Grandi mostre. 3
LEE MILLER E MAN RAY A VENEZIA

UN SODALIZIO
D’ARTE E D’AMORE

UN LEGAME FORTE, SIMBIOTICO, ELETTRIZZANTE È QUELLO CHE HA UNITO LEE MILLER E MAN RAY. UN RAPPORTO TRASFORMATOSI, DOPO LA FINE DELLA LORO RELAZIONE SENTIMENTALE, IN UN AFFETTO AUTENTICO, CHE HA CONSENTITO LORO DI MANTENERE VIVA L’INTESA ARTISTICA PER QUASI CINQUANT’ANNI. SU TUTTO QUESTO E SULLE MOLTE VITE DELLA FOTOGRAFA AMERICANA FA LUCE L’AMPIA MOSTRA DI PALAZZO FRANCHETTI.

Francesca Orsi

Quando Elizabeth “Lee” Miller (Poughkeepsie, Stati Uniti 1907 - Chiddingly, Inghilterra 1977) decise di appendere al chiodo la sua macchina fotografica, lo fece ritirandosi nei suoi affetti e nello specifico nella casa dell‘East Sussex, la Farley Farm House, che aveva comprato insieme al marito Roland Penrose alla fine degli anni Quaranta. In quel luogo protetto e magico si scoprì “chef gourmet” e le uniche immagini che la riguardano in questo ultimo tassello della sua vita la vedono alle prese mentre cucina pietanze dalle forti tinte surrealiste, facendo diventare Farley Farm House meta idilliaca per le rimpatriate con gli amici di una vita come Pablo Picasso, Nusch e Paul Éluard, Man Ray, Ady Fidelin, Max Ernst e molti altri.

I traumi della guerra, di ciò che aveva visto e vissuto, delle cataste di corpi nei campi di concentramento, degli uomini fantasma che ne uscivano dai cancelli si erano indelebilmente impressi nella sua mente, portandola a rinnegare totalmente il suo corpus fotografico e quello che era stato il suo lavoro per tanto tempo, rinchiuso negli anfratti più bui della soffitta di casa come dentro la sua mente. Si deve, infatti, a Suzanna, defunta moglie di Antony Penrose, unico figlio di Lee Miller, il ritrovamento casuale, a Farley Farm House, di oltre sessantamila tra fotografie, negativi, documenti, riviste, corrispondenze e cimeli, che sono, infine, arrivati fino a noi e che possono, per fortuna, essere ancora ammirati, conosciuti e studiati.

Le numerose vite di Lee Miller, in tal modo, non sono cadute nel dimenticatoio e anzi sono entrate con vigore nel panorama storico della fotografia, soprattutto grazie al figlio Antony che dagli anni Ottanta gestisce, conserva e promuove il patrimonio iconografico della madre.

Un’opportunità per godere dell’eterogenea produzione fotografica di Lee Miller è la recente mostra Lee Miller - Man Ray. Fashion, War, Love, fino al 10 aprile, a cura di Victoria Noel-Johnson, presso palazzo Franchetti a Venezia. Un viaggio cronologico e tematico che illustra le innumerevoli vite di Lee Miller – fotografa e modella, musa, attrice, reporter di guerra – e che al contempo ripercorre l’intenso rapporto professionale e sentimentale tra la fotografa di Poughkeepsie e quello che fu prima il suo maestro e poi il suo amante e la sua spalla artistica, Man Ray.

Dopo aver lasciato a New York la sua carriera da modella, Lee incontra Man a Parigi nell’autunno del 1929 e gli propone di essere il suo pigmalione fotografico, di fare con lui un apprendistato per imparare il suo pensiero e la sua pratica creativa, ma Ray, già esponente del movimento surrealista e artefice di numerose novità in ambito fotografico come le “rayografie”, ideate agli inizi degli anni Venti, ha dei dubbi, non è subito convinto della proposta di Lee.

Lo spirito tenace, la mente intelligente e la bellezza luminosa di Miller fanno ricredere Man Ray, gettando, così, le basi di uno dei sodalizi più fruttuosi, artisticamente parlando, della storia dell’arte. Le loro vite si intrecciarono a tal punto, sia professionalmente sia intimamente, che anche quando si tratta di conferire la paternità di nuovi processi ideati insieme, come la “solarizzazione”, si hanno a tutt’oggi delle difficoltà a indicarne solo uno dei due come mente generatrice.

La mostra a palazzo Franchetti mette in scena proprio quel sentimento, quel legame così simbiotico e stimolante che li ha resi due esponenti importantissimi della storia dell’arte.

Quel legame, fatto di fisicità ma anche di influenza creativa e stimolo artistico, punteggia tutto il percorso dell’esposizione.

