LE PRIME CARTELLE GRAFICHE
E LA PITTURA DEGLI ANNI
DI GUERRA

Intanto scoppia la guerra e Grosz si arruola volontario in un reggimento di granatieri; ma il servizio dura poco, perché si ammala e nella primavera del 1915 è congedato.

RRitornato nella mansarda-studio dove risiede a Südende, un sobborgo di Berlino, riprende a lavorare. Dipinge il primo significativo quadro a olio (Notturno - Berlino-Südende) e comincia a eseguire disegni come Tumulto dei folli, con scene d’inaudita violenza in una città che brucia sotto lo sguardo di un sole stupefatto all’orizzonte, con qualche memoria delle città che saltano in aria, investite da terremoti, incendi e altri tragici sconvolgimenti, rappresentate poco prima dall’apocalittico pittore espressionista Ludwig Meidner, anarchico militante. Visioni del genere sono alla base delle litografie delle cartelle grafiche Primo portfolio di George Grosz e Piccolo portfolio di Grosz (Erste George Grosz-Mappe e Kleine Grosz Mappe) pubblicate nel 1916-1917 in centoventi esemplari ciascuna: lo stile «duro come il coltello» appare ora compiutamente e originalmente definito insieme alle sue tipiche tematiche, mentre il citato Notturno è d’impronta ancora essenzialmente espressionista.

La prima cartella è aperta da due fogli che rimandano all’“americanismo” del tempo, da Grosz molto sentito e tradotto in un’immaginazione dell’America come centro di modernità senza limiti e al tempo stesso luogo di avventure e sconfinate libertà; un posto, insomma, terribilmente “in gamba” (non è casuale che proprio allora, anche per un sentimento di ostilità verso il militarismo nazionalista tedesco, egli abbia americanizzato il proprio nome: da Georg Gross a George Grosz). In Ricordo di New York (ma tra le scritte che sono parte integrante della composizione si legge «Chicago»), una frenetica vita urbana si srotola entro un intrico di grattacieli attraversato da un treno in corsa; non mancano la bandiera a stelle e strisce, le sagome di un indiano e di una ballerina nuda e la faccia sinistra di un gangster. In Immagine del Texas per il mio amico Chingachgook l’indiano e il cowboy sono altrettanto poco raccomandabili; in fondo, una scena di linciaggio. Le altre sette litografie della serie fissano alcune delle ricorrenti tematiche di Grosz. In un teatro urbano riconoscibile come berlinese per la presenza di canali e treni metropolitani sopraelevati - ma più in generale allusivo alla grande città moderna e alle sue squallide periferie tutte uguali con ciminiere fumanti, tendoni di circhi, carrozzoni di saltimbanchi, bettole, malandrini e altri tristi personaggi - ne capitano di tutti i colori. Uno stato d’animo fortemente segnato dall’esperienza della guerra e delle sue conseguenze (all’inizio del 1917 è nuovamente richiamato, ma presto congedato come «inabile al servizio») si rispecchia in disegni pieni di «disperazione, odio e disillusione. Avevo un totale disprezzo per l’umanità in generale. Disegnavo ubriaconi; uomini che vomitavano; uomini che imprecavano alla luna coi pugni chiusi; uomini che avevano ucciso donne […].

Tumulto dei folli (1915); Berlino, Staatliche Museen zu Berlin, Kupferstichkabinett.


Ricordo di New York, in Primo portfolio di George Grosz (1916-1917).


Disegnai una sezione verticale d’una casa d’abitazione: da una finestra si scorgeva un uomo che assaliva la propria moglie con una scopa; dall’altra, due persone che facevano all’amore; da una terza pendeva un suicida col corpo coperto da sciami di mosche». Qui si riferisce puntualmente a Persone in strada, il quinto foglio del Primo portfolio di George Grosz.

Nella sua formazione la grafica ha un ruolo decisivo e anche quando dipinge a olio il modo è da disegnatore: «Facevo prima un disegno a inchiostro sulla tela e poi ci dipingevo su a olio. I quadri erano basati sulla linea, ed erano più simili a disegni a penna che non a pitture». Soggetti e stile delle prime cartelle grafiche si ritrovano nei dipinti degli anni di guerra, ambientati in caffè dove giocatori di carte, prostitute, protettori e ubriaconi danno corso alle proprie disperazioni; ma al centro dell’interesse di Grosz sono in primo luogo le strade della metropoli, un tema che avrà presto una particolare fortuna nel cinema tedesco, tra La strada, 1923, di Karl Grune - con un ruffiano e una prostituta protagonisti - e Asfalto, 1929, di Joe May.

