniera più beffarda ambienti e atteggiamenti british.


Giuseppe de Nittis, Westminster (1878).

La nebbia, complice di apparizioni spettacolari, galleggianti tra cielo e terra


L’uomo sandwich, il poliziotto, il vecchio col turbante sono tra i personaggi con cui De Nittis popola Piccadilly. Giovani donne dell’alta società in eleganti vestiti da festa partecipano invece al Ballo sulla nave per il loro piacere e per quello di Tissot che le osserva con un certo distacco. Ma altre volte proprio lui sa essere ben più sarcastico, come in Il ponte dell’HMS Calcutta, dove una gentile signora con ventaglio si sporge deliziosamente dalla balconata della nave mostrando un grande fiocco appuntato sul grazioso sederino. Un’altra donna e un uomo sono con lei. Lei, lui e l’altra: un “triangolo” che ritorna spesso nelle opere di Tissot, da Portsmouth Dockyard a Sul Tamigi e a Holyday. Una rivalità romantica che sapeva di Francia e che mal si legava con la più formale Inghilterra, tanto da procurare a Tissot più di una critica. Ma lui, il dandy, l’irriverente guascone che amava i vestiti eleganti, non se ne curò mai.


Alfred Sisley, La regata a Molesey (1874), Parigi, Musée d’Orsay.

Diverse le reazioni di Whistler che litigò furiosamente con il critico d’arte Ruskin, il quale aveva definito una sua opera della serie Notturni (tre di esse sono in mostra) come «un barattolo di vernice gettato in faccia al pubblico». La vicenda finì in tribunale e lì si trascinò per anni concludendosi con un salomonico pareggio. Era stata la nebbia a provocare la bagarre giudiziaria; quella nebbia che aveva suggerito a Whistler pennellate così diverse rispetto alle convenzioni vittoriane, convenzioni che invece Ruskin, star dei salotti londinesi, difendeva. Monet aspettò che il caso si chiudesse prima di tornare nella capitale inglese a inseguire quell’amica-nemica - la nebbia -, complice di apparizioni spettacolari, galleggianti tra cielo e terra.


Claude Monet, Il Parlamento, effetto nebbia (1903), New York, Metropolitan Museum of Art.

Entrare oggi nella sala della Tate Britain, proprio di fronte al Tamigi, dove sono riunite sei diverse “impressioni” di Westminster avvolto nella bruma del crepuscolo e della sera è come tuffarsi in un sogno senza tempo. Per la verità Monet non ripeté più volte il suo soggiorno a Londra solo per vincere la sfida con la luce. Un’altra sfida gli premeva, ed era quella con il mercato inglese. Non gli riuscì. Persino l’esibizione dei suoi dipinti alla Dowdeswell’s Gallery in Old Bond Street finì nel nulla. Solo più tardi, nel 1904 a Parigi, le sue tele londinesi vennero esposte, conquistando pubblico e colleghi. Tra questi il giovanissimo André Derain, che, suggestionato da Monet, seguì le sue orme fino a Westminster. Ma lui non vide la nebbia e sulle tele dipinse un Tamigi che non c’era, che non ci sarebbe mai stato. Dall’esperienza fauve prese i gialli ocra, i blu pervinca e i rossi accesi e li trasportò sui ponti, sulle imbarcazioni, sul fiume e sulle sue banchine. Emozioni senza rete, espressioni della forza della città. Una nuova storia era già cominciata.


Camille Pissarro, Charing Cross Bridge (1890), Washington, National Gallery of Art.

The EY Exhibition: Impressionists in London

Londra, Tate Britain
a cura di Caroline Corbeau-Parsons
fino al 7 maggio
orario 10-18
catalogo Tate Trustees by Tate Publishing
www.tate.org.uk
La mostra sarà poi al Petit Palais di Parigi dal 21 giugno al 14 ottobre
www.petitpalais.paris.fr

ART E DOSSIER N. 350
ART E DOSSIER N. 350
GENNAIO 2018
In questo numero: I DILEMMI DELL'ARCHITETTURA Modernismo e tradizione a Firenze; Sottsass: la fantasia della ragione; Analogie: forme da altre forme. IN MOSTRA Sottsass a Milano e Parma, Impressionisti a Londra; Canova e Hayez a Venezia, Bernini a Roma, Giorgione a Castelfranco Veneto.Direttore: Philippe Daverio