SPIRITO DADA E
SUGGESTIONI METAFISICHE

Intanto finisce la guerra, crolla l’impero e la Germania, che si avvia a diventare una repubblica socialdemocratica, è percorsa da venti rivoluzionari, come in Russia.

GGrosz si iscrive al Partito comunista e inizia un’attività di agitazione politica attraverso disegni satirici pubblicati in riviste più o meno effimere - “Neue Jugend”, “Jedermann sein eigner Fussball”, “Der blutige Ernst”, “Die Pleite”, “Der Gegner” - che si caratterizzano anche per una grafica sperimentale basata su anticonformisti montaggi di caratteri tipografici e immagini fotografiche. È lo spirito del Dada berlinese il cui esordio pubblico è la Prima mostra internazionale dada organizzata nell’estate 1920, dove Grosz gioca un ruolo centrale insieme a Raoul Hausmann e John Heartfield (altra americanizzazione del cognome tedesco Herzfelde). Vengono esposti quadri e opere di grafica ma soprattutto composizioni intenzionalmente anti-artistiche e di carattere politico: il clima della mostra è antipatriottico - al soffitto è appeso un maiale-fantoccio Grosz insieme a Heartfield - e i partecipanti sono in gran parte comunisti. È un momento di particolare sintonia con i costruttivisti sovietici, ai quali li lega l’idea che l’artista adesso debba essere una specie di ingegnere, un tecnico “montatore” d’immagini: assemblaggi di oggetti, collage e fotomontaggi sembrano indicare una prospettiva molto più stimolante della pittura, anche della pittura vestito da ufficiale, inventato dallo stesso d’avanguardia, che i dadaisti mettono alla berlina. In una serie di manifesti e volantini grandi e piccoli (“Schriftplakaten”) esposti insieme alle opere, i dadaisti sintetizzano il loro programma nella negazione dell’arte vecchia e nuova («Abbasso l’arte! / Abbasso la spiritualità borghese!»; «DADA è contro gli imbrogli artistici degli espressionisti!») e nel sostegno di un’arte di nuova specie - «La fotografia scaccerà la pittura e la sostituirà completamente»; «L’arte è morta / Viva la nuova arte macchinista / di Tatlin») - di cui si dichiara senza mezzi termini il carattere politico: «DADA sta dalla parte del proletariato rivoluzionario»; «DADA è politico».

Pagina di “Neue Jugend” (1917).


Grosz e John Heartfield alla Dada-Messe di Berlino reggono un cartello con la scritta «L’arte è morta. Viva la nuova arte macchinista di Tatlin» (1920).


I guaritori, in Gott mit uns (1920). L’abbreviazione “KV” corrisponde all’italiano “Abile”.

Grosz, che per l’occasione è fregiato del paradossale e beffardo titolo di “marschall”, maresciallo (Hausmann è il “dadasoph” e Heartfield il “monteurdada”), vi espone Germania, una fiaba d’inverno, disegni, montaggi e fogli della cartella grafica antimilitarista Gott mit uns (Dio con noi). Il quadro è riconoscibile in una famosa fotografia dell’inaugurazione della mostra dove compare anche un Grosz molto distinto in piedi, con cappello e bastone. La stessa fotografia è alla base di un’illustrazione - disegnata con qualche modifica: il quadro Germania, una fiaba d’inverno vi è infatti sostituito da una scena di mutilati di guerra di Dix, pure esposta nell’occasione - pubblicata nel settimanale milanese “La Domenica Illustrata” il 14 luglio 1920 con un’irridente didascalia: «Alla soglia della pazzia. A Berlino i “dadaisti” hanno inaugurato un’esposizione dove si ammirano manichini, statue, quadri e fantocci il cui senso lugubre è soffocato dal grottesco». È la prima volta che Grosz compare, anche se non è indicato il suo nome, in una pubblicazione italiana.


Inaugurazione della Prima mostra internazionale dada (Dada-Messe) a Berlino (1920).


I comunisti calano e la valuta estera sale, in Gott mit uns (1920).


Una novità sono adesso suoi collage combinati a parti grafiche, come Il colpevole rimane sconosciuto del 1919 e “Daum” sposa il suo pedante automa “George” nel maggio 1920. John Heartfield ne è molto felice: una composizione, quest’ultima, riferita al recente matrimonio dell’artista che mette in luce qualche affinità - sua e di altri artisti tedeschi del tempo, non solo dadaisti - con la Metafisica di de Chirico e con il movimento italiano di Valori plastici, intorno al quale già nel 1919 scrive la rivista berlinese “Das Kunstblatt” individuandone il protagonista in Carlo Carrà. Secondo “Das Kunstblatt” è proprio Grosz, in Germania, l’artista che percorre una strada analoga al peculiare verismo di Carrà, caratterizzato da disegno corretto, duro, senza tracce di calligrafia.

