IL MITO DI DANTE
E LA FORZA DELLA LIBERTà

Scomparso a soli trentatré anni, sempre nel 1824, Géricault era destinato a entrare nella leggenda, ma non a guidare la scuola romantica che troverà il suo capo in un degno erede, Eugène Delacroix.

La sua straordinaria popolarità lo collocherà a fianco degli altri due idoli del romanticismo, il poeta e romanziere Victor Hugo e il musicista Hector Berlioz. Egli aveva debuttato al Salon del 1822 con La barca di Dante, una scena che trascinava il pubblico negli abissi onirici della Divina commedia, rappresentata con modalità non molto differenti da quelle di Géricault, in particolare nel riferimento al Michelangelo del Giudizio universale, che facevano emergere il dramma di un’umanità dannata, ridotta a un’angoscia e a una disperazione quasi animali. Alla verità giornalistica a cui si era ispirato Géricault si affiancava, sostituendo la superata mitologia, la suggestione di un testo poetico del tardo Medioevo, in quello che diventerà un confronto sempre più serrato tra le arti figurative e il mondo delle lettere. Non più i classici, ma piuttosto Tasso, Shakespeare, Goethe, Byron.

Proprio il poema dantesco diventerà, soppiantando come bibbia degli artisti le Metamorfosi di Ovidio, un immenso serbatoio di episodi, figure, immagini per pittori, scultori e illustratori di ogni nazionalità. Gli dei e gli eroi della mitologia cedevano il passo a Paolo e Francesca, al conte Ugolino, a Pia de’ Tolomei, a Beatrice. Così i viaggiatori che continuavano a scendere dai paesi del Nord in Italia non si muovevano più solo sulle rotte dell’antichità, alla ricerca delle rovine e dei marmi classici, ma preferivano sostare nei santuari dell’ormai riscoperto e prediletto Medioevo. Sicuramente il più frequentato, vero luogo di culto dell’Ottocento romantico, è stato il Camposanto di Pisa, celebrato come un grandioso museo dell’arte dell’affresco dalle origini al Quattrocento, da Giotto a Benozzo Gozzoli. Un dipinto eseguito nel 1858 dal grande architetto bavarese Leo von Klenze ci mostra come doveva apparire allora, agli occhi dei visitatori stupefatti, quel luogo incantato, che sarà irrimediabilmente danneggiato durante la seconda guerra mondiale.

Leo von Klenze, Veduta del Camposanto di Pisa (1858); Monaco di Baviera, Neue Pinakothek.


Eugène Delacroix, La barca di Dante (1822); Parigi, Musée du Louvre.

Proprio Dante è stato quasi per tutto l’Ottocento il migliore Cicerone, la guida privilegiata per accedere ai misteri e agli incanti del Medioevo. Tra i tanti esempi che si potrebbero fare, appare significativa la vicenda del pittore tirolese Jospeh Anton Koch che, dopo aver sostato a lungo nel Camposanto pisano a studiarvi e ricopiare nei suoi taccuini gli affreschi medievali, vi si ispirò per illustrare alcuni passi della Commedia e per dipingere nel 1825, anche lui ad affresco, la stanza dedicata a Dante nel famoso Casino del conte Massimo a Roma. Questa grandiosa impresa decorativa, con gli altri ambienti dedicati ai poemi di Tasso e Ariosto, vide impegnati altri esponenti del romanticismo tedesco, quelli che si sono riconosciuti nel raggruppamento dei cosiddetti nazareni, come Friedrich Overbeck e Julius Schnorr von Carolsfeld. Tra il Dante di Delacroix e quello di Koch la distanza sembra davvero incolmabile, e ci conferma come, anche per quanto riguarda gli stessi temi, la pittura romantica si sia manifestata, a seconda dei luoghi e delle situazioni, con risultati formali completamente differenti.

Le sempre più frequenti evasioni nel passato e le scorribande nei territori della letteratura e della fantasia non cancellarono l’interesse per l’attualità che continuò a esercitare un grande fascino sugli artisti e sul pubblico.


Friedrich Overbeck, Pietro d’Amiens nomina Goffredo da Buglione capo dell’esercito cristiano (1825); Roma, Casino Massimo Lancellotti, stanza del Tasso.

Joseph Anton Koch, L’Inferno (1825); Roma, Casino Massimo Lancellotti, stanza di Dante.


Giuseppe Diotti, Il conte Ugolino nella torre (1832); Brescia, Musei civici d’arte e storia, palazzo Tosio.

