GRAFICA POLITICA
E NUOVO NATURALISMO

La grafica continua a essere un ambito di particolare fortuna per Grosz, che pubblica non soltanto cartelle di litografie, ma anche libri di disegni di più alta tiratura - da Das Gesicht der herrschenden Klass (Il volto della classe dirigente), 1921, cui fanno seguito nel 1923 Abrechnung folgt! (Aggiusteremo i conti!) ed Ecce Homo, ai sessanta “quadri” berlinesi dello Spiesser-Spiegel, lo specchio del piccolo borghese, 1925 - spesso riprendendo cose già uscite su riviste militanti di satira come per esempio “Die Pleite”.

Tali pubblicazioni toccano un pubblico ampio e svolgono quell’intenzionale funzione politica descritta da Grosz nel suo testo più importante prima dell’autobiografia, l’appena citato L’arte è in pericolo, il cui assunto è che l’arte debba essere uno strumento al servizio della lotta di classe. L’interpretazione dei disegni di Grosz in chiave classicista di Tavolato è indubbiamente fondata e acuta, ma nella Germania della Repubblica di Weimar essi vengono generalmente recepiti come un attacco frontale, inaccettabile dal punto di vista dell’ordine costituito. 

Di notte (1919), in Ecce Homo (1923).


I bersagli di Grosz sono gli squallori e le miserie morali della borghesia e della piccola borghesia urbane (Di notte; Dalla mia giovinezza) mentre il proletariato è sfruttato in fabbrica e massacrato dall’esercito (“Prost Noske”! Il proletariato è disarmato; Alle cinque del mattino); l’arroganza della casta militare, che replica come se nulla fosse cambiato il vecchio sprezzante militarismo prussiano (Dedicato ai medici di Stoccarda, Greifswald, Erfurt e Lipsia); un clero bigotto e asservito al potere e ai grotteschi miti e riti del nazionalismo della cultura tedesca più tradizionale e “wagneriana” (Monumento a Richard Wagner); le colpevoli connivenze della socialdemocrazia con le forze reazionarie. 

Non a caso quei disegni di Grosz incontrano una rinnovata fortuna nell’Italia dei primi anni Settanta - quando i rapporti tra arte e politica tornano alla ribalta - riprodotti nei suoi volumi Aggiusteremo i conti!, Il volto della classe dirigente e Il nuovo volto della classe dirigente.

Alle cinque del mattino, in Il volto della classe dirigente (1921).


Delitto sessuale in Ackerstrasse (1916), in Ecce Homo (1923).


Monumento a Richard Wagner, in Ecce Homo (1923).


Dalla mia giovinezza, in Ecce Homo (1923).

In pittura Grosz prende un indirizzo diverso, culminante nel Ritratto dello scrittore Max Herrmann-Neiße presentato alla mostra della Nuova oggettività di Mannheim, 1925, dove l’artista partecipa, oltre che con un metafisico Impiegato municipale per i danni di guerra, soprattutto con un importante nucleo dei precedenti quadri cubofuturisti ed espressionisti (A Oskar Panizza; Germania una fiaba d’inverno; Sguardo sulla grande città; John, l’assassino di donne). Il filo che tiene insieme opere dallo stile così diverso può essere ritrovato in certe suggestioni artistiche antiche: la verosimiglianza al limite del caricaturale del Max Herrmann-Neiße - del tutto in sintonia con l’idea di Nuova oggettività - rappresenta la componente “verista” di quella tradizione figurativa nordica rinascimentale, lenticolare e analitica, che in un altro suo aspetto s’avverte nella visionarietà fantastica di tanti quadri di Grosz degli anni Dieci, formicolanti di “mostri” direttamente derivati da Bosch e Bruegel.


Ritratto dello scrittore Max Herrmann-Neiße (1925); Mannheim, Städtische Kunsthalle.


Rudolf Schlichter (1929).


Ritratto di Max Schmeling (1926).

Alla metà del decennio, i quadri di Grosz tra Nuova oggettività e verismo - da menzionare anche un ritratto del famoso campione tedesco di pugilato Max Schmeling che ci ricorda le passioni sportive di Grosz (e di quegli anni) - risultano documenti ammirevoli di un’epoca e di una cultura; ma comincia a incepparsi la stupefacente sintonia della sua opera con il ritmo del tempo e di una società sottosopra come la Germania tra impero e repubblica, che tuttavia proprio in anni così difficili conosce uno dei passaggi culturali più effervescenti e propositivi del “secolo breve”: Berlino è al centro del mondo, ci vivono e lavorano Albert Einstein, Bertolt Brecht, Mies van der Rohe… Ma tragici sviluppi incombono.

