Studi e riscoperte. 2
Il razionalismo architettonico a Firenze

TRA ORDINE
E PROPAGANDA

Negli anni Venti-Trenta in Italia assistiamo allo sviluppo di quella corrente legata al rinnovamento dei canoni architettonici in contrasto con i pattern tipici degli edifici storici. Caso emblematico Firenze, dove la spinta modernista e razionalista si trova a fare i conti con l’eredità medievale e rinascimentale della città.


Ettore Janulardo

«Il cosiddetto pittoresco è caos: esso è il risultato di individualismi incuranti di un ordine generale. […] Il pittoresco, cercando la varietà ad ogni costo, diviene monotono. […] Il pittoresco deve essere sepolto per sempre, perché il suo seppellimento rappresenta una conquista urbanistica, architettonica e soprattutto spirituale. La Toscana che ne è stata invasa sia salva almeno d’ora in avanti»(1), scrive Giovanni Michelucci nel 1937 entrando frontalmente nella polemica sull’abbondanza di costruzioni segnate, nella regione, da nostalgie paramedievali. Ma gli strali si focalizzano, per evidenti motivi di numero di edifici rispetto a quelli presenti in altri centri urbani e anche per il peso di un’eredità avvertita come potenzialmente paralizzante, sul capoluogo: «E Firenze deve stare più d’ogni altra città in guardia, giacché la maggioranza del pubblico pensa che lo spirito fiorentino sia rappresentato appunto da quelle rifritture medievaleggianti […] e non, invece, […] da quel senso di precisa, pacata poesia che nasce dalle idee chiare, […], da un equilibrio morale, dalla necessità dell’ordine, dalla avversione dell’arbitrario che produce il caos, confonde le idee e disorienta lo spirito»(2).

Firenze: un caso emblematico di resistenza al modernismo architettonico


Se il panorama architettonico-urbanistico nella Firenze degli anni Venti e Trenta risente, come in altre aree d’Italia, di ambiguità e compromessi, fughe in avanti e proclami, mimetismi e possibili sperimentazioni, la specifica caratterizzazione “locale” del costruito si trova a far fronte e a cercare forme di convivenza con immagini di retroguardia: che si tratti della città neo-medievale dei piccoli edifici e dei canti delle strade(3) o del centro di un moto di rivalutazione del Quattrocento e delle istanze manieristiche, si assiste qui a un caso emblematico di resistenza al modernismo architettonico, non solo in opposizione a tendenze provenienti dall’estero ma anche rispetto a contaminazioni nazionali.


La Città universitaria di Roma nel piazzale della Minerva (seconda metà degli anni Trenta del Novecento), Roma, Istituto Luce Cinecittà, Archivio storico.

Oltreché con l’“immagine” della città, legata alla sua eccezionale rilevanza culturale e politico-sociale nel periodo medievale e rinascimentale, tanto da potersi considerare una sorta di pattern cui inevitabilmente conformarsi o dal quale è impossibile prescindere(4), le vicende dell’architettura fiorentina degli anni Trenta s’intrecciano con quelle nazionali, e segnatamente romane. Cominciata nel 1932, la Città universitaria di Roma (portata a termine nel 1935) è il simbolo concreto di un possibile accordo sull’architettura “moderna” di cui Marcello Piacentini si fa garante tra le diverse tendenze costruttive.

Tra gli architetti chiamati alla Città universitaria, Michelucci è autore degli istituti di Mineralogia, Geologia e Fisiologia generale, iniziati nel giugno 1933. Ma i progetti sono pressoché contemporanei a quelli del Gruppo toscano, coordinato dallo stesso Michelucci, per la nuova stazione di Santa Maria Novella a Firenze. Trasferitosi a Roma nel 1925, docente di architettura all’Istituto nazionale di istruzione professionale, nel 1929 Michelucci si iscrive all’albo degli architetti del Lazio, continuando comunque a operare tra la capitale e la Toscana. Nel corso della sua attività a Roma - tra gli altri, ricordiamo il progetto del 1929 di un villino in via Mangili e lo studio di una villa, terminata nel 1931, presso la via Prenestina - Michelucci ha quindi modo di farsi apprezzare da Piacentini.


