LA NUOVA PITTURA DI STORIA
TRA ETÀ NAPOLEONICA
E RESTAURAZIONE

Autore con il celeberrimo Giuramento degli Orazi, realizzato a Roma nel 1784 ed esposto al Salon parigino dell’anno successivo, di un nuovo manifesto del neoclassicismo, Jacques-Louis David ha finito paradossalmente con lo scardinare le certezze di quello stile, aprendo nuovi orizzonti a un’arte straordinariamente popolare, proprio quando si è confrontato con la rappresentazione di un personaggio che, dopo Gesù Cristo, è stato forse l’individuo più decisivo per le sorti dell’umanità, Napoleone Bonaparte.

tra le più geniali intuizioni di colui che aveva conquistato rapidamente l’Europa c’è stata anche quella di usare l’arte come un formidabile strumento non solo di propaganda, come era spesso avvenuto, ma anche per creare il consenso, seducendo l’immaginario collettivo.

Aveva chiesto a David di trasfigurare un evento memorabile, cioè il trasferimento dell’esercito francese in Italia avvenuto con il passaggio delle Alpi il 20 maggio 1800. Fu lui stesso a suggerirgli di raffigurarlo «calmo su un fiero destriero». Nel monumentale Napoleone che attraversa il valico del San Bernardo, di cui l’artista eseguì con i suoi numerosi allievi diverse versioni tra loro molto simili, riuscì a trasferire un evento storico appena accaduto nel mito. Anche se si tratta di una mitologia tutta moderna. Questo risulta ancora più evidente, perché sappiamo che i fatti si erano svolti diversamente e Napoleone non aveva attraversato quell’impervio passo alpino sul fantastico cavallo, «il fiero destriero», creato da David che sembra ispirato a quelli dipinti da Van Dick, da Velázquez e da Rubens o alla gloriosa tradizione dei monumenti equestri come quello di Falconet allo zar Pietro il Grande, ma, molto più prosaicamente, a dorso di un povero mulo. Così e con un malcelato compiacimento verrà rappresentato nel corso dell’Ottocento, quando ancora Napoleone e la sua epopea, dall’“altare” alla “polvere”, occuperanno l’immaginario collettivo e continueranno a impegnare i pittori.

Il caso più celebre di questo contrappasso è stato quello del romantico Paul Delaroche che, con un quasi sadico gusto di revisionismo storico, e ribaltando deliberatamente l’iconografia di David, eseguirà verso il 1850 anche lui diverse versioni del suo Napoleone che attraversa il valico del San Bernardo. Invece David aveva proiettato l’immagine del suo amato condottiero nella storia e nel mito, inserendo attraverso la presenza dei loro nomi scolpiti nella roccia in primo piano il riferimento ai grandi uomini che lo avevano preceduto in quella straordinaria impresa, cioè Annibale e Carlo Magno.

Le gesta del leggendario generale cartaginese saranno evocate, circa dieci anni dopo, da Joseph Mallord William Turner, uno dei grandi protagonisti del romanticismo, nell’impressionante dipinto Bufera di neve: Annibale varca le Alpi col suo esercito, esposto nel 1812 alla Royal Academy di Londra. In quest’opera rivoluzionaria, che in una tela di grande formato eliminava i confini tra il paesaggio e la pittura storica, sconvolgendo nello stesso tempo le regole dei due generi, venivano proiettati in una visione apocalittica i timori suscitati negli inglesi da quello che sembrava l’inarrestabile trionfo del nemico Napoleone e dell’esercito francese. La vasta veduta era ispirata dall’esperienza diretta delle Alpi da lui attraversate per raggiungere l’Italia. Affascinato dalla loro sublime e primitiva bellezza, è stato il primo a rappresentarle anche in molti altri dipinti. Al di là del soggetto storico, non subito decifrabile, questo capolavoro ci commuove, come le successive opere di Turner, per la capacità di restituire con un linguaggio assolutamente originale la forza drammatica della natura sconvolta da una situazione atmosferica eccezionale.