Immagine del Texas per il mio amico Chingachgook, in Primo portfolio di George Grosz (1916-1917).


Persone in strada, in Primo portfolio di George Grosz (1916-1917).


La strada (1915); Stoccarda, Staatsgalerie.

Apre la serie un quadro intitolato proprio La strada, animato da un paio di prostitute che contrattano con il cliente, o si fanno desiderare da un vecchio laido, sotto un cielo rosso cupo dove si staglia in lontananza il profilo zigzagante di neri capannoni industriali; il tutto, lividamente illuminato da una falce di luna che rimanda a notturne storie espressioniste di amore e di morte. Sotto un’altra tragica luna Grosz si autorappresenta in un singolare interno-esterno nelle vesti del dandy Malato d’amore, pallido, le labbra d’un rosso acceso, pronto a spararsi con il revolver che sta sotto un cuore visto ai raggi X e a lasciare i piaceri di un’esistenza dissipata nei vizi: il tabacco, l’alcol e la siringa per la droga sul tavolino. Un’àncora tatuata su una tempia rimanda all’iconografia popolare del marinaio, tipaccio ricorrente nelle strade grosziane, e su tutto aleggia un’atmosfera di morte, tra le ossa incrociate nella cuccia del cane e lo scheletro che si accomoda al tavolino in fondo, a introdurre quel tema antico della danza macabra che dei quadri di Grosz, dagli anni di guerra in poi, è un filo conduttore.


Il malato d’amore (1916); Düsseldorf, Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen.


Suicidio (1916); Londra, Tate.

Il destino del Malato d’amore si compie nel Suicidio, sotto lo sguardo indifferente di una puttana e accanto a un altro suicida, impiccato a un lampione. Colpisce la monocromia della composizione, interrotta solo da alcune parti nere e dal punto azzurro dell’occhio della donna alla finestra: «Grosz dispone di una gamma incredibile di rossi. Ardente di piacere, caldo porpora, scarlatto sensuale, rosso infernale», scrive nel “Kunstblatt” nel marzo 1917 Theodor Däubler, poeta e scrittore d’arte cui si deve il primo riconoscimento critico dell’artista.

Questi drammi espressionisti introducono al più notevole nucleo di dipinti degli anni di guerra caratterizzato da visioni urbane d’impianto monumentale e d’impronta cubofuturista, dove lo stile tagliente e un realismo caricaturale si fanno portatori di un’aggressiva miscela di cinismo, disinganno e moralismo, a cominciare dal rutilante e apocalittico Metropolis - Sguardo sulla grande città, preparato da una serie di disegni. Le condizioni del tempo sono restituite in visioni d’insieme evocative di comportamenti collettivi generalizzati e in prospettive ravvicinate che puntano invece sulle individualità, portando alla luce una casistica di sordide devianze e orrori. Il risultato complessivo è una rappresentazione di città moderna tipica, percorsa da follie sociali e individuali; su un grattacielo sventola la bandiera americana e le scritte pubblicitarie sono diventate parti integranti del paesaggio, in una specie di collage dipinto. Un carro funebre a cavalli condotto da uno scheletro in cilindro ammonisce i vivi in forma di “memento mori”, particolarmente adatto al tempo di guerra. Si concretizza, proiettato sulla contemporaneità, il vecchio sogno di Grosz di diventare pittore di storia: ma cavalieri, briganti e monaci gozzoviglianti si sono trasformati in folle sbandate di avventurieri, poveracci, sordidi borghesi, depravati, prostitute e corrotti di ogni risma. «Le case sono nude nella loro geometria», scrive ancora Däubler, «come fossero state appena colpite da un bombardamento.

Dedicato a Oscar Panizza (1917-1918); Stoccarda, Staatsgalerie.


Metropolis - Sguardo sulla grande città (1916-1917); Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza.


[…]. Le persone, quasi tutte la pura espressione della propria avidità, con le facce tirate, sono sgomente, una sull’altra». Di analoga intonazione è Dedicato a Oscar Panizza, psichiatra e scrittore rinchiuso in manicomio dal 1904 per idee considerate blasfeme e trasgressive contro religione e autorità. Alla luce sinistra della solita falce di luna in un cielo nero, un corteo funebre con uno scheletro che beve seduto sulla bara attraversa un vicolo di osterie e locali notturni formicolante di figure mostruose in un’atmosfera allucinata e sovreccitata; la scritta luminosa “Heute Tanz” (Oggi si balla), incornicia l’ingresso di un infernale grattacielo dove ogni finestra nasconde un dramma. Rigurgitante di allusioni ai mali dell’umanità - alcolismo, sifilide e peste - e alle folli illusioni degli uomini, il quadro è una sorta di grottesca revisione pre-dada della tradizione figurativa nordica moralista della danza macabra, da Bosch e Bruegel a Ensor. Il prete che alza la croce, il militare che sguaina la sciabola e soffia in una trombetta, il nazionalista che agita la bandiera guidano un’umanità impazzita.

