VERSO «UNO STILE DURO
COME IL COLTELLO»

La grafica e la pittura di George Grosz corrispondono a un principio compositivo che nell’arte del XX secolo è diventato dominante, costituendo il vero “stile” del secolo: la contaminazione di un linguaggio nobile, accademicamente educato, con modalità espressive triviali e suggestioni visive derivate dalla “popular culture”.

Ciò nella parte più importante della sua opera costituisce un forte e precoce leitmotiv.
Le ragioni di tale doppio registro si ritrovano, all’inizio del Novecento, nei primi interessi di Grosz per illustrazioni e figurazioni popolari e nella successiva formazione artistica, da egli stesso raccontati nell’autobiografia pubblicata a New York nel 1946 (e tempestivamente tradotta in Italia due anni dopo con il titolo Un piccolo sì e un grande no). Questo testo pieno di verve è una guida efficace per entrare sia in certe originarie suggestioni visive, sia nella messa a punto di propri caratteri di stile e meccanismi compositivi alle soglie della Grande guerra.

Prima dell’Accademia, durante infanzia e adolescenza, le “figure” che più lo attraggono sono principalmente di due tipi: le illustrazioni impressionanti, truculente, dei giornali popolari e i panorami dipinti che stupefacevano grandi e bambini nelle fiere viaggianti. Ricorda, a proposito delle prime, come nulla lo colpisse di più del “Leipziger Illustrirte Zeitung” con le sue magnifiche xilografie: «Una volta vi fu pubblicata la scena d’un incendio, che occupava due facciate e rimase sempre viva e fresca nella mia memoria: quando, non molto tempo dopo, ci fu un terribile incendio nel nostro quartiere […] lo vidi solamente come una scena del Leipziger Illustrirte Zeitung, con tutto il suo tono romanzesco, il suo terrificante movimento e la sua drammaticità».

Una sensazione altrettanto indelebile esercitano sulla sua immaginazione «gli orribili, ma terribilmente affascinanti panorami dipinti delle fiere. Attraverso certi sipari con le fessure praticate all’altezza degli occhi, si scorgevano quadri illuminati dal di dietro.

Spesso oggetti reali venivano introdotti in questi quadri, e acquistavano una più ricca realtà mediante una intelligente illuminazione e trucchi opportuni [...]. Per quanto rozze e prive d’artisticità, quelle rappresentazioni erano straordinariamente impressionanti». Le «pitture eccitantissime» e spaventosamente belle che ricorda, piene di sangue e immagini spaventose, riguardano presidenti assassinati, grandi magazzini incendiati, catastrofi, esecuzioni di ribelli, affondamenti di navi, scontri di treni, eruzioni vulcaniche spettacolari come quella del monte La Pelée avvenuta nel 1902 in Martinica, dove «si vedevano benissimo, nel cielo, gli ometti trascinati dal turbine, le case lanciate in aria, mentre l’oceano ribolliva e navi e battelli bruciavano.


Al lavoro (1912).

Il cielo era blu scuro. Le palme sembravano tremar di paura nel paesaggio tropicale illuminato dal fuoco. Una visione orribile, ma affascinante».

Tra le amate fiere viaggianti spicca il leggendario circo Barnum & Bailey che un bel giorno arriva anche in Pomerania, dove Grosz passa buona parte dell’infanzia: «Mi aggiravo tutto il giorno attorno ai baracconi del circo […].

I gruppi esotici, singolari, romantici che apparivano qua e là per le vie, erano osservati con somma curiosità. Con gli occhi sbarrati fissavo una carrozza aperta in cui sedevano stranissime persone col capo coperto. C’era un essere deforme ed enorme che, attraverso i manifesti, identificai per l’uomo più grasso del mondo. Accanto a lui sedeva un uomo il cui volto era nascosto da un panno nero, ma dall’abbondante e scomposta chioma ci si accorgeva che altri non era se non Lionello la scimmia capelluta.

Di fronte a lui sedeva un uomo sottilissimo, il famoso generale Tom Thumb, in una magnifica uniforme ricamata d’oro, sormontata da ricche spalline ». Questa stessa curiosità è alimentata anche negli anni della formazione artistica a Dresda, quando gironzola tra fiere, circhi e varietà trovando una fonte d’ispirazione nei loro personaggi, nei carrozzoni vivacemente colorati e “figurati” dove vivevano famiglie di attori di quart’ordine.

A completare la sua educazione visiva (e letteraria) ci sono poi i racconti d’avventura da quattro soldi, gialli, neri ed esotici, assai mediocremente illustrati ma terribilmente attraenti. In primis, le storie del supersegugio Nick Carter, che arrivano dall’America come il circo Barnum & Bailey e un altro dei suoi eroi del tempo, lo scout senza paura e nemico giurato degli indiani Buffalo Bill: è il nome d’arte del colonnello William Cody che, dopo una vita spericolata, diventa impresario di spettacoli viaggianti in tutta Europa sul tema del “selvaggio West”, con veri cowboy e indiani - nonché cavalieri cosacchi e arabi, diventati tutti stuntman per una società dello spettacolo agli albori - che mettono in scena inseguimenti, assalti alla diligenza, la battaglia di Little Big Horn e altri luoghi comuni di quanto poi sarà il genere cinematografico del western.