Altri dipinti saranno da lui dedicati invece a eventi contemporanei, come i naufragi che allora impressionavano, anche per i resoconti della stampa popolare, l’opinione pubblica. Del resto la grande novità del romanticismo è stata la rappresentazione, a partire dal riscoperto Medioevo sino al presente, dei fatti della storia moderna destinati progressivamente a sostituire la mitologia e le gesta degli antichi greci e dei romani. Questi temi, che venivano considerati “nazionali”, prima trascurati e completamente trasfigurati in chiave celebrativa, saranno ora sollevati a dimensioni epiche per risvegliare le passioni e suscitare l’interesse dei popoli.


Hippolyte (Paul) Delaroche, Napoleone che attraversa il valico del San Bernardo (1850); Londra, St James’s Palace.

Proprio alla fine dell’età napoleonica l’esercito, individuato non più come casta separata, ma come espressione della partecipazione popolare e parte rappresentativa della nazione, era diventato protagonista della nuova pittura di storia destinata a essere ammirata e discussa nelle esposizioni prima della sua collocazione in luoghi pubblici. In realtà questa tendenza era già comparsa negli anni Ottanta del Settecento, con le vaste tele, popolari tanto in Inghilterra, quanto nel nuovo continente, ma poi diffuse in tutta Europa dalle incisioni, che rappresentavano le gloriose battaglie combattute per l’indipendenza degli Stati Uniti d’America. Pensiamo alle opere ancora coinvolgenti dei pittori patrioti americani trasferiti a Londra, come La morte del generale Wolfe (1770) e Il trattato di William Penn con gli indiani (1771) di Benjamin West, o La morte del maggiore Peirson realizzata tra il 1782 e il 1784 da John Singleton Copley. Ma ora questa epica contemporanea si manifestava in termini più grandiosi, e insieme più drammatici, con l’affermazione di un vero e proprio genere di pittura celebrativa, ma spesso visionaria, che rievocava, in dipinti sempre più smisurati nella loro apertura panoramica su luoghi entrati nella leggenda, le imprese napoleoniche.


William Turner, Bufera di neve: Annibale varca le Alpi col suo esercito (1812); Londra, Tate.

Il maggior protagonista, anche per la sua straordinaria forza espressiva, di questa eroica e tragica epopea è stato il più dotato degli allievi di David, Antoine-Jean Gros. Tra i molti dipinti dedicati alle gesta napoleoniche il più impressionante è stato Napoleone sul campo di battaglia di Eylau, esposto nel 1808 dopo aver vinto il concorso bandito l’anno precedente su questo tema. Quando le prove furono presentate al giudizio della commissione esaminatrice, un rapporto di polizia lamentò come gli artisti avessero «ammassato mutilazioni di ogni genere e tutte le varietà di una vasta carneficina, quasi dovessero dipingere proprio una scena d’orrore e di massacri e rendere esecrabile la guerra». Nel suo dipinto, tanto grande da racchiudere alcune figure di dimensioni due volte il naturale, Gros ha voluto esaltare il terribile contrasto tra il trionfo dei vincitori, rappresentati sullo sfondo - dove si segue bene la dinamica della battaglia - e nel secondo piano occupato dall’imperatore e dai suoi generali, e la tragedia dei vinti o comunque delle vittime di entrambe le parti. Questi sono individuati nell’aggrovigliato gruppo di cadaveri insanguinati e ricoperti di neve che, come Titani caduti, dominano con il loro agghiacciante realismo il primo piano della smisurata tela. In un quadro che doveva essere celebrativo, il pittore, che Napoleone ammirato dalla sua bravura nominò barone, finì con il denunciare gli orrori della guerra.


Benjamin West, La morte del generale Wolfe (1770); Ottawa, National Gallery of Canada.

Una denuncia ancora più radicale la ritroviamo dalla parte degli sconfitti, che nel caso della Spagna occupata dalle truppe napoleoniche ha avuto come interprete del suo grido di dolore uno degli artisti più grandi di tutti i tempi, il pittore di corte Francisco Goya. L’eroica e drammatica resistenza opposta, tra il 1804 e il 1814, dal popolo spagnolo all’invasione napoleonica, veniva rappresentata, trasferendola in una dimensione di tragedia universale, nella ora celebre serie delle ottanta acqueforti intitolate I disastri della guerra, pubblicate postume solo nel 1863, e nel grande dipinto che rievocava Il 3 maggio 1808, una desolata scena di fucilazione dove le forze oscure di una morte ingiusta e senza riscatto sembrano prendere il sopravvento su un mondo che ha smarrito sempre più la ragione. Già nel 1797 in una delle incisioni di Los caprichos, Il sonno della ragione genera mostri, troviamo una sorta di premonizione di questa terribile deriva che il romanticismo avrà il coraggio e la forza di esplorare.


