DALL’INFERNO
AL PARADISO

Tutte queste opere si collocano in circa un decennio che va dalla fine degli anni Ottanta del XVIII secolo fino agli inizi dell’Ottocento, dove l’artista concede soprattutto al versante invernale della sua musa, ovvero al regno del Dio biblico, e di Urizen sua incarnazione, anche se già appaiono i raggi salutiferi, i guizzi di energia solare, sgorganti, come dalla corona della nostra stella, dalle braccia aperte di Los, che sappiamo essere l’anagramma del Sole.

Ma si può dire che, entrato nel nuovo secolo, Blake si rabbonisce, il cielo assume una presenza preponderante, lo si vede da una straordinaria Scala di Giacobbe, dove in primo luogo c’è da registrare la ripulsa di uno schema geometrico piatto e banale come la circonferenza. La scelta dell’artista è a favore di un andamento elicoidale, anche in ciò presago delle nuove frontiere della biologia, pronte a respingere gli schemi ad angolo retto dell’universo newtoniano. Inoltre anche le figure umane tendono a uscir fuori dalle tenebre infernali, assumono un candore, che non è di spiacevole origine invernale, di congelamento, ma al contrario sta a indicare una possibilità di elezione, come ricevere un candido peplo per presentarsi al regno della grazia e dell’accettazione, ovvero al Cielo, al paradiso. Infatti questa scala elicoidale è percorsa da una fila di deliziose fanciulle, allungate, fusiformi, mentre al suolo giace la spoglia di chi vorrebbe ostacolare questo sereno procedere verso l’alto. Sembra già di essere in presenza di una tavola volta a illustrare il Paradiso di Dante. Questo fenomeno generale di sbiancamento si comunica perfino alla solita immagine di Dio-Urizen, a dire il vero sostituito dall’angelo della divina presenza, pronto questa volta a trasmettere lo stesso candore, simbolo di rinascita, ad Adamo ed Eva. E anche l’aria circostante si rasserena, mentre una vegetazione flessuosa incornicia le tre presenze sospese tra l’umano e il divino.


L’angelo della divina presenza veste Adamo ed Eva con delle pelli (1803); Cambridge, Fitzwilliam Museum.


L’arcangelo Raffaele in conversazione con Adamo ed Eva (1808), dal ciclo di illustrazioni per il Paradiso perduto di John Milton; Boston, Museum of Fine Arts.


Un altro vantaggio della procedura usata dall’artista è che, dopo la stampa, poteva personalizzare le singole copie intervenendo su di esse con velature di colore, a tempera o ad acquerello, e così ogni acquirente poteva vantarsi di ottenere un’opera unica, quasi un originale. In sostanza, non si davano due esemplari del tutto identici tra loro.

Forse questa fase relativamente più serena corrisponde all’unico soggiorno lontano da Londra compiuto da Blake. Infatti proprio nell’anno inaugurale del nuovo secolo, il 1800, e per i tre anni successivi, egli accettò l’invito di uno dei rari ammiratori che pure non gli mancavano, William Hayley, mediocre poeta, interessato a farsi illustrare dall’artista. Se ne andò a vivere a Felpham, nel Sussex, ma non amando per nulla quel distacco, e rientrando ben presto nell’amata Londra, più propizia a ospitare i suoi sogni, incubi, viaggi nell’onirico. In proposito va segnalato pure un altro tratto anticipatore di situazioni che solo ai nostri tempi si sono prodotte. Il sistema da lui usato di stampare a seconda delle richieste di eventuali compratori, evitando la tiratura di un numero fisso di copie, sembra proprio corrispondere a quanto fanno oggi gli editori, che grazie ai sistemi digitali tirano il numero di esemplari per i quali si sono già prenotati sicuri acquirenti. Allo stesso modo procedeva Blake, oltretutto aggiungendo i suoi deliziosi ritocchi ad acquerello che facevano di ogni esemplare un pezzo unico.

