Studi e riscoperte. 1
Milano scomparsa

la città
dei Navigli

Fernando Mazzocca

Tra Otto e Novecento Milano cambia radicalmente volto. Un’ampia porzione di città perde i corsi d’acqua che per secoli l’avevano caratterizzata, e con i Navigli scompaiono e cambiano umori, colori, ritmi e abitudini di vita. Aspetti di cui resta memoria in alcuni dipinti del tempo.

Il 16 maggio del 1929 venne inaugurata nel palazzo della Società per le belle arti ed Esposizione permanente – un luogo ormai deputato a custodire l’identità e la memoria della città italiana più soggetta a continue e radicali trasformazioni – la mostra Il Naviglio di Milano. La rassegna assumeva un carattere polemico e nello stesso stesso nostalgico, proprio nell’anno in cui il problema molto dibattuto della celebre cerchia d’acque che circondava il centro era stato definitivamente risolto con la copertura, destinata a essere ripetutamente rimpianta, dei Navigli. Aveva vinto quella tirannia della modernità che già a Venezia aveva imposto l’interramento di parecchi canali (i “rio terrà”), cambiando non di poco l’aspetto di molte zone della città. Ma a Milano quel massiccio intervento era destinato a stravolgere in maniera davvero radicale un tessuto urbano che era stato sempre caratterizzato da quella particolarità.

Come sottolineò il curatore Ettore Verga, grande conoscitore della realtà ambrosiana, l’esposizione venne sentita come un omaggio alla «vecchia Milano che scompare», evocata attraverso i dipinti dei pittori che nell’Ottocento avevano rappresentato l’incanto di quelle vie d’acqua avvolgenti sino a penetrare nel centro, accanto al duomo, dove confluivano nel Laghetto, approdo privilegiato dei marmi destinati all’infinita fabbrica della cattedrale. «I dipinti », ricordava Verga, «sono innumerevoli d’artisti eminenti, dal Migliara al grande Gola, e d’artisti oscuri ma altrettanto innamorati della bellezza che emana dal Naviglio». Ma anche la letteratura era stata coinvolta in questo commosso e insieme rabbioso ricordo. Come informava un manifesto, «alle visioni pittoriche della Mostra si aggiungerà la dizione del poemetto di Luigi Medici su l’Acque nostrane e di altri versi sul vecchio Naviglio di Gianni Barella, Paolo Buzzi, Antonio Rubino, Silvio Zambaldi ed altri e una recita straordinaria delle Sorelle Ghisini con Addio Naviglio! Sogno di una notte di Primavera di Gian Vico Garavaglia e Gino Larzicata». Protagoniste quattro sirene che avevano nome Ondina, Aliga, Sevesina, Martesana, affiancate da ballerine, un monello, una “piscinina”, addirittura personaggi da commedia come il gondoliere Nane e – non poteva davvero mancare – un pittore, rappresentante di quella folta schiera che aveva nel tempo immortalato i Navigli.

Angelo Inganni, Il Naviglio di San Marco dal terrazzo di Ca’ Medici (1837).


Angelo Inganni, Il Naviglio a San Marco (1834-1837), Milano, Gallerie d’Italia.

Una commossa adesione agli aspetti ambientali e alle vicende quotidiane dell’umanità semplice che viveva lungo le rive dei Navigli


Era l’epilogo di una vicenda iniziata già molto tempo prima, ancora nel secolo precedente, quando nel 1886 la popolare Strenna del pio Istituto dei rachitici era stata dedicata proprio al Naviglio e illustrata con fotoincisioni di Vespasiano Bignami, Pietro Bouvier, Sebastiano De Albertis, Arturo Ferrari, Bartolomeo Giuliano, Gerolamo Induno, Salvatore Mazza, Pompeo Mariani, Giuseppe Mentessi, Gaetano Previati e Attilio Pusterla. Nomi piuttosto noti, alcuni dei quali avevano transitato nelle file della Scapigliatura. Lo scopo dell’iniziativa era quello di «illustrare una plaga della nostra città che le esigenze della vita nuova vogliono radicalmente trasformare. Il Naviglio, il glorioso canale che da secoli stringe in amplesso fecondo la nostra Milano, dopo aver reso tanti servigi, all’agricoltura, all’industria, all’arte, alla viabilità, ha subito una condanna feroce e presto o tardi dovrà scomparire. […] Prima però che la sentenza abbia la sua esecuzione; innanzi che egli scompaia come già sono scomparsi il Coperto dei Figini, l’isolato del Rebecchino, la Torre di S. Giovanni in Conca, e tante altre caratteristiche impronte della vecchia città, i poveri Rachitici hanno pensato raccoglierne le memorie in questo volume».