Antoine-Jean Gros, Napoleone sul campo di battaglia di Eylau (1808); Parigi, Musée du Louvre.

L’originalità dello stile personalissimo e la forza di denuncia della pittura e della grafica di Goya avevano definitivamente sconvolto le regole tradizionali del genere storico. Lo stesso effetto lo ritroviamo nell’ammasso di cadaveri sfigurati rappresentati nel capolavoro di Gros. I particolari raccapriccianti, come le gocce di sangue rappreso sulla baionetta, turbarono il pubblico parigino abituato alla levigatezza dei nudi statuari neoclassici. Anche i pittori più giovani rimasero impressionati ed esaltati da questa inedita violenza espressiva. Si tratta di quegli stessi pittori che, di lì a qualche anno, formeranno quella che verrà chiamata la Scuola romantica. Del resto nel 1831, dalle autorevoli pagine della rivista “L’Artiste”, l’influente critico Victor Schoelcher indicava proprio nel dipinto di Gros l’inizio del nuovo movimento.


Francisco Goya, Il 3 maggio 1808 (1814); Madrid, Museo Nacional del Prado.
Dopo aver documentato in una serie di ottanta incisioni, dedicate ai Disastri della guerra, gli orrori delle campagne napoleoniche in Spagna, a Goya vennero commissionati nel 1814, dopo la disfatta dell’impero francese, due grandi dipinti in cui questa denuncia assumeva un rilievo monumentale senza perdere nulla della sua violenza.


Francisco Goya, Saturno divora uno dei suoi figli (1820-1823); Madrid, Museo Nacional del Prado.

Il suo primo protagonista è stato Théodore Géricault, allora il più accanito degli ammiratori di Gros che del Napoleone sul campo di battaglia di Eylau ha preso, come ha notato Lorenz Eitner, «il primo piano della sofferenza umana, omettendo l’apoteosi ». Il riferimento è a un’opera davvero epocale La zattera della Medusa, che rimane il vertice più alto raggiunto dalla pittura romantica, presentato al Salon del 1819 dove venne percepito come una svolta definitiva nella storia dell’arte. Ci colpisce prima di tutto per le dimensioni, inaspettate per un dipinto che non rappresenta un evento storico, una grande battaglia, ma solo uno scandaloso fatto di cronaca accaduto nel 1816. Si trattava del naufragio di una fregata francese, la Medusa, il cui comandante aveva preferito salvare se stesso e i suoi ufficiali, di alta estrazione sociale, nelle sole sei scialuppe disponibili, abbandonando invece i ranghi inferiori e i passeggeri, centocinquanta tra soldati e coloni tra cui una donna diretti al Senegal, su una zattera mal costruita. Due dei quindici sopravvissuti avevano reso nota, in un raccapricciante resoconto che impressionò molto l’opinione pubblica, la cronaca di quei terribili tredici giorni trascorsi su una cassa da morto che navigava nell’ignoto.


Théodore Géricault, La zattera della Medusa (1819); Parigi, Musée du Louvre.