Dal regno delle tenebre, dell’inferno siamo dunque approdati a quello del cielo, coi suoi candori, con un imbiancamento generale di corpi e sfondi, forse come effetto psicologico di quella certa tranquillità di vita che gli veniva dal protettore Hayley. Ecco per esempio la visione dell’Arcangelo Raffaele (ma senza dubbio funziona pure un riferimento al grande Raffaello) in conversazione con Adamo ed Eva. Si potrebbe anche parlare di un approdo dell’artista alle rive del neoclassicismo, il movimento dominante a cavallo dei due secoli, ma con quante distanze! È vero, i corpi sono accuratamente delineati, con pose schematiche, come la rigorosa verticale assegnata a Raffaele, oltretutto collocata in perfetta simmetria lungo l’asse centrale dell’opera.


Tentazione e Caduta di Eva (1808), dal ciclo di illustrazioni per il Paradiso perduto di John Milton; Boston, Museum of Fine Arts.

Infatti quella stagione condannava proprio la libera casualità che era stata propria della precedente stagione di naturalismo spinto, manifestando invece una preferenza per pose statuarie.

Quanto ad Adamo, è piegato in due, Eva è reclinata, quasi come una Paolina Borghese stesa su un divano. Ma i corpi non rispettano il canone di corretta anatomia che il neoclassicismo, malgrado tutto, imponeva, continuano a risultare, come sempre in Blake, da una specie di montaggio di pezzi staccati il che dà loro un aspetto deforme, quasi caricaturale, almeno nel senso letterale della parola, in quanto ogni tratto, ogni dato anatomico eccede, viola il buon manuale delle proporzioni. E poi c’è la nota dominante di un candore ormai pervasivo, come se la scena fosse stata proprio inondata di candeggina, pronta a diffondersi tanto sugli elementi antropomorfi quanto sui vegetali. Blake insomma si comporta come un burattinaio che monta i suoi personaggi, le sue maschere di una Commedia dell’arte, ricorrendo a un assemblaggio scoperto, che non tenta neppure di nascondere le tappe di una creazione libera, arbitraria. Lo si vede quando i due progenitori del genere umano, in una di queste tavole, si dividono ruoli e responsabilità. Eva viene avvolta dal serpente tentatore, questa volta chiamato a una funzione quasi tradizionale e risaputa. Siamo a un ciclo di illustrazioni ispirate dal poema di Milton, Il paradiso perduto (Tentazione e Caduta di Eva). Ma al posto della mela fatale assistiamo invece a una fitta pioggia di mele in sovrabbondanza da un albero posto anch’esso lungo l’asse centrale del dipinto, tra uno zigzagare di folgori.

Si potrebbe anche chiosare che la religione del tutto personale del nostro autore non accetta verdetti di condanna. In fondo, a ben vedere, l’atto oltracotante della prima coppia è suscitatore di energie, di scariche elettriche, diviene quasi un episodio positivo, in linea con la predicazione incessante a favore dello scatenarsi di forze primigenie. Del resto, i due nostri progenitori non hanno affatto l’aria di soggiacere tristi, sconfitti, alle conseguenze del loro peccato.


Satana guarda le effusioni di Adamo ed Eva (1808), dal ciclo di illustrazioni per il Paradiso perduto di John Milton; Boston, Museum of Fine Arts.

Le stelle del mattino cantavano insieme (1804-1807 circa); New York, Morgan Library & Museum.


La Cacciata dal Paradiso terrestre (1808), dal ciclo di illustrazioni per il Paradiso perduto di John Milton; Boston, Museum of Fine Arts.


La creazione di Eva (1822), dal ciclo di illustrazioni per il Paradiso perduto di John Milton; Melbourne, National Gallery of Victoria.