In tutta Europa, ma soprattutto in Francia e in Italia l’opinione pubblica si appassionò alle drammatiche vicende della lotta combattuta dal popolo greco per la propria indipendenza contro il feroce dominio dell’Impero ottomano. Si riproponeva il tradizionale conflitto tra Oriente e Occidente, tra l’islam e la cristianità, vissuto come una moderna crociata e in quanto tale rappresentato anche dagli artisti che del resto avevano già individuato nelle stesse crociate un tema prediletto per la pittura storica.

Questa passione filellenica, destinata a diventare una vera e propria moda grazie anche al contributo decisivo di Byron andato in Grecia per partecipare all’insurrezione trovandovi la morte, è stata rappresentata in maniera molto diversa dalla pitttura francese e da quella italiana, come può dimostrare il confronto tra due capolavori di Delacroix e del contemporaneo Francesco Hayez. Gli Episodi dei massacri di Scio: famiglie greche attendono la morte o la schiavitù del primo, esposto al Salon del 1824, e Gli abitanti di Parga che abbandonano la loro patria del secondo, iniziato nel 1826 e terminato per l’esposizione milanese di Brera del 1831, hanno in comune la rappresentazione corale del popolo, che gli artisti romantici, ma anche letterati e musicisti - si pensi ai cori dei grandi melodrammi - hanno promosso a protagonista, al posto degli eroi della pittura storica precedente. Del resto, dopo le vicende vittoriose della guerra d’indipendenza americana e della Rivoluzione francese, proprio il popolo sarà considerato il vero protagonista della storia. Questi due quadri, che condividono una suggestiva dimensione corale e la disposizione panoramica, risultano però completamente diversi nella costruzione dell’immagine. Delacroix, partendo da riferimenti formali apparentemente inconciliabili come potevano essere la foga di Rubens e le miniature persiane da lui collezionate, finiva con il realizzare un dipinto dal punto di vista formale assolutamente rivoluzionario, fuori da tutte le regole di prospettiva e di simmetria. Lo stesso Gros, considerato un anticipatore della nuova visione romantica, ne rimase, come quasi tutti allora, tanto sconvolto da dichiarare, con un ironico gioco di parole riferito al titolo: «Ma questo è il massacro della pittura». Nell’opera, imposta da Hayez al suo committente il conte bresciano Paolo Tosio che avrebbe preferito un soggetto mitologico, la scena - più tradizionalmente composta e ordinata - appare molto meno tragica e nella struggente rappresentazione di questo popolo, sulla via dell’esilio, si può cogliere una facile allusione politica a quello italiano in quel momento senza una patria comune.


Eugène Delacroix, Episodi dei massacri di Scio: famiglie greche attendono la morte o la schiavitù (1824); Parigi, Musée du Louvre.
Ispirato a un fatto lontano nello spazio, ma molto vicino nel tempo e vivo nella coscienza dei progressisti in tutta Europa, cioè le lotte che si andavano combattendo per l’indipendenza della Grecia sentite come una moderna crociata, il dipinto, privo di un centro ed eseguito con una straordinaria forza sperimentale, sconvolgeva le regole della tradizionale pittura storica.

Ary Scheffer, Paolo e Francesca (1835); Londra, Wallace Collection.


Giuseppe Sabatelli, Farinata degli Uberti alla battaglia del Serchio (1842); Firenze, palazzo Pitti, Galleria d’arte moderna.

Oltre che quella del popolo, anche la rappresentazione della patria, della propria nazione diveniva uno dei grandi temi, un po’ ovunque, del romanticismo. Già nel 1808 Canova ne aveva offerto un’immagine di grande forza, e molto amata nel corso del nostro Risorgimento, nella figura dell’Italia piangente inserita nel Monumento funerario a Vittorio Alfieri eretto nella medievale basilica di Santa Croce a Firenze. Ancora come una donna addolorata, ma molto diversa da quella di Canova, ci appare la Grecia spirante sulle rovine di Missolungi dipinta nel 1826 da Delacroix. Essa sembra implorare da questo bellissimo dipinto l’aiuto dell’Europa democratica. Sarà nuovamente il capofila del romanticismo francese a dare nuovo slancio e significato all’iconografia della patria e del popolo, in uno dei dipinti più famosi dell’Ottocento, dal titolo icastico 28 luglio 1830: la Libertà che guida il popolo. Quest’immagine davvero trascinante nella sua immediata forza comunicativa sembrò l’ideale trasposizione visiva dell’inno nazionale la Marsigliese, anche se non mancò di suscitare polemiche e imbarazzo al Salon del 1831. Lo stesso imbarazzo che ha accompagnato la sua storia tormentata, dato che acquistata dallo Stato non venne però esposta, se non per un brevissimo periodo, perché considerata sediziosa. Verrà riesposta significativamente in occasione di un’altra rivoluzione, nel 1848, e ancora nel 1855, ma solo per alcune settimane. Sarà definitivamente accessibile al pubblico solo a partire dal 1861, diventando una delle opere di culto del Louvre.