L’interno; in basso, la biglietteria.

Discussioni e polemiche intorno alla realizzazione della Città universitaria romana s’intrecciano con gli schieramenti definitisi in occasione del concorso per la nuova stazione fiorentina. Per l’affermazione del Gruppo toscano, Piacentini ha un ruolo determinante, in accordo con Marinetti che considera il progetto vincitore «un’architettura futurista» nel solco dei disegni di Sant’Elia(5).

Le decisioni assunte sembrano confermare l’influenza piacentiniana sulla composizione della giuria(6) e sulle scelte intraprese(7): il primo premio è attribuito - per le sue qualità «di sobrietà e di armonia»(8) - al progetto del Gruppo toscano, guidato da Michelucci. Ma la “conversione” tattica di Piacentini al razionalismo e la temporanea vittoria di questa tendenza nel cuore di una grande città sembrano segnare la conclusione delle innovazioni e di certo sperimentalismo del primo dopoguerra in Italia(9). Piacentini e il regime giungono, verso la metà degli anni Trenta, alla definizione di un’architettura “fascista” all’altezza dell’ideologia imperiale propagandata: ove la gerarchia e l’organizzazione cercano rappresentazione attraverso scala e ordini monumentali, allontanandosi dalle tensioni, virtualmente democratiche e popolari, del razionalismo.


Stazione di Santa Maria Novella a Firenze.

La nuova stazione di Santa Maria Novella è affiancata, con lavori che iniziano nel 1933, da un’altra grande struttura del razionalismo architettonico nel contesto fiorentino. Nato dall’esigenza di riunire in un’unica sede le lavorazioni prima effettuate nell’ex convento di Sant’Orsola e nella sconsacrata chiesa di San Pancrazio, il progetto della Manifattura tabacchi di via delle Cascine, articolato su una superficie di oltre sei ettari, prevede una cubatura di 410.000 metri cubi destinata a laboratori e officine, nonché ai magazzini. Inaugurato il 4 novembre del 1940, il complesso si trova nel 1944 sul fronte bellico del Mugnone, come ricorda il cippo di piazza Puccini(10). E la Manifattura fa organicamente parte di quella storia monumentale, economica e culturale di Firenze segnata dal lavoro femminile e dal riconoscimento di quelle lavoratrici come élite produttiva, presente anche nella rappresentazione narrativa delle “sigaraie” della vecchia Manifattura citate da Pratolini in Metello(11).


Il cinema-teatro Puccini con l’edificio della Manifattura tabacchi sullo sfondo, piazza Puccini (1945 circa).

Oggetto di varie attribuzioni - progettisti tecnici del Monopolio tabacchi; rappresentanti del razionalismo fiorentino; esponenti di un mondo progettuale romano impegnato in quegli anni nella Città universitaria e nell’area dell’E42 -, l’edificio della Manifattura, con nucleo tripartito lievemente a esedra, e la struttura a “prua” dell’ex Dopolavoro - poi teatro Puccini, con torre centrale in vetrocemento - caratterizzano un settore urbano privo di evidenze monumentali.

Tra archeologia industriale e risorsa di “pubblica utilità”, l’opificio si configura come triplice bene patrimoniale: struttura storico-culturale alla frontiera tra cronache cittadine e narrazione del lavoro, tra genesi di regime e lotte di resistenza; architettura che caratterizza un’area territoriale; risorsa che assume senso e valore in quanto documento dell’urbanità(12). «Le nostre stazioni e le nostre fabbriche sembravano imprigionarci senza speranza», scrive Walter Benjamin a proposito di «avventurosi viaggi» cinematografici in mezzo a «sparse rovine». Ma lungi da frammentismi neodecadenti, egli avvia alla conclusione L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica ricordando che l’architettura «non ha mai conosciuto pause. La sua storia è più lunga di quella di ogni altra arte [...]»(13), emblema del rapporto tra elemento pubblico e sua percezione, tra rispetto degli spazi e prospettive di risemantizzazione.


