LA BRUTTEZZA DELL’ALTRO.
INFERNI, DIAVOLI E MOSTRI

Tra il 1943 e il 1944, Jean-Paul Sartre scrive la pièce teatrale Huis clos (A porte chiuse), dove i defunti Garcin, Estelle e Inès sono nell’inferno, immaginato come una stanza senza finestre e specchi, in cui i tre personaggi sono destinati a convivere per l’eternità e a torturarsi a vicenda, quindi senza bisogno dell’intervento di Lucifero o delle pene inflitte dai suoi diavoli.

Nell’inferno domestico si tormentano con domande e commenti sulla vita precedente, sui loro desideri, miserie, passioni, peccati, delitti, tradimenti. In uno dei passaggi della pièce viene detto che «l’inferno sono gli altri ». Sartre specifica cosa intende dire con questa frase: «Se i nostri rapporti con gli altri sono intricati, viziati, allora l’altro non può che essere l’inferno. Perché? Perché quando noi ci pensiamo, quando cerchiamo di conoscerci, noi utilizziamo quelle conoscenze che gli altri hanno già di noi. Noi ci giudichiamo con i mezzi che gli altri hanno e ci hanno dato per giudicarci. Qualsiasi cosa io dica su di me ha sempre dentro il giudizio degli altri. Ma questo non vuol dire assolutamente che non si possano avere rapporti differenti con gli altri. Sottolinea semplicemente l’importanza capitale di tutti gli altri per ognuno di noi». Immaginiamo che nell’inferno sartriano vengano messi uno accanto all’altro cattolici, protestanti, ortodossi, o chiusi in eterno nella stessa stanza componenti delle tre religioni monoteistiche: cristiani, ebrei, musulmani.

Cosa accadrebbe? Come accade nella pièce di Sartre e nel film L’angelo sterminatore (1962) di Luis Buñuel, anche quando si scopre che la porta è sempre rimasta aperta nessuno si libera dall’inferno e tutti scelgono di restare imprigionati nella rete dei rapporti che hanno costruito. Per addentrarci nelle letture iconografiche legate a questioni diaboliche e mostruose, proviamo a tenere a mente il leitmotiv «l’inferno sono gli altri ». Abbiamo visto nel capitolo precedente che gli ecclesiastici cattolici nel corso della storia hanno spesso demonizzato tutto ciò che non appartiene ai testi sacri del Nuovo e dell’Antico testamento, oltre che il nemico straniero, le altre religioni, le credenze animiste e le divinità pagane. Il male, l’incontinenza del desiderio carnale, tutto ciò che lascia troppo spazio alla corporeità e al piacere, l’attaccamento vizioso alla vita sensuale, la visione panica dell’esistenza, sono considerati dal cristianesimo come manifestazioni del “diabolos”, ovvero di colui che divide e si oppone al raggiungimento di un bene superiore, spirituale. Pan e i cortei dionisiaci vengono così considerati come modelli iconologici di Satana e del suo seguito di diavoli. L’alterità che non è allineata al pensiero e al dogma cattolici viene intesa come qualcosa che deve essere corretta, se non addirittura da combattere, distruggere ed eliminare.

Nella caricatura protestante Il papa come principe dei demoni (XVI secolo) avviene un ribaltamento: dopo la Riforma del 1517, la bruttezza dell’immondo si è fatta carne nella figura di colui che è a capo della Chiesa cattolica, rendendo visibile chiaramente tutta la sua mostruosità. Negli scritti di Lutero spesso vi è questa identificazione palese tra diavolo, Anticristo e pontefice romano. L’immagine di un mostro trovato a Roma è stata scolpita da Tommaso e Giacomo Rodari tra il 1505 e il 1510 in un bassorilievo presente sullo stipite di destra del portale interno della porta settentrionale del duomo di Como, figura inequivocabilmente ripresa dall’incisione Roma caput mundi (1496-1500 circa) realizzata da Wenzel von Olmütz, mentre la xilografia di Lucas Cranach il Vecchio che raffigura lo stesso soggetto nel trattato Der Papstesel di Filippo Melantone risale al 1523(15). Secondo la descrizione fatta dal veneziano Domenico Malipiero, l’essere mostruoso pare sia stato trovato morto nel Tevere nel gennaio 1496 a seguito di una piena del fiume. L’immagine viene utilizzata da Lutero e Melantone in Der Papstesel zu Rom, parte di un volume di satira religiosa pubblicato a Wittenberg nel 1523, dove ha un significato allegorico e denuncia la decadenza del cattolicesimo e delle sue gerarchie, con l’intento di sottolinearne il carattere lascivo, depravato e demoniaco del papa asino. Secondo la lettura di Melantone, il Papstesel ha un corpo di donna e rimanda alla lussuria del clero, squame sugli arti per significare prìncipi e signori laici che gravitano attorno al papato, la maschera di un vecchio barbuto sulla natica per alludere alla fine del dominio cattolico, la coda terminante in una testa di drago per sottintendere bolle papali e indulgenze, la mano destra da elefante per insinuare la forza repressiva del papato, quella sinistra umana, il piede destro ungulato come quello di un bue, per riferirsi ai teologi, quello sinistro con artigli da rapace per rappresentare i canonisti.