Rimane fondamentale il fatto che Géricault abbia eseguito questo dipinto monumentale di sua iniziativa, senza aver avuto nessuna commissione; intendendo rappresentare in dimensioni epiche, sinora esclusive della pittura celebrativa, le vicende della gente comune solitamente relegate in quadri di piccolo formato e di gusto aneddotico. L’evento veniva trasfigurato in una sorta di allegoria politica che metteva sotto accusa sia la società della Restaurazione segnata dal recente ritorno della vecchia monarchia, sia la tradizionale gerarchia dei generi. Infatti il capitano senza umanità e senza onore era un giovane aristocratico messo in quel posto dal governo di Luigi XVIII. Il grande storico Jules Michelet scorse in quell’opera la rappresentazione allegorica di un paese senza più valori, che slittava verso una pericolosa deriva: «È la Francia stessa, è la nostra società intera che egli [Géricault] imbarca su quella zattera». La novità assoluta di questo dipinto sta anche nelle modalità d’esecuzione, segnate da un lavoro preliminare, per cui il pittore, come un giornalista di cronaca, aveva intervistato i sopravvissuti e visitato le coste della Normandia per studiare il movimento delle acque. Aveva allestito nel suo studio un modello della zattera collocandovi le figurine in cera dei naufraghi. Aveva visitato ospizi, ospedali e camere mortuarie per studiare dal vero gli effetti della malattia e della morte. Anche se alla fine, nella solenne struttura della composizione e nell’atteggiamento dei nudi atletici ed eroici, non emaciati e ricoperti di piaghe e di ferite come dovevano essere stati nella realtà, risolveva la scena in una tragica dimensione epica nella tradizione della rappresentazione del terrore e del sublime il cui principale modello di riferimento rimaneva Michelangelo pittore. Sicuramente quest’ultimo è stato l’artista che i romantici hanno messo sul trono prima riservato a Raffaello che comunque continuava a essere l’idolo del classicista Jean-Auguste-Dominique Ingres.


Théodore Géricault, Teste di giustiziati (1818 circa); Stoccolma, Nationalmuseum.

La potenza michelangiolesca di questo quadro, così magniloquente nella sua tragica solennità, dava al fatto contingente un significato universale facendolo diventare simbolo della miseria umana, dell’angoscia e del mistero della vita quando ci si trova di fronte alla morte. Dipinti dedicati alle vicende della storia contemporanea diventarono sempre più frequenti in Francia e in Inghilterra, meno in Italia forse per la situazione politica sfavorevole di un paese diviso sotto il dominio straniero. Sembravano fatti per suscitare l’interesse del pubblico che nelle grandi città, da Londra a Parigi, da Monaco a Milano, affollava le esposizioni, appassionandosi e discutendo animatamente delle opere. Un dipinto di François-Jospeh-Heim, rappresentante Carlo X che distribuisce i premi al Salon del 1824, ci restituisce con grande vivacità il clima della più importante e frequentata di queste rassegne, con la caratteristica disposizione dei dipinti affastellati uno sopra l’altro su pareti incredibilmente affollate. Una cerimonia del genere si dovette svolgere anche nel 1819, quando la Zattera di Géricault venne premiata con la medaglia d’oro, cui seguirà proprio nel 1824 l’acquisto da parte dello Stato.

Nel frattempo il pittore, sia per trarre un vantaggio economico dal proprio lavoro sia per cavalcare il successo di scandalo riscosso a Parigi, portò il suo quadro, nonostante le dimensioni gigantesche, in tournée tra Londra e Dublino, dove già dagli ultimi vent’anni del Settecento erano in uso queste vantaggiose operazioni di esposizione popolare e commerciale. Un altro precedente di questo genere aveva riguardato l’Incoronazione di Napoleone di David, e la cosa si ripeterà per altri dipinti di successo, confermando come ormai l’arte andasse conquistando un nuovo pubblico.


François-Joseph Heim, Carlo X che distribuisce i premi al Salon del 1824 (1825); Parigi, Musée du Louvre.

ROMANTICISMO
ROMANTICISMO
Fernando Mazzocca
Tra Sette e Ottocento si afferma in Europa un movimento che, singolarmente, non dà origine a uno stile o a un linguaggio comuni; piuttosto a un’idea dell’arte, e soprattutto dell’artista come individuo assolutamente libero nel suo mondo creativo. È un’affermazione di portata rivoluzionaria: l’artista è un genio fuori da ogni regola, e questo spiega le differenti impostazioni e le varianti nazionali, individuali, le correnti che caratterizzano il romanticismo. Goya, Turner, Blake, Constable, Runge, Friedrich, Ingres, Géricault, Delacroix, Hayez hanno radicalmente mutato il nostro modo di guardare la natura e l’arte. Tra le molte rotture epocali che hanno movimentato l’estetica occidentale il romanticismo è quella che ancora oggi più ci coinvolge.