Chiude questa sorta di trittico della città il grande quadro Germania, una fiaba d’inverno, considerato da Grosz il suo dipinto a olio più importante. Il titolo ripete quello di una satira in versi a suo tempo ritenuta tra i testi più influenti della letteratura politica tedesca, scritta nel 1844 da Heinrich Heine, poeta e amico di Karl Marx.

L’avventuriero (1917); disperso.


Selvaggio West (1916).


Germania, una fiaba d’inverno (1918); disperso.

La scena ruota intorno a un ufficiale della riserva, gaudente borghese, a banchetto con arrosto, birra, sigaro e un vero ritaglio del giornale perbenista “Lokal-Anzeiger”, incollato alla tela come altri elementi della composizione, dove dunque Grosz si misura con il collage. Ai suoi lati, figure emblematiche di un mondo di reietti, miserabili e sfruttati - la prostituta e il marinaio in movimento l’una verso l’altro, sesso e rivoluzione - prefigurano l’incontro esplosivo di comportamenti antiborghesi, alternativi, addirittura eversivi: si consideri l’importanza, nella storia e nella cronaca tedesche del tempo, dei marinai, il cui ammutinamento a Kiel proprio in quel 1918 è la scintilla della rivoluzione con conseguenti abdicazione dell’imperatore e proclamazione della repubblica. Del tutto antitetici sono i valori delle personificazioni in primo piano - il prete col breviario, il generale con la croce di ferro e il professore patriottico con Goethe sotto il braccio - osservati in cagnesco da un angolo del quadro dalla silhouette nera del profilo di Grosz. La scena è completata dai ricorrenti dettagli di fabbriche e chiese, funerali e bare, pubblicità di lampadine Osram, grattacieli e treni in lontananza sotto un sole minacciosamente rosso nel cielo tempestoso. Con quadri come questo, «concepito», ebbe modo di affermare, «in modo tale che lo si possa appendere nelle scuole», Grosz intendeva anche «predicare, correggere e riformare in maniera consapevolmente concreta e moralistica».


John, l’assassino di donne (1918); Amburgo, Kunsthalle.

Tra i quadri di quegli anni, riscuote un particolare successo L’avventuriero, anticipato per tema da un Selvaggio West (Wildwest) del 1916, più espressionista che cubofuturista. Nel 1921 L’avventuriero entra in un museo pubblico, la galleria civica di Dresda, dopo aver suscitato l’ammirazione della critica: nel 1919 Willi Wolfradt gli dedica un intero articolo nella prestigiosa rivista di Lipsia “Der Cicerone”, confrontandolo con le opere dei futuristi italiani e sostenendo di esser stato convinto delle possibilità del futurismo proprio dal dipinto di Grosz, più che da Boccioni e compagni. Nell’Avventuriero, dove gli esiti più avanzati della modernità s’incrociano con una natura selvaggia, ritorna il sogno americano di Grosz.

Il personaggio dominante è un cowboy rapace, con fucile, pistole e un sacchetto di pepite alla cintura, evidentemente ispirato da una letteratura “trash” e dalle sue illustrazioni; accanto a lui, un nudo di donna un po’ alla Rubens ci ricorda che l’avventuriero è anche un gran seduttore. Intorno, gli fa corona il consueto fantasmagorico paesaggio futuristicamente montato per frammenti decontestualizzati, con un labirinto di grattacieli, la ferrovia sopraelevata, scritte pubblicitarie, ballerini di colore sotto la bandiera americana e, in fondo, un paesaggio primordiale con vulcani in eruzione. «Nel suo brutale cinismo», scrive Wolfradt, «questo avventuriero appare, al tempo stesso, come il prodotto naturale e il dio vendicatore di una civiltà di rapina che ha perduto l’anima». È una lettura molto ideologica, da estendere un po’ a tutti i lavori di quegli anni, che si direbbe però cogliere bene l’idea grosziana di restituire con intenti moraleggianti e didascalici - e con uno stile che mescola spericolatamente finezze con volgarità, modelli di grande pittura con figurazioni popolari e di una “mass culture” delle origini - schegge di un mondo contemporaneo che ha perduto le regole, la ragione, la capacità di pensare.