In ambito luterano quindi avviene un cambio di direzione e un ribaltamento: le proiezioni della Chiesa cattolica – che accorpavano tutte le declinazioni della bruttezza e del malefico nelle figure dei diavoli, demoni e mostri al contempo, tipi in grado di compiere le più brutali nefandezze e le più terribili torture – vengono indirizzate dai riformati verso le figure del potere ecclesiastico, che lasciano così vedere il loro vero aspetto in tutto simile a quello di Lucifero e delle sue innumerevoli personificazioni. Dall’altra parte, l’antiprotestantesimo rivolge verso Lutero lo specchio delle sue critiche alla Chiesa cattolica, così nelle immagini della propaganda che culminerà con la Controriforma il demonio si personifica nel riformatore di Eisleben. Eduard Schoen, in Lutero come la cornamusa del diavolo (1535 circa), si fa portavoce di questa propaganda cattolica.


Giovanni da Modena, Giudizio universale (1410 circa), particolare dell’inferno; Bologna, San Petronio, Cappella dei re magi (già Bolognini).


“Gargoyles” (o “gargouilles”) (XIX secolo) allo sbocco delle grondaie sulla chiesa di Notre Dame a Parigi.


Anonimo, Ego sum papa (1500 circa).


Wenzel von Olmütz, Roma caput mundi (1496-1500 circa); Londra, British Museum.


Tommaso e Giacomo Rodari, Roma caput mundi (1505-1510); Como, duomo, stipite di destra del portale interno della porta settentrionale.


Lucas Cranach il Vecchio, illustrazione per Der Papstesel zu Rom (Il papa asino a Roma) di Filippo Melantone (1523); Norimberga, Germanisches Nationalmuseum.


Eduard Schoen, Lutero come la cornamusa del diavolo (1535 circa); Gotha (Germania), castello di Friedenstein. In Storia della bruttezza, Umberto Eco ha giustamente segnalato che nel corso dei secoli, in Occidente, ciò che era considerato bello e proporzionato nel Medioevo non era più ritenuto tale nel Rinascimento, tanto che per gli umanisti del Quattrocento le opere e le architetture gotiche apparivano come costruzioni barbare.

Molti fanatici luterani spingono anche la produzione iconografica verso l’identificazione del diavolo con i peggiori vizi che egli stesso incarna in tutta la sua devastante potenza. Nel 1569, in ambito protestante, viene pubblicata la più estesa raccolta demonologica di circa settecento pagine, il Theatrum diabolorum, dove sono nominati 2.665.866.746.664 diavoli.

Nel Medioevo romanico e gotico, ma anche prima nei codici miniati prodotti tra X e XI secolo, gli artisti liberano la loro fantasia per immaginare le possibilità combinatorie fra figure animalesche ed esseri mostruosi, cercando di dare corpo materico e rendere visibili le numerose declinazioni del brutto attraverso figure infernali e demoni immondi. Nell’immaginazione dei cristiani medievali impauriti dalla fine del mondo, Satana e la schiera degli angeli decaduti formano universi dell’orrore, mettono in azione trame di belve diaboliche antropomorfe, inferni colmi di terrore allucinatorio, scene apocalittiche.

Le minacce delle guerre, le catastrofi naturali e le devastazioni portate dalle pestilenze, oltre che a un’ineliminabile propensione umana a vedere presenze inquietanti e terribili nel reale, hanno ispirato gli artisti nel momento in cui dovevano tradurre in immagini i temi apocalittici da scolpire sui portali delle chiese e le scene del Giudizio finale con figure demoniache nell’inferno.

Nell’immaginazione degli artisti, altre brutture e bestie inquietanti venivano alla luce grazie anche alla lettura dell’Apocalisse di Giovanni evangelista, dove il veggente di Patmos ha sguinzagliato aguzzini e messi della violenza, spiriti impuri, ha descritto fiumi di sangue, eventi catastrofici, flagelli, battaglie terrificanti da Armageddon, laghi e paludi di zolfo, punitivi massacri, impudicizie, e squarci insanabili nell’anima.

