IL PERIODO
AMERICANO

Mentre in Germania la situazione si fa sempre più difficile, cominciano a farsi sentire le sirene americane e nel 1932 Grosz accoglie l’invito a tenere un corso estivo a New York presso la Arts Students League: un’accademia indipendente fondata nel 1875, frequentata negli anni tra le due guerre da protagonisti della pittura americana come Thomas Hart Benton e Jackson Pollock, che interpreta le esigenze di rinnovamento dell’insegnamento artistico negli Stati Uniti.

Dopo questa prima breve esperienza americana ritorna a Berlino il tempo necessario per rendersi conto che il momento per lui è piuttosto complicato, tanto che poco dopo la sua seconda partenza in nave per New York, nel gennaio 1933, casa e studio sono devastati dai nazisti, ormai padroni del potere. Inizia un soggiorno americano che durerà quasi vent’anni.

Tante sue opere però rimangono in Germania ed è su di esse - come su quelle di tanti altri pittori e scultori estranei all’ideologia hitleriana (e alla sua cultura) e perseguitati per le loro convinzioni politiche, il loro stile o l’appartenenza a una supposta “razza” - che può sfogarsi di lì a poco l’ottusità nazista nel quadro di una generale negazione delle opere elaborate da élite di artisti d’avanguardia.

Così, quadri, sculture e disegni che non rappresentano una certa idea di “bellezza” e non celebrano la nazione tedesca né il potere del Terzo Reich attraverso forme acconce vengono sistematicamente requisiti nei musei che li avevano acquistati, per essere presentati come forme di una «degenerazione culturbolscevica ed ebrea» nella mostra Arte degenerata, allestita a Monaco nel 1937; molti di essi sono distrutti o venduti in una famigerata asta organizzata dal regime a Lucerna nel 1939 per ricavarne valuta pregiata. Tra i numerosi lavori di Grosz esposti a Monaco al pubblico ludibrio spiccano L’avventuriero e Germania, una fiaba d’inverno, tuttora dispersi, mentre nell’asta di Lucerna vengono venduti Sguardo sulla grande città e un più tardo ritratto dello scrittore Walter Mehring.

Dopo l’interrogatorio (1935).


Le dune di Cape Cod (1938).

Intanto, in America, Grosz affianca al lavoro di pittore, disegnatore e illustratore un’attività d’insegnante svolta senza troppo entusiasmo. Quelli della metropoli - adesso New York - e della folla urbana tornano a essere soggetti volentieri frequentati, mentre quanto succede in Germania, nel contesto di una situazione politica internazionale sempre meno tranquillizzante, soprattutto con lo scoppio della guerra civile di Spagna (1936), fa emergere nella sua pittura cupi soggetti apocalittici, accanto alla più tradizionale pratica di ritratto, autoritratto, natura morta e paesaggio (quello, in particolare, delle dune di Cape Cod, luogo di vacanze estive dagli ultimi anni Trenta). Adesso, lo stile «duro come il coltello» che ha segnato le sue opere più importanti è un ricordo lontano.

Una delle prime vedute di New York, Lower Manhattan, sembra quasi citare con qualche nostalgia il famoso collage di Paul Citroen Metropolis, un archetipo della cultura figurativa di Weimar tra Dada e Bauhaus; ma il principio di montaggio è qui soltanto dissimulato, in un olio di stile modernista che restituisce un sito di massima modernità, sorvolato da un aeroplano. «Come si può non rimanere folgorati», scrive in una lettera al tempo del primo viaggio americano, «quando arrivi qui per la prima volta e tra la foschia si staglia lo skyline»; stupore davanti alla bellezza del moderno e inquieta consapevolezza di quanto si è lasciato alle spalle convivono. L’aeroplano in volo ritorna nel coevo acquerello La minaccia, incentrato sulla figura di Hitler; questa volta però non concorre a definire l’immagine di una città proiettata nel futuro, ma è una macchina portatrice di morte e distruzione. Anche in questi primi anni newyorchesi Grosz non perde occasione di esprimersi sui fatti del proprio tempo avendo in mente soprattutto la sua patria nonostante la Germania fosse ormai solo un ricordo: «ma a volte», scrive nell’autobiografia «la paura mi assaliva e gli orrori si riaffacciavano». Il linguaggio è talvolta esplicitamente realistico, come in Dopo l’interrogatorio; simbolico e visionario in lavori dove riemergono la formazione espressionista-realista (Il rastrellatore di fango; Un pezzo del mio mondo II) e la memoria della grande pittura tedesca rinascimentale (Polarità - Paesaggio apocalittico; Caino, o Hitler all’inferno).