Facciata della Manifattura tabacchi in via delle Cascine (1945 circa).


L’interno dello stabilimento della Manifattura tabacchi di Firenze nella chiesa sconsacrata di San Pancrazio (1901), prima del progetto di unificazione in un’unica sede dell’edificio inaugurato il 4 novembre 1940.

(1) G. Michelucci, La bilancia della fantasia, in “Il Frontespizio”, IX, 2, febbraio 1937, p. 117.

(2) Ibidem.

(3) Cfr. il restauro e la “reinvenzione”, tra il 1918 e il 1919 a opera di Adolfo Coppedè, del palazzo del Canto alle rondini e dell’antica “spezieria” di Matteo Palmieri.

(4) In Architetture del Novecento. La Toscana, a cura di E. Godoli, Firenze 2001, p. 17, si osserva che «molto spesso è proprio la cospicua presenza della colta colonia straniera a vincolare - anche sulla scorta dei remoti echi ruskiniani - l’immagine architettonica e urbanistica fiorentina ai limiti angusti di un’immagine storicamente consolidata, che in realtà si andava maggiormente a “inventare” […] piuttosto che a conservare».

(5) Cfr. G. Ciucci, Gli architetti e il fascismo, Torino 1989, p. 137.

(6) Riunita a Roma nel febbraio 1933, la giuria è composta dall’ingegner Cesare Oddone, ex direttore generale delle Ferrovie dello Stato, e da sei Accademici d’Italia: Marcello Piacentini, con i collaboratori Cesare Bazzani e Armando Brasini; lo scultore Romano Romanelli; gli scrittori Ugo Ojetti e Filippo Tommaso Marinetti.

(7) Cfr., per esempio, G. K. Koenig, Architettura in Toscana 1931-1968, Torino 1968, p. 22.

(8) Relazione della giuria, presentata da Piacentini, cit. in M. Capobianco, La nuova stazione di Firenze - Storia di un progetto, Torino 2001, p. 21.

(9) Cfr. L. De Luigi, Il concorso e la polemica per la stazione di Firenze, in “La Casa”, n. 6, 1959, pp. 230-231. Per una ricostruzione delle diverse fasi progettuali e delle polemiche insorte sulla stazione di Santa Maria Novella, cfr. M. Capobianco, op. cit.

(10) «La Manifattura Tabacchi nell’agosto 1944 era sul fronte di guerra caposaldo della linea del Mugnone. Per lunghi giorni popolo in armi e partigiani combatterono fino alla vittoria per conquistare a Firenze il diritto di darsi liberi ordinamenti. Il Comune di Firenze Anno 2004».

(11) Cfr. V. Pratolini, Metello (1955), ed. Milano 2011.

(12) Dopo la fine dell’attività produttiva nell’aprile del 2001 e una serie di dibattiti e proposte sulla futura destinazione dell’ex Manifattura, del 2016 è un piano di ampia portata urbanistica e sociale che, attraverso la vendita dell’edificio - protetto dalla Soprintendenza - a un fondo immobiliare internazionale, prevede la creazione nella struttura di uno studentato, un hotel, spazi commerciali e appartamenti ad alta efficienza energetica. Resta da sottolineare, anche in relazione alle più recenti prospettive di utilizzazione dell’edificio, il ruolo di snodo dell’area nell’ambito di rinnovate infrastrutture di trasporto.

(13) W. Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica (1936- 1939), ed. it. Torino 2012.

ART E DOSSIER N. 350
ART E DOSSIER N. 350
GENNAIO 2018
In questo numero: I DILEMMI DELL'ARCHITETTURA Modernismo e tradizione a Firenze; Sottsass: la fantasia della ragione; Analogie: forme da altre forme. IN MOSTRA Sottsass a Milano e Parma, Impressionisti a Londra; Canova e Hayez a Venezia, Bernini a Roma, Giorgione a Castelfranco Veneto.Direttore: Philippe Daverio