Negli inferni dipinti sulle pareti delle chiese medievali e scolpiti nei portali anche gli illetterati riuscivano a vedere le manifestazioni del male, le pene che attendono i peccatori, e a farsi un’idea (attraverso la mediazione degli artisti) del terrore che gli scrittori religiosi erano riusciti a rendere profondamente reale anche solo per mezzo di racconti, suggestioni, figure immaginarie, finzioni letterarie. L’Apocalisse giovannea introduce l’idea dell’inferno nella visione cristiana, andando a completare e a estendere ciò che era alluso e definito come «soggiorno dei morti» nell’Antico testamento(16) e come Abisso e Geenna(17) nei Vangeli. Dante Alighieri amplifica ancora di più questa visione di un mondo in cui pullulano i non più vivi, i quali si agitano nei tormenti eterni, dentro il ventre della terra, dove domina Lucifero. Per la costruzione dei luoghi e delle storie presenti nella Divina commedia, in una dimensione in cui vivono molteplici mostruosità e terribili torture, il poeta duecentesco attinge a visioni e storie letterarie precedenti, parte dalle suggestioni presenti in altri viaggi infernali, ovvero dalla Navigazione di san Brandano (X secolo), dalla Visione di Tundalo, dalla Babilonia infernale di Giacomino da Verona, dal Libro delle tre scritture di Bonvesin de la Riva, dall’Eneide di Virgilio, dal Libro della scala (VII secolo) di Maometto.

Da queste atmosfere atemporali, ora spicchiamo un salto nello spaziotempo, come accade nell’epilogo di Simon del deserto (1964) di Luis Buñuel, e andiamo nel XIX secolo, proprio nell’istante in cui Victor Hugo sta scrivendo a mano un’intuizione, che poi sarà presente in L’uomo che ride (1869): «Il brutto è la smorfia del diavolo dietro il bello. Il deforme è il sublime rovesciato». Lo scrittore francese dà importanza al grottesco, inteso come qualcosa che appartiene alla natura, così che anche il deforme, l’orribile e il repellente, possano essere trasportati «con verità e poesia nel dominio dell'arte ». I “gargoyles”, i demoni e le figure mostruose scolpite che si sporgono dalla sommità delle cattedrali hanno, agli occhi di molti frequentatori del Medioevo neogotico dell’Ottocento, qualcosa di seducente, un fascino che ha la forza di minare o mettere in crisi il solito ordine del mondo. Questo campionario della bruttezza ha attinto dalle figure immaginarie presenti nei “marginalia” dipinti dei codici miniati. Nel Medioevo, attraverso la protezione ambigua dell’ironia e dello scherno, molti miniatori e lapicidi si divertono a rendere visibile il mondo oscuro, ipocrita e prevaricatore di molti uomini della Chiesa, in alcuni casi raffigurando asini paludati da paramenti ecclesiastici e intenti a celebrare la messa, accanto a esseri mostruosi o deformi (simboli dei vizi), come nel timpano del portale sud di Saint Pierre d’Aulnay, o esseri immondi e animali che prendono le veci dei sacerdoti e mettono in scena il rito cattolico(18). Anche Francis Bacon ha tolto il velo dell’apparenza e ha raffigurato il torbido e oscuro mondo che sta dentro l’animo o dietro la facciata di molti uomini che approfittano del loro ruolo religioso e di potere per compiere cose vergognose e azioni disumane (come ordinare l’eliminazione di persone attraverso torture e roghi durante l’Inquisizione, appoggiare regimi fascisti e violenti, tramare nell’ombra per questioni di potere, approfittare della prevaricazione colonialista, pedofilia ecc.).


Ancora un esempio di “Gargoyles” (o “gargouilles”) (XIX secolo) allo sbocco delle grondaie sulla chiesa di Notre Dame a Parigi.


La messa degli animali, dal Bestiary (Salisbury, XIII secolo); Londra, British Library, Harley 4751, f. 11v.


Gufo vescovo col pastorale, dal Psalter and Hours (Gand, 1315-1325 circa); Baltimora, Walters Art Museum, W.82, f. 184r.


Anonimo, La messa celebrata dagli animali (XII secolo), particolare; Aulnay (Francia), Saint Pierre d'Aulnay, portale sud.