A chiusura della fase più importante e originale della storia artistica di Grosz c’è un ultimo quadro da commentare, I pilastri della società: una sorta di summa del suo lavoro fin lì, che qualcuno ha voluto interpretare come sinistro presagio del destino della Germania, lucidamente immaginato nel 1926. I bagliori rossastri di un palazzo incendiato sovrastano quattro personificazioni - la Religione, la Guerra, la Stupidità politica, la Comunicazione - portatrici di terrore e disgrazie al mondo intero come i cavalieri dell’Apocalisse di biblica tradizione. Qui Grosz riprende figure già rappresentate in una quantità di varianti proponendone un’ultima sintesi: il militarista con in testa solo pensieri di guerra, un aristocratico con monocolo, sulla guancia le cicatrici di vecchi e stupidi duelli a rasoiate tra studenti e una svastica appuntata sulla cravatta; anche il pasciuto socialista ha la testa vuota, piena soltanto di escrementi, un po’ come il giornalista con un vaso da notte per cappello e un ramo di palma insulsamente pacifista, mentre il prete benedice tutto quello che accade sorridendo vacuo a occhi chiusi. Alle loro spalle l’esercito è già all’opera.
Nella pittura di Grosz è però ormai in atto la conversione a un naturalismo con nuovi soggetti a cominciare dai quadri di figura, che possono rivisitare generi della tradizione pittorica come quello del pittore e la modella, ma essere altresì occasione di amare riflessioni: nel ritratto dell’amico pittore Rudolf Schlichter, inginocchiato davanti a un nudo femminile che appena s’intravede, i simboli di tante comuni battaglie politiche - la falce, il martello, il pugno chiuso - sono diventati oggetti posticci da atelier d’artista, come nell’Ottocento romantico erano armi medievali, chitarre e cappelli piumati. Grosz ricorda il proposito di disegnare «maiali, pecore e vitelli» in occasione di una vacanza in campagna del 1924; e comincia a dipingere paesaggi e nature morte ancorché particolari, come la sognante visione del 1931 Ricordo - Il legame, costruita come un montaggio di brandelli di memoria: un fischietto a forma di gallo, due guanti incrociati e un bacio cinematografico sotto il solito cielo tempestoso.

Tali sviluppi coincidono con la sua consacrazione non solo nazionale, attraverso mostre personali in prestigiose sedi pubbliche: da Berlino, nella Preußische Akademie der Künste (1927), a Bruxelles, nel Palais des Beaux-Arts (1932). La sua produzione grafica, come sempre caustica nei confronti dei consueti obbiettivi, continua; ma dal 1923 e per tutta la seconda metà degli anni Venti le collaborazioni con il teatro e con il cinema gli aprono nuove prospettive d’azione e d’invenzione. Di particolare rilievo è la collaborazione con Erwin Piscator, protagonista della sperimentazione teatrale berlinese degli anni di Weimar, per la messa in scena, nel 1928, dello Schwejk di Jaroslav Hašek: nell’occasione, si cimenta anche con il cartone animato, con la realizzazione di figure da proiettare su un fondale, con la progettazione di marionette.


Ricordo - Il legame (1931); Vienna, Mumok - Museum Moderner Kunst Stiftung Ludwig Wien.

Disegni per Schwejk di Jaroslav Hašek (1928).

GROSZ
GROSZ
Antonello Negri
L'immagine cupa della Germania anni Venti deriva in gran parte dal lavoro del berlinese George Grosz (1893-1959). Pittore, disegnatore e insegnante si forma negli anni Dieci del Novecento secondo i modelli, allora in voga, di matrice futurista e cubista. Aderisce poi all'espressionismo che si diffonde in Germania in seguito al disastro della prima guerra mondiale. Le sue opere presentano uno stile duro, violento, con figure rigide e scomposte come burattini, le sue ambientazioni urbane sono popolate di relitti umani e tronfi uomini di potere, ogni sua opera manifesta una critica senza remissione della società del suo tempo. Con gli anni Trenta e l'avvento al potere del regime nazista la sua opera è classificata tra le manifestazioni artistiche ritenute “degenerate” e nel 1933 Grosz si rifugia negli Stati Uniti, per rientrare a Berlino solo nel 1958.