Le reciproche attenzioni tra Italia e Germania - di antica tradizione - vedono adesso in prima linea due artisti in apparenza così diversi come Grosz e Carrà, il cui Pino sul mare è da tanti tedeschi guardato come un archetipo del “ritorno all’ordine” degli anni Venti. In Italia, intanto, le Edizioni di Valori plastici pubblicano due volumetti su altrettanti artisti tedeschi: nel 1923, proprio Carrà introduce quello dedicato a Georg Schrimpf, mentre l’anno dopo la casa editrice romana, espressione di un movimento artistico ormai pienamente affermato, dedica a Grosz una delle sue prime monografie, con un testo di Italo Tavolato. La lettura del critico italiano può apparire oggi sorprendente. A suo parere l’opera di Grosz sta nel campo dell’arte classica perché «rappresenta una realtà interiore, intuitiva, visionaria, più vera della realtà esteriore, materiale, visibile. Il suo modo espressivo è quello dell’arte classica: con elementi formali che non possono essere verificati sul modello, che cioè non si manifestano in natura, con tratti creati e non copiati, dà forma a una nuova realtà vera e originale e raggiunge, attraverso le sue definizioni di tipi, una verosimiglianza e una vitalità superiori alla verosimiglianza e alla vitalità empiriche». Addirittura, nonostante i suoi personaggi siano «macchine tra le macchine» raffigurate in sordidi luoghi della civiltà urbana contemporanea secondo i principi del futurismo e dell’espressionismo, la sua satira assume un andamento e una profondità “religiosi”.

L’arte di Grosz attinge alla metafisica perché riesce a distaccarsi dal qui e ora, dalle contingenze della storia, per arrivare a valori più liberi ed eterni: nella sua satira anche il borghese - continua Tavolato - diventa una figura metastorica, un po’ come il peccatore del mito cristiano: «Più che un processo di critica sociale, per Grosz la distruzione del borghese è un rito religioso, l’offerta del capro espiatorio alla divinità offesa perché plachi la sua collera e faccia rinascere sulla terra la grandezza originaria e l’antica bellezza».


“Daum” sposa il suo pedante automa “George” nel maggio 1920. John Heartfield ne è molto felice (1920); Berlino, Berlinische Galerie.

Il volumetto di Valori plastici dedicato a Grosz, pubblicato a Roma nel 1924 in francese, è illustrato principalmente da lavori di grafica. In pittura, i modi compositivi grosziani dei secondi anni Dieci, d’impianto cubofuturista e dai colori accesi e cupi di tradizione espressionista, sono nel frattempo lasciati alle spalle. Daum segna un punto di svolta: atmosfere magicamente sospese, prospettive interne e prospettive esterne nettamente delineate, personaggi come manichini senza volto montati con elementi meccanici disegnati o ritagliati da illustrazioni fotografiche di macchine e ingranaggi si ritrovano in altri lavori del 1920-1921 come Automi repubblicani e L’uomo nuovo. Nel primo, entrambi gli “automi” sono mutilati di guerra senza cervello che continuano a comportarsi da imperterriti nazionalisti, sventolando con una protesi la bandiera tedesca o lanciando meccanicamente degli urrà. Nel secondo, la figura che attraversa una strana stanza tutta geometrica non ha invece una connotazione negativa.


Automi repubblicani (1920); New York, MoMA - Museum of Modern Art.


L’uomo nuovo (1921).

La scatola metafisica - ma anche “razionale” - dove un uomo senza volto si muove a passo di corsa si direbbe l’atelier di un artista di genere mai visto, che non usa i soliti strumenti del pittore romantico, pennello e tavolozza, ma una squadra a T tipica di una progettazione da architetto o ingegnere: sul cavalletto, non a caso, non c’è un quadro ma il disegno tecnico di un motore bicilindrico a V per automobili leggere, o motociclette. Un “punching ball”, l’accessorio più importante per l’allenamento del pugile, ci dice che l’uomo nuovo non è solo preciso e costruttivo ma anche sportivo, fatto per la “Sachlichkeit”, la dinamica oggettività di una società moderna che non si perde nel superfluo, nel decorativo, nel sentimentale. «Chi s’interessa d’arte», scriverà di lì a poco Grosz in L'arte è in pericolo, «è attratto dalla bellezza della tecnica e diventa presto un vero “costruttivista”».

GROSZ
GROSZ
Antonello Negri
L'immagine cupa della Germania anni Venti deriva in gran parte dal lavoro del berlinese George Grosz (1893-1959). Pittore, disegnatore e insegnante si forma negli anni Dieci del Novecento secondo i modelli, allora in voga, di matrice futurista e cubista. Aderisce poi all'espressionismo che si diffonde in Germania in seguito al disastro della prima guerra mondiale. Le sue opere presentano uno stile duro, violento, con figure rigide e scomposte come burattini, le sue ambientazioni urbane sono popolate di relitti umani e tronfi uomini di potere, ogni sua opera manifesta una critica senza remissione della società del suo tempo. Con gli anni Trenta e l'avvento al potere del regime nazista la sua opera è classificata tra le manifestazioni artistiche ritenute “degenerate” e nel 1933 Grosz si rifugia negli Stati Uniti, per rientrare a Berlino solo nel 1958.