IL LUOGO DI NASCITA, L’ASCENDENTE
DI SAVOLDO E IL RAPPORTO CON CARAVAGGIO

L’identificazione anagrafica di Cecco faceva fare un importante passo avanti nei riguardi della provenienza del pittore, perché mi accorgevo che quel cognome Buoneri (o piuttosto Boneri, come risulta in altri documenti Guicciardini, sempre relativi alla cappella) corrispondeva a quello di una famiglia di pittori bergamaschi ricordati nelle vite di Tassi, biografo degli artisti di quella provincia19.

Membri di tale famiglia sono soprattutto documentati ad Alzano Lombardo, in provincia di Bergamo, nel Cinquecento e sono noti i loro rapporti con Lorenzo Lotto, Andrea Previtali, Moretto, Giovambattista Moroni. Inoltre Francesco è un nome ricorrente in questa famiglia, anche se nessuno dei personaggi ricordati nell’archivio parrocchiale di Alzano può essere identificato, per motivi cronologici, con Cecco. In occasione della mostra di Bergamo, Gianmario Petrò20 ha compiuto una capillare ricerca sulla famiglia Boneri e ha potuto stabilire che si trattava di personaggi di un certo livello economico, propensi agli spostamenti per affari, tanto che lo studioso ha trovato diramazioni della famiglia in varie località della provincia bergamasca, ma anche a Brescia e a Venezia. Tuttavia, purtroppo non è stato possibile rintracciare – allo stato attuale delle ricerche – nessuno che corrispondesse al nostro pittore. A irrobustire l’origine lombarda (Cecco era dunque un pittore italiano, non uno straniero come fino al 1991 si era pensato) veniva anche l’attribuzione a Cecco (cioè a Francesco Boneri) della Decollazione del Battista e del San Francesco orante, entrambi in collezione privata, provenienti storicamente da un’importante raccolta bergamasca, quella dei Pesenti21, dove con probabilità potevano trovarsi già al tempo, o poco dopo, della loro esecuzione. Ma un ulteriore collegamento con la Lombardia, forse il più importante sul piano stilistico, era l’ascendente di Savoldo sul linguaggio di Cecco, che già nel 1992 sottolineavo22, pubblicando nella prima, agile monografia del pittore la riproduzione dell’Adorazione dei pastori del bresciano conservata presso la Galleria sabauda di Torino.

Il particolare naturalismo di Boneri, che tanto ha fatto pensare a un pittore di area nordica, per l’implacabile definizione delle forme, dei contorni, per certo arcaismo costumistico, si può benissimo spiegare e risolvere con la passione del pittore per Savoldo, con la forte impressione che dovette ricevere dalla conoscenza dei suoi dipinti, al punto da rimanere soggiogato nel costruire il proprio stile. La pittura del grande artista bresciano – con la precisione dei dettagli, la lumescenza delle stoffe, la tornitura delle mani, degli arti, il colore rossastro della pelle, e con quel costumismo cinquecentesco, ricco, seducente – deve avere contato molto nell’ispirazione di Cecco. Oltre alla meravigliosa tavola di Torino, si pensi ad altri capolavori come il Tobiolo e l’angelo della Galleria Borghese di Roma o la formidabile Madonna in gloria con santi (la cosiddetta Pala di San Domenico di Pesaro) oggi a Brera, ma anche a dipinti con una figura maschile protagonista come il probabile Autoritratto come san Gerolamo di collezione privata, o il Pastore con flauto del Getty Museum, o il Ritratto di gentiluomo in veste di san Giorgio della National Gallery di Washington, o il Ritratto di gentiluomo in armatura del Louvre, per ulteriormente sottolineare l’influenza su Cecco.

Dal bresciano sarà derivata a Boneri quella particolare lucidità di visione che focalizza tutti i particolari, come in uno spazio senz’aria, nonché la scelta di una tavolozza composta soprattutto di colori puri di smaltata brillantezza, la passione per la lucente sericità delle stoffe, sottolineata da rialzi di luce dati con pennellate non mimetiche.

Si vedrà bene come il linguaggio di Cecco abbia beneficiato del mirabile incastro di due esperienze, che hanno determinato in lui la propensione per un naturalismo oltranzista e audacissimo, spinto oltre ciò che il suo tempo potesse accettare, ma (questo il paradosso) nello stesso tempo con le radici ben piantate in pieno Cinquecento: l’esperienza sui dipinti di Savoldo dunque, e quella diretta con Caravaggio, vissuta per circa sei anni (o forse più) a stretto, intimo, contatto.