Assalto notturno (1912).
È uno dei primi disegni berlinesi di Grosz, ammiratore del grande pittore e illustratore realista Adolph Menzel e della sua pratica di disegnare e prendere appunti grafici ovunque si trovasse. Per questa drammatica immagine di violenza urbana è però più probabile che Grosz avesse in mente altri modelli, pur non precisamente identificabili. Durante l’adolescenza era stato un appassionato lettore di storie d’avventura gialle e nere, caratterizzate da un’iconografia piuttosto triviale. Rivedute e rielaborate in chiave realista, come qui, o espressionista e cubofuturista, ritornano nella sua opera scene di violenze d’ogni genere, come quelle che lo avevano impressionato, anni prima, in periodici illustrati di provenienza americana: dalle avventure di Buffalo Bill e del detective Nick Carter a tenebrosi romanzi a puntate come Jack il misterioso assassino di fanciulle.

Il giovane Grosz comincia a sognare di diventare artista mirando - sulla base delle suggestioni visive adolescenziali - alla grande illustrazione della realtà contemporanea. Vuole fare il pittore di storia ed eseguire composizioni complesse e movimentate, efficacemente “naturalistiche” come quelle di certi pittori di provincia, solo localmente noti e popolari, da cui si sforza di copiare «soldati e monaci gozzoviglianti».

Erano i volgarizzatori di Adolph Menzel - epico narratore della Germania del XIX secolo con una pittura dallo stile preciso, attento ai dettagli, ben radicata nella tradizione accademica tedesca ma al tempo stesso ricca di un gusto aneddotico, ironico, talvolta anche popolaresco - che pure sarebbe diventato un suo più nobile modello.



Circe (1912-1913).

Ma per essere un pittore di storia deve imparare a comporre; e il luogo più adatto è l’Accademia. Frequenta dunque, tra 1909 e 1911, le prime classi dell’Accademia di Dresda, dove uno dei professori gli suggerisce di studiare gli antichi maestri, lasciando perdere le novità alla moda, gli effetti del sole sui tavoli delle birrerie o «quell’altra sciocchezza del divisionismo». Così Grosz si mette a disegnare una scena di diluvio, che risulta però tutt’altro che facile: «Dopo la centesima persona, l’immaginazione mi abbandonò.

Il mio realismo mi spingeva a far sì che ogni minuscolo personaggio fosse leggermente diverso dagli altri, e quindi c’era l’alto, il basso, il grasso, il magro. Le donne poi erano particolarmente difficili da ritrarre [...]. Avevo scarsissima conoscenza del nudo, specie di quello femminile […]. Così disegnai le donne esattamente come gli uomini, con la sola differenza che detti a tutte petti pronunciatissimi. La composizione non è semplice».

Intanto, «alla maniera dell’antica scuola di disegno giapponese», copia dal vero su un taccuino la gente che va spasso, legge il giornale o sta seduta al caffè; ed esegue caricature. Con l’amico d’allora Herbert Fiedler gira per la periferia e schizza corsivamente quello che vede: le nuove grandi case popolari, le miserie della città, i treni sui ponti, le fabbriche, le ciminiere, la polizia che fa una retata. A casa, invece, disegna in una maniera molto più dettagliata e descrittiva, che riemergerà nelle sue opere al tempo della Nuova oggettività.

Quanto al problema del nudo, per risolverlo comincia a eseguire copie da Rubens, visto in riproduzioni o dal vero nella Gemäldegalerie di Dresda, in modo da acquisire maggior familiarità con l’anatomia femminile: lo stile inizialmente naturalistico di tali disegni, risalenti al 1912, gradatamente si evolve attraverso un processo di semplificazione e stilizzazione influenzato dall’avanguardia cubofuturista e dalla tendenza alla deformazione della figura tipica dell’espressionismo, con cui Grosz entra in contatto a Berlino dove allora si era trasferito. È qui che si determina la formazione decisiva per il suo stile, tra 1912 e 1914 quando la capitale tedesca si afferma come centro artistico internazionale dove convergono artisti da tutta Europa; fondamentale è l’attività di Herwarth Walden, dal 1910 editore della rivista “Der Sturm” e animatore dell’omonima galleria, nella quale nella primavera del 1912 arrivano i futuristi italiani e, l’anno dopo, si tiene il primo Herbstsalon tedesco, mostra importantissima con, ancora, i futuristi ma adesso a confronto con le altre avanguardie europee, espressioniste e cubiste.