Allo stesso periodo risalgono i quadri incentrati sul “Lustmord”, l’omicidio a sfondo sessuale, un tema che entra prepotentemente nella cultura tedesca del Novecento con la Lulu di Frank Wedekind e conclude il suo ciclo con un capolavoro del cinema: M - Il mostro di Düsseldorf, diretto da Fritz Lang (e altrettanto magistralmente interpretato da Peter Lorre) nel 1931, quando già il nazismo proietta le sue ombre sinistre sulla cultura di Weimar.


Autoritratto per Charlie Chaplin (1919).
«Chaplin batte Rembrandt», scrivono Grosz e Herzfelde nel pamphlet del 1925 L’arte è in pericolo, invitando i lettori che vogliono sapere come va il mondo ad andare al cinema piuttosto che a una mostra d’arte. A Chaplin è dedicato questo autoritratto dove Grosz si rappresenta al lavoro, mentre disegna in stile cubofuturista una delle sue tipiche vedute urbane del tempo: un notturno illuminato da lampioni e scritte pubblicitarie, popolato da prostitute, facce poco raccomandabili e qualche passante in cilindro. Un teschio innestato su un nudo femminile ha la funzione del “memento mori”.

In tante varianti, intorno al 1920 il tema incontra una considerevole fortuna nella pittura e nella grafica: lo condividono per esempio Heinrich Davringhausen (L’assassino sessuale, 1917, Monaco, Neue Staatsgalerie), Rudolf Schlichter, con le sue scene di violenze sadiche e masochiste, e soprattutto Otto Dix. Nelle più note versioni di Grosz del 1918 - Dedicato a Edgar Allan Poe (Yokohama Museum of Art); John, l’assassino di donne (Amburgo, Kunsthalle); Il piccolo assassino di donne (collezione privata) - un soggetto del genere completa il quadro eccitante e al tempo stesso tragico della metropoli moderna, luogo e occasione d’indicibili nefandezze. Le fonti sono letterarie, tra Poe e i romanzi d’appendice letti in gioventù, ma anche fatti di cronaca come il caso di Jack lo Squartatore del quale i giornali, anche tedeschi, avevano a lungo parlato (e sarebbe ricomparso, guarda caso, nel melodrammatico film del 1929 Il vaso di Pandora, tratto da Wedekind e diretto da Georg Wilhelm Pabst, dove una Lulu interpretata dalla seducente Louise Brooks s’imbatte - molto improbabilmente - proprio nello “squartatore” londinese). Dal punto di vista compositivo questi quadri sono altrettante messe a fuoco ravvicinate di alcuni dei tanti raccapriccianti episodi immaginati per le strade o dietro le finestre dei grattacieli delle metropoli grosziane. In un angolo di città illuminato dai bagliori di un minaccioso astro nero, ecco in azione John, l’assassino di donne che si allontana dal luogo del misfatto lasciandosi dietro la vittima con la gola tagliata. Lo spirito dada è in arrivo anche in Germania e certi aspetti del quadro sembrano presagire l’irriverenza dei dadaisti berlinesi - Grosz in prima fila - nei confronti non soltanto della tradizione artistica in generale, ma addirittura della tradizione d’avanguardia: la donna sgozzata fluttua nell’aria come certi personaggi di Chagall, mentre il binomio prostituta-mazzo di fiori potrebbe far pensare a una sorta di dissacrazione estetica dell’Olympia di Manet che, dopo essere stata a sua volta dissacrante, era diventata un caposaldo di modernità in pittura.

GROSZ
GROSZ
Antonello Negri
L'immagine cupa della Germania anni Venti deriva in gran parte dal lavoro del berlinese George Grosz (1893-1959). Pittore, disegnatore e insegnante si forma negli anni Dieci del Novecento secondo i modelli, allora in voga, di matrice futurista e cubista. Aderisce poi all'espressionismo che si diffonde in Germania in seguito al disastro della prima guerra mondiale. Le sue opere presentano uno stile duro, violento, con figure rigide e scomposte come burattini, le sue ambientazioni urbane sono popolate di relitti umani e tronfi uomini di potere, ogni sua opera manifesta una critica senza remissione della società del suo tempo. Con gli anni Trenta e l'avvento al potere del regime nazista la sua opera è classificata tra le manifestazioni artistiche ritenute “degenerate” e nel 1933 Grosz si rifugia negli Stati Uniti, per rientrare a Berlino solo nel 1958.