Sospinta dal recupero di Savoldo, che si sovrappone a una fra le più profonde e fedeli prese di coscienza della rivoluzione caravaggesca, la pittura di Cecco oscilla mirabilmente fra un invicibile gusto retrospettivo – che la fa apparire per molti versi neocinquecentesca, sia per le opzioni della moda, sia per l’iperrealismo cristallino delle forme e dei colori – e ardite innovazioni iconografiche, che naturalmente prendono coraggio e forza nell’osare dalla lezione avuta direttamente da Merisi. Ne scaturisce una pittura aspra e tagliente, audacissima e spietata, nuda e cruda, sensuale e antica.

Tornando alle tappe della mia ricostruzione del profilo di Cecco, un ruolo fondamentale ha avuto l’inserimento nel giro degli studi caravaggeschi di un brano del viaggiatore inglese Richard Symonds, che fra il 1649 e il 1651, durante un suo soggiorno romano, redige un diario. Il brano del diario in questione era stato reso noto da Michael Wiemers nel 198623 senza suscitare particolare clamore e io stesso mi accorsi della sua decisiva importanza solo nel 1992. È il caso di riportarlo integralmente: «Cupido di Caravaggio / Card. di Savoia proferd 2 mila duboli p il / Cupido di Caravaggio / Costò 3 centa scudi: / Checco del Caravaggio tis calld among the painters twas his boy / haire darke, 2 wings rare, compasses liute violin & armes & laurel / Mons.r Crechy vuolle dare 2milia dubole / it was ye body & face of his owne boy or servant thait laid with him».


Ritratto di giovane con colletto a lattuga (Autoritratto?) (1613-1615); Firenze, Uffizi.


Giovanni Gerolamo Savoldo, Adorazione dei pastori (1522-1523 circa); Torino, Galleria sabauda.


Giovanni Gerolamo Savoldo, Tobiolo e l’angelo (1522-1523 circa); Roma, Galleria Borghese.


Giovanni Gerolamo Savoldo, Pala di San Domenico di Pesaro (Madonna in gloria con santi) (1524-1525); Milano, Pinacoteca di Brera. I dipinti di Savoldo, presenti soprattutto a Venezia, dovettero esercitare un'influenza fondamentale sulla formazione del linguaggio stilistico di Cecco del Caravaggio.


Caravaggio, Amore vincitore (1601 circa); Berlino, Staatliche Museen, Gemäldegalerie.

Il breve appunto rivela alcuni fatti, decisivi a mio avviso per chiarire alcune vicende del nostro pittore. Vi viene detto che Cecco è stato il modello che ha posato per Caravaggio nell’Amore vincitore Giustiniani oggi a Berlino, Gemäldegalerie; Symonds precisa poi per due volte che Cecco, rispetto a Merisi, era “his boy” e una volta rivela che “laid with him”. Infine il viaggiatore inglese si sofferma su un particolare che per molto tempo mi è sfuggito e che solo in occasione delle nuove riflessioni a cui mi ha spinto la preparazione della mostra ho potuto mettere a fuoco. Nell’appunto si dice che col soprannome “Cecco del Caravaggio” Boneri era noto fra gli altri pittori; è molto verosimile che in questi ultimi ci fosse un intento dispregiativo nell’appellare Francesco con quel soprannome che probabilmente alludeva, nemmeno troppo velatamente, al prolungato rapporto anche sessuale che Cecco dovette avere da ragazzo con Merisi (secondo quanto il brano di Symonds rivela)24.

La notizia rendeva anche definitivamente concreta l’identificazione del giovane Boneri col garzone Francesco che nel 1605 viveva con Caravaggio nella casa di vicolo San Biagio25. Allo stesso tempo dava ancora maggiore sostanza agli evidenti caratteri omoerotici presenti in alcune opere di Cecco, in particolare nell’Amore al fonte, che Longhi non aveva colto o non aveva voluto cogliere, malgrado vi siano e vi fossero manifesti. Infine la ricorrenza di un modello nelle opere secentesche di Merisi era già stata notata da alcuni studiosi, come Frommel; ora si dava un nome a quel modello e lo si poteva riconoscere per sette volte nei dipinti del suo maestro.

È infatti possibile che Cecco esordisca già come modello nel 1600, nel chierichetto urlante del Martirio di san Matteo Contarelli in San Luigi dei Francesi a Roma; in seguito Merisi lo utilizzerà (considerata la somiglianza fisionomica di tali personaggi), oltreché per l’Amore Giustiniani, anche per il San Giovannino della Pinacoteca capitolina a Roma, per l’Isacco del Sacrificio d’Isacco degli Uffizi, per l’angelo della Conversione di Saulo Odescalchi, per il David e Golia del Kunsthistorisches Museum Vienna, e infine per il David e Golia della romana Galleria Borghese26. La possibile presenza di Cecco in quest’ultima opera, che a mio avviso Caravaggio ha eseguito dopo la fuga da Roma, mi ha fatto ipotizzare che il ragazzo abbia seguito Caravaggio quando questi, ferito dopo l’omicidio di Ranuccio Tomassoni del 28 maggio 1606, abbandonò Roma in circostanze drammatiche per rifugiarsi poco lontano, a Zagarolo, nelle proprietà Colonna, per poi proseguire in autunno per Napoli. D’altra parte per Cecco rimanere a Roma doveva essere molto pericoloso, con il rischio di vendette da parte dei familiari di Ranuccio Tomassoni.