Dopo la guerra, nei disegni e nei quadri di Grosz si accampa una figura sgradevolmente grottesca di uomo disperato, consumato dalla tragedia appena conclusa, che veste anche i panni del pittore non più in grado di rappresentare il mondo perché il mondo - il suo mondo - non c’è più, è in rovina. I quadri diventano grandi buchi che evocano il vuoto. Sono opere, d’altra parte - come quelle della serie coeva degli Stickmen (uomini-stecco, uomini grigi) incapaci di riprendersi dalle atrocità patite -, che negli anni dell’affermazione dell’Informale e dello scontro di realismo e tendenze astratte per tanti aspetti simmetrico al clima della Guerra fredda, rendono conto di un tragico disincanto.


La minaccia (1934).
Quando nel 1933 deve lasciare la Germania per New York, perseguitato dai nazisti, Grosz scrive all’amico Wieland Herzfelde di come i propri lavori, sin lì, abbiano rappresentato «la cosa più forte che sia stata detta contro questa brutalità tedesca. Oggi sono più veri che mai […] e in un secondo momento, in tempi – perdonami – “più umani”, verranno mostrati a tutti, così come oggi vengono mostrate a tutti le opere di Goya». Pur in modi diversi, il suo impegno antinazista attraverso l’espressione grafica e pittorica, d’impronta ora realistica, ora metaforica, continua anche in America, manifestandosi in opere come questo acquerello: raffigurazione visionaria di un Hitler bestiale che, come un macellaio dalle maniche rimboccate, fa a pezzi il mondo con le sue stesse mani. Un aereo che vola alto fa presagire prossimi bombardamenti terroristici, a partire da quello della cittadina basca di Guernica condotto dall’aviazione tedesca durante la Guerra di Spagna.

Un pezzo del mio mondo II (1938).

Polarità - Paesaggio apocalittico (1936).


Il rastrellatore di fango (1937).

È inevitabile pensare che proprio allora la pratica del buco come opera d’arte, da parte di Lucio Fontana, apre una strada decisiva nella ridefinizione del campo del fare artistico nella seconda metà del XX secolo.

Alla fine, vecchi amori riemergono e la recuperata pratica del collage - che Grosz chiama “montaggio” - trova sponda in un contesto, quello americano, che al revival dada presta nuova attenzione. Con il Corso di cucina il sarcasmo crudele di un tempo non è più al servizio della lotta di classe ma della dissacrazione della società della buona educazione e di un’economia domestica massificata. Più nostalgicamente, in Io e New York sembra ritornare il Grosz malinconico e solitario che si autoritraeva quarant’anni prima come Il malato d’amore; senza adesso dimenticare - credo - il professor Unrat di Heinrich Mann nella mitica interpretazione cinematografica di Emil Jannings (in L’angelo azzurro, 1930, di Josef von Sternberg). Infatti, con la solita metropoli tutta luci e grattacieli a far da sfondo, qui Grosz veste i panni del clown come quel povero professore: la testa è innestata - alla maniera della vecchia dadaista Hannah Höch - su un corpo di donna, naturalmente piuttosto rubensiana, con l’immancabile bottiglia di buon bourbon in mano.

La danza dell’uomo grigio (1949),


Io e New York (1957).


Corso di cucina (1958).

È un quadro che vale in primo luogo come dichiarazione di un pittore sulla pittura e in generale sull’arte, con qualche elemento di assonanza con il testo del maggiore scultore italiano del tempo, Arturo Martini, emblematicamente intitolato Scultura lingua morta (1945). La guerra ha messo in discussione e distrutto tutto e una domanda che tanti artisti si pongono riguarda il senso del proprio lavoro. Che cosa può dipingere oggi un artista, sembra chiedersi Grosz, se non il nulla, il vuoto lasciato da quanto è successo? Sullo sfondo di tutto ciò s’intuisce un rinnovato scontro, adesso caricato di ragioni ideologico-politiche, tra gli artisti di tradizione realista, cui Grosz è ascrivibile, e le emergenti tendenze di derivazione astratta, informali, segniche e materiche. Proprio allora, negli ultimi anni Quaranta, Lucio Fontana comincia la serie dei Buchi che, pur con tutt’altri intenti, arriverà a esiti formalmente simili a quest’invenzione di Grosz.


Il pittore del buco I (1948); Washington, Smithsonian Institution, Hirshhorn Museum and Sculpture Garden.

GROSZ
GROSZ
Antonello Negri
L'immagine cupa della Germania anni Venti deriva in gran parte dal lavoro del berlinese George Grosz (1893-1959). Pittore, disegnatore e insegnante si forma negli anni Dieci del Novecento secondo i modelli, allora in voga, di matrice futurista e cubista. Aderisce poi all'espressionismo che si diffonde in Germania in seguito al disastro della prima guerra mondiale. Le sue opere presentano uno stile duro, violento, con figure rigide e scomposte come burattini, le sue ambientazioni urbane sono popolate di relitti umani e tronfi uomini di potere, ogni sua opera manifesta una critica senza remissione della società del suo tempo. Con gli anni Trenta e l'avvento al potere del regime nazista la sua opera è classificata tra le manifestazioni artistiche ritenute “degenerate” e nel 1933 Grosz si rifugia negli Stati Uniti, per rientrare a Berlino solo nel 1958.