Acrobati (1915).
Eseguito a penna, fa parte di una serie di cinque disegni intitolata Danze di acrobati. È il periodo in cui, con l’amico Herbert Fiedler, Grosz divide un appartamento a Südende, nella periferia di Berlino, e con lui bighellona e disegna, di giorno e di notte, in giro per i sobborghi della città. Meta prediletta sono spettacoli popolari e parchi di divertimento, in una Berlino notturna piena di caffè e birrerie a buon mercato dove si comincia anche a sentire una specie di jazz; ma più simile, ricorda Grosz, a «un’orchestra da ballo viennese improvvisamente impazzita» che a dell’autentico jazz. “Clownerie”, varietà ed esibizioni circensi costituiscono una sorta di luogo comune letterario che trova in questo Grosz una puntuale rispondenza artistica (e poi la massima consacrazione cinematografica nell’Angelo azzurro, 1930, di Josef von Sternberg). Il modo di disegnare comincia ad avvicinarsi a quello stile «duro come il coltello» che della sua grafica sta diventando carattere tipico e distintivo.

Non bisogna infine sottovalutare - per ritornare a fonti meno nobili o sperimentali - come alla formazione del suo stile concorra la passione per caricatura e caricaturisti, cui si sente affine per una certa inclinazione all’eccessivo. Wilhelm Busch e Adolf Hengeler sono i suoi preferiti tra i disegnatori dei “Fliegende Blätter” (“Fogli volanti”) - giornale umoristico e di satira politica pubblicato dal 1845 - richiamandosi appunto a quei “fogli” che nella Germania della Riforma e della Guerra dei contadini diffondevano anche con immagini le idee rivoluzionarie del tempo.

Tra gli autori generalmente considerati di maggior dignità artistica che si sono misurati con la pratica della caricatura, Grosz dichiara di guardare con particolare ammirazione a Honoré Daumier, Toulouse- Lautrec, Thomas Rowlandson, Francisco Goya e Jean-Louis Forain, sentendosi loro accomunato dall’idea di rappresentare in un certo senso realisticamente, senza idealizzazioni, storia e società contemporanee.

Sulla base di tali intricate suggestioni e idee, nell’immediato anteguerra arriva a una maniera che già lascia intravedere il suo più tipico stile grafico caratterizzato da una radicale riduzione del segno, sempre più sintetico e al tempo stesso spudoratamente espressivo. Le fonti ricordate - da Rubens a Busch, alte e basse - vengono combinate con modelli ancor più sorprendenti, che l’artista ricorda nello scritto del 1925 L'arte è in pericolo: «Ho copiato nei pisciatoi disegni popolari, che mi apparivano l’espressione e la traduzione più diretta di un forte sentimento. Mi hanno stimolato anche i disegni dei bambini per la loro chiarezza. Così sono arrivato, a poco a poco, a uno stile duro come il coltello». Con questo stile «duro come il coltello», negli anni di guerra Grosz comincia a rappresentare graficamente un mondo sottosopra, nel quale squallori e miserie quotidiane si svolgono in un teatro catastrofico. Lo scenario è la città moderna.


Nudo di donna seduta (1916).
Nell’autobiografia, Grosz dedica un capitolo – La visione – alla prima esperienza visiva adolescenziale di un nudo femminile; era la zia d’un amico, spiata una sera di nascosto: «Ero sopraffatto dalle sue ampie natiche rosa e rotonde, con le loro deliziose fossette. Notai le pieghe di grasso, non insolite nelle donne in carne, e fissai con gioiosa sorpresa l’ampia zona scura e pubescente sotto il suo stomaco lievemente pronunciato […]. Sotto le braccia aveva gli stessi peli scuri, piccole oasi in un ampio, liscio, ondulato paesaggio di carne». Da disegnatore, Grosz lavora intensamente sul nudo femminile tra 1912 e 1916, inizialmente esercitandosi in Accademia e ispirandosi soprattutto alle esuberanti donne di Rubens. È ancora alla ricerca di un proprio stile e si muove tra la deformazione espressionistica della figura, la sua decisa sintesi grafica e soluzioni più plastiche e imitative, come in questo disegno.

GROSZ
GROSZ
Antonello Negri
L'immagine cupa della Germania anni Venti deriva in gran parte dal lavoro del berlinese George Grosz (1893-1959). Pittore, disegnatore e insegnante si forma negli anni Dieci del Novecento secondo i modelli, allora in voga, di matrice futurista e cubista. Aderisce poi all'espressionismo che si diffonde in Germania in seguito al disastro della prima guerra mondiale. Le sue opere presentano uno stile duro, violento, con figure rigide e scomposte come burattini, le sue ambientazioni urbane sono popolate di relitti umani e tronfi uomini di potere, ogni sua opera manifesta una critica senza remissione della società del suo tempo. Con gli anni Trenta e l'avvento al potere del regime nazista la sua opera è classificata tra le manifestazioni artistiche ritenute “degenerate” e nel 1933 Grosz si rifugia negli Stati Uniti, per rientrare a Berlino solo nel 1958.