A questo proposito, sarà da ricordare che Giacomo Manilli, nella guida della Villa Borghese, edita nel 1650, descrivendo il David e Golia, afferma che nella testa di Golia Caravaggio raffigurò se stesso e nel volto di David quello del «suo caravaggino»27. In questo termine saranno da cogliere, almeno questa è la mia opinione, le medesime implicazioni contenute nel soprannome di Boneri.

Cecco potrebbe dunque essere entrato in rapporto con Caravaggio già nel 1600, quando avrebbe avuto un’età non superiore a quattordici anni molto probabilmente; da ciò si potrebbe presumere una nascita intorno al 1586.

Difficile pensare che il ragazzino abbia incontrato Merisi per caso a un’età così giovane. Si potrebbe pensare che Francesco possa essere stato affidato dai familiari a Caravaggio affinché imparasse il mestiere di pittore, perché Merisi era un artista della loro terra che stava avendo successo a Roma. Un altro dato è importante in questo senso e incoraggia tale ipotesi. Nel 2001 rendevo nota una preziosa notizia – scaturita dalle ricerche archivistiche di Gianmario Petrò negli archivi – relativa a un matrimonio avvenuto il 15 maggio 160128. La sposa era Cornelia Bonera, nipote diretta di Niccolò Bonera, o Boneri (che nel Cinquecento era stato il pittore di maggior spicco della famiglia), lo sposo era G.

Angelo Vacchi, figlio di Francesco Vacchi di Caravaggio. Testimone all’atto era Pietro Francesco Merisio, anch’egli di Caravaggio. Inutile sottolineare cosa potrebbe significare la presenza di questi tre cognomi: Merisio parla da solo, e Vacchi era il cognome di Maddalena, la prima moglie di Fermo Merisi (che si risposerà in seconde nozze con Lucia Aratori, la futura madre di Michelangelo).

Ciò spinge a pensare a un legame fra i Boneri e la famiglia allargata dei Merisi (inevitabile lasciarsi affascinare dalle date: più o meno contemporaneamente o qualche mese dopo, Francesco poserà per l’Amore vincitore), fatto che bene giustificherebbe il collocamento di Francesco presso Caravaggio, forse un amico di famiglia o addirittura un parente.


Caravaggio, Martirio di san Matteo (1599-1600), particolare; Roma, San Luigi dei Francesi, cappella Contarelli.


Caravaggio, San Giovanni Battista (1602); Roma, Musei capitolini, Pinacoteca Capitolina.


Caravaggio, Sacrificio di Isacco (1601-1602 circa); Firenze, Uffizi.


Caravaggio, Conversione di Saulo (1600-1601), particolare; Roma, collezione Odescalchi. Il giovane Francesco Boneri ricorre come modello in almeno sette dipinti di Caravaggio, fra il 1600 e il 1606. Lo vediamo crescere da un quadro all'altro, a cominciare dal chierichetto urlante del Martirio di san Matteo in San Luigi dei Francesi a Roma, passando da immagini gioiosamente erotiche (come il San Giovanni Battista della Pinacoteca Capitolina), fino alla tragica istantanea del David con la testa di Golia della Galleria Borghese.


Caravaggio, David con la testa di Golia (1605-1606); Vienna, Kunsthistorisches Museum.


Caravaggio, David con la testa di Golia (1606); Roma, Galleria Borghese.

CECCO DEL CARAVAGGIO
CECCO DEL CARAVAGGIO
Gianni Papi
Bergamo – insieme a Brescia Capitale della Cultura 2023 – celebra con una grande mostra uno dei più misteriosi artisti del gruppo dei caravaggeschi italiani. Di Francesco Boneri (1580-1630), detto Cecco del Caravaggio, non si sa davvero quasi niente, quella aperta in questi mesi a Bergamo (della quale l’autore del dossier è cocuratore) è la prima mostra che gli viene dedicata, con una ventina di dipinti di Cecco a confronto con opere di suoi contemporanei, comprese quelle del suo maestro. Maestro nel senso che Cecco era detto “del Caravaggio” perché ne era un servitore, fin da giovanissimo e, sembra, anche amante. Una condizione di “familiarità” che lo vedeva nel ruolo di modello (forse per Amore vincitore, Davide e Golia e altre opere) ma anche in un certo senso di allievo, poiché dal maestro imparò a dipingere (e anche a usare il coltello nelle risse, pare). Un’occasione per capire meglio il suo percorso, e per apprezzare correttamente l’elevata qualità della sua pittura.