Ciò nella parte più importante della sua opera costituisce un forte e precoce leitmotiv.
Le ragioni di tale doppio registro si ritrovano, all’inizio del Novecento, nei primi interessi di Grosz per illustrazioni e figurazioni popolari e nella successiva formazione artistica, da egli stesso raccontati nell’autobiografia pubblicata a New York nel 1946 (e tempestivamente tradotta in Italia due anni dopo con il titolo Un piccolo sì e un grande no). Questo testo pieno di verve è una guida efficace per entrare sia in certe originarie suggestioni visive, sia nella messa a punto di propri caratteri di stile e meccanismi compositivi alle soglie della Grande guerra.
Prima dell’Accademia, durante infanzia e adolescenza, le “figure” che più lo attraggono sono principalmente di due tipi: le illustrazioni impressionanti, truculente, dei giornali popolari e i panorami dipinti che stupefacevano grandi e bambini nelle fiere viaggianti. Ricorda, a proposito delle prime, come nulla lo colpisse di più del “Leipziger Illustrirte Zeitung” con le sue magnifiche xilografie: «Una volta vi fu pubblicata la scena d’un incendio, che occupava due facciate e rimase sempre viva e fresca nella mia memoria: quando, non molto tempo dopo, ci fu un terribile incendio nel nostro quartiere […] lo vidi solamente come una scena del Leipziger Illustrirte Zeitung, con tutto il suo tono romanzesco, il suo terrificante movimento e la sua drammaticità».