Arte e letteratura
ANDREW WYETH E ROBERT FROST

Il bagliore del grano,
il fruscio del vento

HA DIPINTO LA REALTÀ COGLIENDONE L’ESSENZA ED EVOCANDO IN OGNI DETTAGLIO UN SENTIMENTO, UN PENSIERO, UN’EMOZIONE. COSÌ WYETH, SCOMPARSO POCO PIÙ DI DIECI ANNI FA, HA PORTATO AVANTI IL SUO LAVORO, GUIDATO DALLA INTENSITÀ DEI VERSI DI ROBERT FROST, IL POETA AMERICANO CHE CANTAVA LA NATURA.

Luigi Senise

«Credo di averle fatto il ritratto molte volte», scrisse in una lettera Andrew Wyeth a Robert Lee Frost. L’artista americano, con queste parole, rivelava l’origine della propria ispirazione dai versi del più anziano poeta. A dieci anni dalla sua scomparsa, Wyeth è ancora considerato un pittore figurativo, mentre egli ha sempre sostenuto di eseguire una pittura astratta(1).

In Wind from the Sea, le tendine di una finestra sono smosse da una brezza tiepida e leggera, lasciando intravedere nel fondo un declivio ingiallito da un sole autunnale.

Tralasciando qualsiasi divagazione concettuale sul significato di questo dipinto, Wyeth, in un’intervista, disse che aveva appena aperto una finestra in un solaio e aveva dunque voluto rappresentare l’istante in cui il primo refolo aveva ossigenato quell’ambiente stantio(2).

Frost aspirava a coltivare campi e a scrivere poesie, eppure, al termine di una lunga e dolente esistenza (1875- 1963) – attraversata da lutti e gravi malattie familiari – vinse quattro premi Pulitzer e John Fitzgerald Kennedy lo volle accanto a sé, il 20 gennaio del 1961, giorno in cui divenne presidente degli Stati Uniti. Il poeta ebbe così un parziale risarcimento delle tragedie che costellarono la sua vita, quando acquisì la certezza che milioni di persone conoscevano a memoria alcuni suoi versi.

I dipinti di Wyeth sono spesso eseguiti con un tenue giallo-ocra, colore che riveste gli amati declivi della Pennsylvania e del Maine, i due stati in cui il pittore trascorse buona parte della sua esistenza, e che inonda vasti campi bruciati dal sole o inariditi dal gelo (Pentecost, 1989; November First, 1950). Una tonalità che ricorda quell’aureo scintillio dell’oro, la cui pregiata consistenza, per un misterioso ordine naturale, è destinata comunque a svanire. «In natura il primo verde è dorato / e subito svanisce. / Il primo germoglio è in fiore / che dura solo un’ora. / Poi a foglia segue foglia. / Come l’Eden affondò nel dolore / così oggi affonda l’Aurora. / Niente che sia d’oro resta»(3).

Wyeth sosteneva che la tecnica a tempera gli permetteva di raffigurare la stratificazione geologica del terreno. Se in Wind from the Sea il pittore raffigura il momento in cui un soffio primigenio arieggia l’interno di un vecchio solaio, un intimo «Fiat lux», in Snow Flurries (1953), Wyeth dipinge questo gelido manto erboso quale rappresentazione di un mondo primordiale, in cui è già rivelazione la fuggevole condizione umana (anche qui ritornano i versi di Frost sopra citati).

Andrew Wyeth ascoltò le poesie di Robert Frost dalla voce del proprio padre, il celebre illustratore Newell Convers Wyeth. Questi morì con suo nipote, travolto da un treno, nella propria automobile, nei pressi di Chadds Ford, nel Delaware, dove abitava con l’intera amata famiglia. In Winter (1946), oltre il dosso, che quel ragazzo dal passo spedito ha appena oltrepassato, è appena avvenuto il tragico incidente: e l’adolescente ben presto giungerà in paese per annunciare la ferale notizia. Ricorrendo a una vertiginosa ellissi, Wyeth raffigura il proprio dolore nel volto turbato del giovane, mentre il filo spinato a sinistra, circoscrive, come una corona di spine, il triste e indelebile giorno. Le tracce impresse sull’erba dalle ruote di un carro evocano invece i binari della ferrovia.

Alla fine degli anni Quaranta, Wyeth ritrasse la propria vicina di casa nel Maine, Christina Olson, la quale era affetta da poliomielite spinale.

Il pittore la raffigura mentre trascina caparbiamente il corpo con le sue sole braccia (Christina’s World, 1948). In questa tempera, Wyeth rivela lo studio di Caspar David Friedrich, per l’imponenza minacciosa del paesaggio, e, per l’aspetto più psicologico, la maestria di Edward Hopper nel ritrarre con dignitoso riserbo la figura femminile.


Christina Olson (1947).


In Christina Olson (1947), la donna contempla la campagna assolata: ed è consapevole che non le sarà mai più possibile camminare tra quegli alberi, né calpestare l’erba riarsa dalla calura estiva. Il pittore, attraverso gli occhi della sua modella, aspira alla rappresentazione di un mondo incontaminato, veduto per la prima volta: il mondo dei primi pionieri, selvaggio e divino. Il biondo grano, il cielo color avorio sono un dono, ma anche dolore e speranza. Wyeth dipinge la modanatura della porta alle spalle di Christina come fosse una croce irradiata dalla luce del sole.

Robert Frost sosteneva che la poesia era «ciò che si perde nella traduzione ». Vale a dire, il metro e il tono di un verso comunicano una sensazione che qualsiasi tentativo di traduzione vanifica. È dunque vero che la pittura di Wyeth non è esclusivamente figurativa, ma è, come l’artista asseriva, realmente astratta. In Frostbitten (1962) non vediamo una semplice natura morta. Quei frutti tanto vividi sul davanzale di una finestra contrastano con gli alberi secchi al di là del vetro e col muro sverniciato di fianco. È una riflessione sulla mortalità.

Eppure, quei frutti sono come la porta cruciforme di Christina, come il bagliore di quel grano, che torna così spesso nella pittura di Wyeth, e che non è la miseria dell’oro, ma è la luce che ogni cosa nasconde, per la quale, a onta di ogni dolore, vale la pena vivere: «Di chi sia il bosco credo di sapere / Ma la sua casa è in paese: così / Egli non vede che mi fermo qui / A guardare il suo bosco riempirsi di neve. / Troverà strano il mio cavallino / Fermarsi senza una casa vicino / Tra il bosco e il lago gelato / La sera più buia dell’anno. / Dà una scrollata al sonaglio per domandar se c’è uno sbaglio / Il solo altro suono è il fruscio / Del vento lieve, dei soffici fiocchi. /

Bello è il bosco, scuro e profondo, / Ma io ho promesse da mantenere, / Miglia da fare prima di dormire, / Miglia da fare prima di dormire»(4).


Wind from the Sea (1947), Washington, National Gallery of Art.


ART E DOSSIER N. 407
ART E DOSSIER N. 407
MARZO 2023
In questo numero: STORIE A STRISCE: Avventure gastronomiche di Sergio Rossi; BLOW UP: Inge Morath: la rivelazione di un istante di Giovanna Ferri; GRANDI MOSTRE. 1 - Sayed Haider Raza a Parigi - Nero, the Mother Colour di Valeria Caldelli ; GRANDI MOSTRE. 2 - Warhol a Milano -  Gli stereotipi di massa come nuova classicità di Achille Bonito Oliva ...