Innumerevoli, infatti, sono i ritratti di entrambi, quelli fatti da Lee Miller a Man Ray come Man Ray mentre si rade, Parigi (1929), o viceversa quelli di Man Ray fatti a Lee Miller, fin da subito adottata dall’artista come musa e inserita dentro al proprio linguaggio artistico non solo come “corpo rappresentato” ma anche come elemento di riconoscibilità della sua poetica; inoltre, ciò che si avverte in maniera evidente in tutte le oltre centoquaranta fotografie esposte è l’influenza creativa che l’uno aveva sull’altro e come anche la loro vita privata, la loro stessa storia d’amore fosse un elemento importantissimo per la loro produzione.


È DIFFICILE CONFERIRE LA PATERNITÀ DI PROCESSI COME LA “SOLARIZZAZIONE” A LEE MILLER O A MAN RAY, TANTO ERANO INTRECCIATE LE LORO VITE


Lee Miller, Maschere antincendio, 21 Downshire Hill, Londra (1941).


Corsetteria, fotografie solarizzate, “Vogue”, studio, Londra (1942).


Lee Miller: Riflesso di Lee Miller nella vetrina di Guerlain, 68 Avenue des Champs-Elysées, Parigi (1930);

Al di là delle solarizzazioni, tecnica che appare come figlio voluto da entrambi, si pensi a Senza titolo (Nudo di schiena, forse Noma Rathner), Parigi (1930), di Lee Miller e a quanto quella fotografia ricordi, per l’inquadratura e il soggetto, Le violon d’Ingres di Man Ray del 1924 o comunque a quanto sia strettamente connessa al concetto surrealista di scomposizione del corpo rappresentato, facendolo diventare altro da se stesso, nella sua essenza informe. Lee Miller non compare nelle immagini di Man Ray come corpo, come lavagna su cui far accadere le cose, come successe per Kiki de Montparnasse o Meret Oppenheim. La fotografa americana diventò ella stessa linguaggio, come in Labbra di Lee Miller 1931 (1978). Invece in Autoritratto “suicida” del 1932 o nel “ready-made” Moto perpetuo 1923 (1971), anche questo inserito nella mostra veneziana, Man Ray utilizza il dolore per la fine della relazione con Lee, mettendolo in scena nell’unico modo che conosceva, come un’opera d’arte surrealista. La vita diventò arte per Lee Miller e Man Ray: l’amore, il loro amore, non era solo benzina di un rapporto umano e nemmeno esclusivamente del processo creativo, ma era esso stesso inscenato, soggetto della loro vita e contemporaneamente della loro arte. Quando il cordone ombelicale che univa i due artisti venne tagliato da Lee – mettendo la parola fine alla relazione con Man Ray e trasferendosi a New York per aprire un proprio studio –, quel groviglio di fili che la coppia aveva tessuto indistricabilmente si sciolse. Probabilmente la fotografa americana decise quella rottura proprio in virtù del bisogno di una sua autonomia, di vita, ma anche artistica. Lee Miller si innamorò nuovamente, cambiò città innumerevoli volte tra New York, Il Cairo e infine Londra, dove iniziò la sua carriera come fotografa per “Vogue”: sulle pagine di quella rivista raccontò la seconda guerra mondiale dalla prima linea, facendo vedere al mondo il vero volto del conflitto. La sua vita, quindi, fu indipendente, il suo animo risoluto, fiero, forte, tanto da sostenere le atrocità del campo di battaglia, ma il suo modo di fotografare, sia come fotoreporter sia come autrice di scatti più artistici, fu sempre influenzato dagli insegnamenti del suo primo maestro e da quel movimento surrealista che la forgiò, prima che nel suo linguaggio, nel suo pensiero esistenziale. Tra Lee Miller e Man Ray c’è stato un dialogo aperto per quasi cinquant’anni, un connubio artistico e intellettuale che resistette alla loro rottura, permettendo ai due ex amanti di ritrovarsi poi come amici, ognuno con le proprie vite ma con un rinnovato groviglio di fili che prevedeva esclusivamente affetto sincero e una profonda condivisione creativa.


LEE MILLER NON COMPARE NELLE FOTOGRAFIE DI MAN RAY COME CORPO, COME LAVAGNA SU CUI FAR ACCADERE LE COSE. LA FOTOGRAFA AMERICANA DIVENTÒ ELLA STESSA LINGUAGGIO


Man Ray, Lee Miller (1930 circa).


Man Ray: Moto perpetuo 1923 (1971).


Man Ray: Labbra di Lee Miller 1931 (1978).

Lee Miller - Man Ray. Fashion, War, Love

a cura di Victoria Noel-Johnson
Venezia, palazzo Franchetti
fino al 10 aprile
orario 10-18, chiuso il martedì
catalogo Skira
www.leemillermanray.it

ART E DOSSIER N. 407
ART E DOSSIER N. 407
MARZO 2023
In questo numero: STORIE A STRISCE: Avventure gastronomiche di Sergio Rossi; BLOW UP: Inge Morath: la rivelazione di un istante di Giovanna Ferri; GRANDI MOSTRE. 1 - Sayed Haider Raza a Parigi - Nero, the Mother Colour di Valeria Caldelli ; GRANDI MOSTRE. 2 - Warhol a Milano -  Gli stereotipi di massa come nuova classicità di Achille Bonito Oliva ...