Se non proprio questa iniziativa, comunque l’affetto dei milanesi per il nastro d’acque che li avvolgeva, e forse tante testimonianze visive e letterarie sulla sua bellezza, dovettero ritardare l’esecuzione dell’inesorabile sentenza sulla via di una modernizzazione che - soprattutto attorno al duomo con la creazione dell’immensa piazza da cui si dipartirono i rettilinei degli affari - aveva radicalmente mutato il volto di Milano. Quel volto, certamente più cordiale e umano rispetto a quello attuale, che traspare ancora dai dipinti di quanti nell’Ottocento hanno rappresentato luoghi ed edifici che già allora sembravano destinati a scomparire, come doveva avvenire in quel secolo in tante altre grandi città europee. Un nuovo museo, oggi, ormai entrato nel cuore dei milanesi, le Gallerie d’Italia di piazza Scala, presenta le opere di Giuseppe Canella, Angelo Inganni e Luigi Premazzi che meglio di altri, con maggiore precisione documentaria ma anche con più intensità poetica, hanno saputo rappresentare il fascino sommesso e le malinconiche atmosfere della Milano popolare dei Navigli. Il primo ci ha lasciato un vero capolavoro nella Veduta del canale Naviglio presa sul ponte di San Marco dove nel 1834, ispirandosi ai vedutisti veneziani del Settecento, sceglieva una particolare angolatura che gli consentiva di concentrare in primo piano le scene della vita comune, per poi guidare lo sguardo dell’osservatore verso il fondo. Qui, oltre le quinte delle case, i tetti e i comignoli, si intravedono sotto un cielo azzurro, di manzoniana bellezza, i monti lontani. Una visione ormai completamente scomparsa, come quelle che ritroviamo nei quadri del bresciano Inganni che è stato il più fecondo e alto interprete di questo genere. In opere che vanno dalla seconda metà degli anni Trenta agli anni Cinquanta dell’Ottocento ha rappresentato una serie di scorci, catturati in punti strategici dove era possibile rendere la singolare configurazione che assumeva la città, ripresa in diverse stagioni e in condizioni atmosferiche particolari, come quando ha cercato di restituire la magia di quei luoghi durante una fitta nevicata. Anche la neve e la nebbia sembrano oggi scomparse.


Un massiccio intervento destinato a stravolgere in maniera davvero radicale il tessuto urbano milanese

  
Quello che rende indimenticabili i suoi dipinti è prima di tutto la fedeltà topografica, ma che non rimane asettica in quanto si traduce sempre in una commossa adesione agli aspetti ambientali e alle vicende quotidiane dell’umanità semplice che viveva lungo le rive dei Navigli. 


Questi piccoli quadri ci restituiscono dunque anche un ritmo di vita lontanissimo, con una commozione e quasi un sentimento di nostalgia, come se Inganni già sapesse di rappresentare un mondo che era destinato a sparire.

Questo si avverte e assume una dimensione ancora più struggente nei dipinti, di maggiori dimensioni ma meno attenti dal punto di vista descrittivo, dedicati sempre a questo aspetto della vecchia Milano dai rappresentanti, verso la fine del secolo, del naturalismo, come Arturo Ferrari e Emilio Gola. La città dei Navigli vi appare sempre più emarginata e distante dalla metropoli ormai proiettata verso un omologato modello europeo e fatalmente destinata a perdere la sua anima popolare.


Luigi Premazzi, La basilica di San Lorenzo da piazza Vetra (1838).


Luigi Premazzi, Piazza San Marco, il Tombone e la chiesa (1837).


Filippo carcano, Il Naviglio di via Senato (1870-1875), Milano, Museo civico.


Giuseppe canella, Veduta del canale Naviglio presa sul ponte di San Marco (1834), Milano, Gallerie d’italia.

ART E DOSSIER N. 307
ART E DOSSIER N. 307
FEBBRAIO 2014
In questo numero: SOUVENIR D'ITALIE L'Italia nell'arte dell'Ottocento, dalla Milano dei Navigli all'Agro Romano, al sole del sud: il Bel Paese prima del benessere e del disastro. IN MOSTRA: Anni Settanta, Molinari Pradelli, Vermeer.Direttore: Philippe Daverio