Francesco Hayez, Gli abitanti di Parga che abbandonano la loro patria (1826-1830); Brescia, Musei civici d’arte e storia, pinacoteca Tosio Martinengo.

Joseph-Denis Odevaere, La morte di lord Byron a Missolungi (1826); Bruges, Groeningemuseum.


Ary Scheffer, Le donne di Suli (1827); Parigi, Musée du Louvre.


Ludovico Lipparini, Morte di Marco Botsaris (1841); Trieste, Civico museo Sartorio.

Questo quadro ha comunque esercitato un’enorme influenza e ne ritroviamo lo spirito nella monumentale tela del 1835 di Gustaaf Wappers che rappresenta, anche se in una dimensione più illustrativa priva di quella particolare tensione allegorica, un Episodio della rivoluzione belga del 1830, e nella Cacciata dei tedeschi da Genova per il moto del Balilla, iniziato nel 1838 da Emilio Busi e terminato nel 1842 dopo la sua morte da Luigi Asioli, quasi a incitare il popolo italiano a una nuova rivolta, come avverrà effetivamente nel 1848. In quell’occasione sarà Hayez a offrire un’allegoria attualissima della patria “bella e perduta” nella indimenticabile nudità della Meditazione, la donna sensualissima e dal seno scoperto con in mano la croce che reca la data delle gloriose Cinque giornate di Milano. Un’altra icona della rivoluzione è rappresentata dal grande rilievo commemorativo in pietra calcarea scolpito tra il 1833 e il 1836 da François Rude per l’Arco di trionfo dell’Étoile che, voluto da Napoleone e rimasto incompiuto, era stato ripreso proprio dopo le giornate del luglio 1830. Ma vi venne rappresentata non quella rivolta recente, bensì la Partenza dei volontari nel 1792, con una trasfigurazione eroica e allegorica della missione dell’esercito rivoluzionario, gli “enfants de la Patrie”, avviati alla conquista del mondo. Quest’opera di potenza michelangiolesca, forse il risultato più alto della scultura romantica, impressionò a tal punto l’immaginario collettivo che il popolo parigino, reduce dalle recenti barricate, la identificò con l’inno nazionale stesso cambiandone il titolo in quello, ancora in uso, di Marsigliese.


Emilio Busi e Luigi Asioli, La cacciata dei tedeschi da Genova per il moto del Balilla (1838-1842); Pistoia, Museo civico d’arte antica.


François Rude, La partenza dei volontari del 1792 (1833-1836); Parigi, Arco di trionfo dell’Étoile.
L’evidenza epica e la foga compositiva di questo straordinario bassorilievo, che infrangeva anche per certe evidenze realistiche le regole ancora classiciste della scultura monumentale, gli decretarono un successo popolare tale da essere identificato con l’inno nazionale stesso in cui la Francia si riconosceva.


Eugène Delacroix, La Grecia spirante sulle rovine di Missolungi (1826); Bordeaux, Musée des Beaux-Arts.


Francesco Hayez, La Meditazione (1851); Verona, Galleria d’arte moderna Achille Forti.

Eugène Delacroix, 28 luglio 1830: la Libertà che guida il popolo (1830); Parigi, Musée du Louvre.


Gustaaf Wappers, Episodio della rivoluzione belga del 1830 (1835); Bruxelles, Musée Royaux des Beaux-Arts.

ROMANTICISMO
ROMANTICISMO
Fernando Mazzocca
Tra Sette e Ottocento si afferma in Europa un movimento che, singolarmente, non dà origine a uno stile o a un linguaggio comuni; piuttosto a un’idea dell’arte, e soprattutto dell’artista come individuo assolutamente libero nel suo mondo creativo. È un’affermazione di portata rivoluzionaria: l’artista è un genio fuori da ogni regola, e questo spiega le differenti impostazioni e le varianti nazionali, individuali, le correnti che caratterizzano il romanticismo. Goya, Turner, Blake, Constable, Runge, Friedrich, Ingres, Géricault, Delacroix, Hayez hanno radicalmente mutato il nostro modo di guardare la natura e l’arte. Tra le molte rotture epocali che hanno movimentato l’estetica occidentale il romanticismo è quella che ancora oggi più ci coinvolge.