Esemplari sono le immagini del papa urlante, raffigurato come un individuo che pare in caduta libera in un eterno e angosciante viaggio negli inferi della coscienza, del capo della Chiesa collocato oltre una cortina di pennellate verticali, lunghe e larghe di grigio, seduto su un trono entro un largo sfondo in statico movimento, o del papa seduto in uno spazio oscuro e associato a pezzi di carne di un bue squartato, creando un collegamento inquietante e violento. Mi riferisco a Studio da Velázquez (1950), Studio dal Ritratto di papa Innocenzo X di Velázquez (1953), Figura con pezzi di carne (1954), dove Bacon, nonostante sia più interessato all’ossessione per le riproduzioni fotografiche di opere pittoriche del passato e al ruolo dell’illustrazione per sondare il reale, riesce a rendere visibili le cicatrici che testimoniano una ferita profonda, un’apparizione drammatica di qualcosa che è stato celato e protetto per secoli, un urlo inteso come un prezioso indizio per le indagini nel reale della storia, tra passato, presente e futuro. L’urlo agghiacciante di papa Innocenzo X è un indizio grottesco e terribile che afferma l’autorità malefica, dispotica e atroce, intrappolata ora in uno spazio isolato dentro un assorbimento infernale della materia corporea. Nel Trittico di san Domenico a Brera (1482- 1483) Carlo Crivelli inserisce un cortocircuito perturbante: raffigura san Pietro in una maniera ambigua, descrivendolo con uno sguardo torvo e paludato in un piviale, dove è presente un’altra piccola figura del fondatore della Chiesa cattolica, anche qui con un atteggiamento aggressivo, mentre sembra rivolgersi con il coltello a un possibile oppositore, con la stessa arma bianca che ha utilizzato per tagliare l’orecchio a Malco. Anche Crivelli cerca di rendere visibile il lato inquietante di coloro che per antonomasia sono ritenute figure simboliche del bene, della bontà, della santità e della spiritualità salvifica.

I processi della storia e la conoscenza approfondita dei fatti hanno la forza di smontare molte finzioni e cose false che sono state imposte dai vincitori di ogni tempo, ereditate e assimilate da molte generazioni. La falsa verità fa parte dell’osceno. Cosa si nasconde dietro le figure dei potenti di ogni periodo storico, ritratti dai più abili e talentuosi artisti, presenti nei più importanti musei, nelle pinacoteche internazionali, nei luoghi istituzionali? Alla luce dei movimenti e degli studi decoloniali, i ritratti e le statue dei colonizzatori occidentali, che per decenni o secoli hanno occupato la dimensione della fama e sono stati comodamente nei luoghi privilegiati dei musei o degli spazi urbani, ora sono considerati documenti di prevaricazioni, testimonianze di gesti vergognosi, rappresentazioni della bruttezza etica e morale, e sempre più frequentemente vengono rimossi e condotti nel buio dei depositi dimenticati, per essere corrosi o consumati dalla nemesi.


Il diavolo che vende le indulgenze, miniatura tratta dal manoscritto Jenský kodex Antithesis Christi et Antichristi, (1490-1510); Praga, Národní Muzeum, ms. IV.B.24, c. 71v.


Francis Bacon, Studio dal Ritratto di papa Innocenzo X di Velázquez (1953); Des Moines (Iowa), Des Moines Art Center.

Hieronymus Bosch, Salita al Calvario (o Cristo portacroce), (1510-1516 circa), particolare; Gand, Musée des Beaux-Arts. Ancora oggi esistono varie tipologie di bruttezza. Qualcuna induce una risata o scherno. Altre incutono timore o fanno paura. Altre ancora causano un mezzo sorriso isterico misto al ribrezzo o all’attrazione.


Hieronymus Bosch, Salita al Calvario (o Cristo portacroce), (1510-1516 circa), intero;


Carlo Crivelli, Trittico di san Domenico (o Trittico di Camerino), (1482-1483), particolare di san Pietro e san Domenico; Milano, Pinacoteca di Brera. C’è la bruttezza secondo i comuni canoni estetici e quella che agisce sul piano morale. Nella storia dell’arte abbiamo numerosi esempi di opere che alla nascita erano ritenute brutte – secondo i canoni culturali in voga in un determinato momento del tempo – e nel corso degli anni, dei decenni, o alcune addirittura dopo secoli, sono state riconsiderate ed elevate alle alte sfere.

ARTE E BRUTTEZZA
ARTE E BRUTTEZZA
Mauro Zanchi
È possibile definire cosa è bello e cosa è brutto? Esiste un canone della bruttezzacome ne sono esistiti e ne esistono molti della bellezza? È possibile utilizzare lacategoria del brutto nella formulazione di un giudizio estetico? È politicamentecorretto definire brutto qualcosa? È ancora attivo e funzionante l’accostamentodel bello al bene e del brutto al male? Arte contemporanea e moda nel XX secolohanno davvero ribaltato i canoni liberando il gusto dalla gabbia di qualunquestandard? Oppure se ne sono insinuati di nuovi per creare inedite tipologie neiconsumi (d’arte, design, abbigliamento, architetture, arredi, decorazione...)? Èancora vero che ciò che è brutto in un contesto culturale può essere bello in unaltro oppure la globalizzazione ha livellato tutto? Qual è la portata “morale” dellacategoria del brutto? Possiamo considerare brutti gli effetti della devastazionedel pianeta dal punto di vista ecologico? Tante domande (e neanche tutte), ineludibiliper chi si occupa di arte. Ancora una, dal testo del dossier: il modo in cuiapprendiamo la storia dell’arte è attraverso delle “brutte copie” degli originali.In che modo questo forma la nostra idea delle opere e dell’arte?