INGRES E DELACROIX.
LA POLEMICA
CLASSICO-ROMANTICA

La pittura di storia, che nonostante i limiti di una committenza radicalmente mutata rispetto al passato continuava a essere il genere privilegiato, percorreva molteplici direzioni rese possibili dalla straordinaria apertura dei suoi orizzonti tematici, dove la mitologia e la storia antica riuscivano a convivere con la cronaca contemporanea e le più imprevedibili incursioni nei territori sia delle memorie storiche locali che della letteratura.

L'orientamento del movimento classicista, che coincise in tempi diversi nei differenti ambiti nazionali con la cultura accademica e riconobbe la sua guida in Ingres, consacrato anche dalla nomina a direttore della sempre prestigiosa Accademia di Francia a Roma, favorì la sopravvivenza di una tradizione che da Poussin almeno sino a David aveva assicurato una sorta di primato internazionale della scuola francese. Sconvolti dalle provocazioni di Géricault, di Delacroix e dello schieramento romantico, i conservatori si riconobbero nel superbo mestiere di Ingres ribadito nel raffaellesco Voto di Luigi XIII alla Vergine, presentato al Salon del 1824 che vide infatti radicalizzarsi lo scontro tra il maturo maestro, convinto custode di canoni di bellezza perenni, e i più giovani che sembravano favorire con la rottura delle regole un pericoloso culto della bruttezza, l’anarchia addirittura.


Eugène Delacroix, Morte di Sardanapalo (1828); Parigi, Musée du Louvre.

Lo scontro tra classici e romantici, quale si ufficializzò in questo Salon per divenire poi il filo conduttore del dibattito artistico nei due decenni successivi anche fuori di Francia, era l’ultima ma ora più radicale manifestazione della tradizionale “querelle” critica tra antichi e moderni, che vedeva i nomi di Ingres e Delacroix, di diciotto anni più giovane del rivale, schierati l’uno contro l’altro come già Poussin e Rubens. Divisi dal pubblico e dalla critica in due fazioni opposte, essi sembravano confermare l’esistenza di due concezioni della pittura e di due stili talmente antitetici da escludersi a vicenda, come confermarono le opere da loro presentate al Salon del 1828. Delacroix nella Morte di Sardanapalo proponeva in una composizione dinamica e concitata un tenebroso, quanto poco noto, episodio di un’antichità barbarica e remota ispirato all’omonima tragedia di Byron.

A questa sconvolgente scena di lussuria e di morte Ingres contrappose la serenità monumentale dell’Apoteosi di Omero, resa con assoluta fedeltà ai canoni e ai valori della classicità restituiti in una composizione simmetrica, statica e solenne.


Jean-Auguste- Dominique Ingres, Apoteosi di Omero (1827); Parigi, Musée du Louvre.

Hippolyte (Paul) Delaroche, Artisti di tutti i tempi (1836-1841); Parigi, École des Beaux-Arts, emiciclo.

Ma, come dimostra lo straordinario giudizio di Alfred de Vigny, quest’opera può essere interpretata in chiave romantica come una gigantesca immagine votiva del culto, tipicamente ottocentesco, del genio. Omero, reggendo come uno scettro il suo bastone di mendicante cieco, ci appare circondato, come in un pantheon ideale o un Olimpo senza dei, dai più grandi poeti e artisti, i quali formavano, secondo De Vigny, «dai suoi tempi sino ai giorni nostri una catena pressoché ininterrotta di gloriosi esiliati, di coraggiose vittime della persecuzione, di pensatori assillati dalla miseria».

Questa gigantesca tela, destinata a uno dei soffitti del Louvre, anticipava un’altra popolare apoteosi, il dipinto murale semicircolare, rappresentante i maggiori Artisti di tutti i tempi, realizzato tra il 1836 e il 1841 con la recuperata tecnica dell’encausto da Paul Delaroche, già famoso per commoventi dipinti storici come L'esecuzione di lady Jane Grey esposto con enorme successo al Salon del 1834, per il grande emiciclo dell’École des Beaux-Arts di Parigi.


Hippolyte (Paul) Delaroche, L’esecuzione di lady Jane Grey (1833); Londra, National Gallery.

In questa sorta di diorama storico una schiera di figuranti in costume, impressionanti per un realismo che ci appare quasi fotografico proprio in singolare coincidenza con la nascita della fotografia, rendeva familiari a un pubblico entusiasta le fisionomie e i caratteri di quegli artisti le cui opere erano entrate nei nuovi musei pubblici sorti proprio in quel secolo in tutta Europa. Che il pubblico desiderasse familiarizzare non solo con l’aspetto, ma anche con le biografie dei grandi di cui andava riscoprendo i capolavori, lo conferma la straordinaria fortuna goduta da un particolarissimo genere di pittura storica relativo ai quadri ispirati alle vicende degli artisti del passato. Del resto i pittori contemporanei, spesso in conflitto con la società, amavano proiettarsi, sia in positivo che in negativo, negli onori o, più spesso, nelle vicissitudini incorsi ai loro predecessori. Tra i personaggi più rappresentati ritroviamo Leonardo, la cui fortuna iconografica è molto diffusa in Italia soprattutto a Milano, dove venne celebrato come nel grande dipinto di Giuseppe Diotti La corte di Ludovico il Moro (1823) in quanto autore del Cenacolo, e ancora di più Raffaello, amato da tutti e soprattutto da Ingres che, con malcelato orgoglio, doveva considerarsi una reincarnazione dell’Urbinate, di cui intendeva rappresentare i maggiori episodi di una vita esemplare.


Jean-Auguste- Dominique Ingres, La morte di Leonardo da Vinci (1818); Parigi, Petit Palais - Musée des Beaux-Arts de la Ville de Paris.

Jean-Auguste- Dominique Ingres, Raffaello e la Fornarina (1814); Cambridge (Massachusetts), Fogg Art Museum.


Horace Vernet, Raffaello al Vaticano (1833); Parigi, Musée du Louvre.
In questa scena molto animata, ambientata nel cortile di San Damaso in Vaticano, viene rievocata la rivalità, che nell’Ottocento ridestò molto interesse, tra Raffaello e Michelangelo visti come antitetici campioni di due diversi stili di vita e di arte. La scena avviene alla presenza di illustri testimoni come Leonardo, Bramante e papa Giulio II.

Francesco Hayez, Autoritratto con tigre e leone (1831); Milano, Museo Poldi Pezzoli.


Tommaso Minardi, Autoritratto (1813); Firenze, Gallerie degli Uffizi.

ROMANTICISMO
ROMANTICISMO
Fernando Mazzocca
Tra Sette e Ottocento si afferma in Europa un movimento che, singolarmente, non dà origine a uno stile o a un linguaggio comuni; piuttosto a un’idea dell’arte, e soprattutto dell’artista come individuo assolutamente libero nel suo mondo creativo. È un’affermazione di portata rivoluzionaria: l’artista è un genio fuori da ogni regola, e questo spiega le differenti impostazioni e le varianti nazionali, individuali, le correnti che caratterizzano il romanticismo. Goya, Turner, Blake, Constable, Runge, Friedrich, Ingres, Géricault, Delacroix, Hayez hanno radicalmente mutato il nostro modo di guardare la natura e l’arte. Tra le molte rotture epocali che hanno movimentato l’estetica occidentale il romanticismo è quella che ancora oggi più ci coinvolge.