In un’altra di queste stampe, sempre in relazione col capolavoro di Milton (Satana guarda le effusioni di Adamo ed Eva), li vediamo accostati al centro, in pacifica comunione, pronti a scambiarsi un bacio, su un letto quasi di ovuli pronti per essere fecondati, a riprova che il loro avvenire sarà fertile di prole. Mentre Satana si deve accontentare di volteggiare in alto, come un animale nocivo sconfitto da qualche rito di scongiuro, e anche il serpente che lo cinge in questo caso risulta impotente, non riesce ad avvinghiare la sottostante coppia felice e vincitrice.

Tra le tavole commissionate da Hayley ed eseguite alla sua corte, con riferimento al Libro di Giobbe, è degna di rilievo quella dove emerge ampiamente il sereno, un azzurro radioso, animato da una serie di angeli (Le stelle del mattino cantavano insieme). Ancora una volta compare, si moltiplica, quasi come in una sequenza apprestata per dar luogo a dei fumetti, o a dei cartoni animati (altro precorrimento del nostro artista) un tipo fisso, un’immagine diafana, allungata, fantomatica, ambigua nel sesso, ma portatrice di un segno positivo, propiziatorio. L’eponimo del ciclo, Giobbe, posto al centro, fa da spartiacque, non potendo evitare che sotto di lui sopravviva una fascia di tenebre in cui una campionatura di esseri umani si sentono ancora prigionieri, costretti a suppliche, a preghiere, nella speranza di poter salire a loro volta verso quell’azzurro di un riscatto finale. Chissà se a Blake era capitato di vedere qualche riproduzione del capolavoro estremo di Raffaello, da lui non terminato, la Trasfigurazione, con la relativa suddivisione tra una parte alta, di libera manifestazione celeste, e un residuo sottostante regno di tenebre chiamato ad accogliere un’umanità sofferente. Naturalmente, se anche Blake era riuscito ad accedere a qualche riproduzione di quello straordinario capolavoro, non ha esitato a tradurre il tutto nel suo linguaggio anchilosato, dedito alla più ardita deformazione e contrazione dei corpi. Caso mai, avesse potuto averne davvero la visione, gli sarebbe stato più utile agganciarsi direttamente a quanto, in quel dipinto fatale, aveva aggiunto l’allievo infedele Giulio Romano, introducendo già le deformazioni che sarebbero state tipiche del manierismo. Infatti, in sede storiografica, questa è stata la missione di Blake, come punta d’attacco dell’ondata gloriosa iniziata da Füssli, Goya, David, Canova: contestare, negare la stagione “moderna” dei realismi, e riattaccarsi a quel lontano annuncio di rivolta, di ricorso a moduli deformanti, che già era stato il manierismo.


Satana chiama a raccolta le sue legioni (1807), dal ciclo di illustrazioni per il Paradiso perduto di John Milton; San Marino (California), Huntington Library, Art Museum, and Botanical Gardens.


Satana scatena gli angeli ribelli (1808); Londra, V&A - Victoria and Albert Museum.


La sconfitta degli angeli ribelli (1808), dal ciclo di illustrazioni per il Paradiso perduto di John Milton; Boston, Museum of Fine Arts.

Satana, il peccato, la Morte (1808), dal ciclo di illustrazioni per il Paradiso perduto di John Milton; San Marino (California), Huntington Library, Art Museum, and Botanical Gardens.

BLAKE
BLAKE
Renato Barilli
La parola d’ordine, nella produzione e nel pensiero di William Blake (Londra 1757-1827), è “immaginazione”. Attorno a questo concetto costruisce la sua fama di poeta e pittore, e anche di stravagante, mistico cultore della Bibbia come dell’assoluta libertà creativa. Un artista fuori dal coro; vicino, certo, alla sensibilità romantica, ma alla perenne ricerca di quelle che lui stesso definisce “le porte della percezione”, con una definizione la cui fortuna arriverà fino alle esperienze con gli allucinogeni di Huxley e a quelle di un’intera generazione di rocker. Coltiva la sua arte visionaria da autodidatta. Insofferente a ogni accademia, aderisce a tutti i movimenti di ribellione: una figura divisiva e affascinante.