Il negozio Olivetti a Venezia
affidato alla gestione del Fai

la boutique
DEL MISTERO

Michele Brescia

Ventuno metri di profondità, cinque di larghezza e quattro di altezza, per una superficie complessiva di ottanta metri quadrati, distribuita su due livelli. Si presenta con queste caratteristiche il Negozio Olivetti in piazza San Marco a Venezia, uno spazio angusto, incastonato sotto i portici delle Procuratie vecchie. Eppure la modestia delle dimensioni di un edificio che, secondo le intenzioni di Adriano Olivetti, doveva essere un vero e proprio “biglietto da visita” dell’estetica aziendale, non fu di ostacolo all’estro di uno dei più grandi architetti italiani del secolo scorso, il veneziano Carlo Scarpa. Reduce proprio dal premio Olivetti per l’architettura, che si era aggiudicato nel 1956, l’anno successivo Scarpa fu incaricato dall’imprenditore eporediese di realizzare una sede espositiva delle macchine da scrivere e da calcolo, costruite negli stabilimenti di Ivrea (Torino): non un negozio finalizzato alle vendite, quindi; piuttosto uno showroom destinato a celebrare la perfezione formale dei prodotti, creati in serie nel Canavese. Nel tradurre in realtà i desiderata di Olivetti, Scarpa adottò la stessa sensibilità nel trattare i materiali, le superfici, i pieni e i vuoti, che due anni prima aveva dimostrato in uno dei più colti e suggestivi allestimenti museografici del Novecento, quello relativo all’ampliamento della Gipsoteca canoviana di Possagno (Treviso): come era accaduto per i gessi di Canova, infatti, così anche per le creazioni disegnate da Marcello Nizzoli, l’architetto veneziano riuscì a costruire uno spazio pervaso dalla luce, una summa di sapienza costruttiva che trovava, in un’ineguagliata capacità di armonizzare trasparenze e riflessi, la sua peculiare quintessenza. 


Commissionato nel 1957 da Adriano Olivetti a Carlo Scarpa, il primo negozio-museo d’Italia è uno dei più limpidi capolavori dell’architettura contemporanea


Il «piccolo, raffinato capolavoro»(1) di Scarpa ben si inseriva in una tradizione che aveva già visto all’opera diversi architetti di fama internazionale, impegnati nella progettazione di locali destinati alla vendita delle macchine da scrivere targate Olivetti: basti pensare agli architetti Lodovico Barbiano di Belgiojoso, Enrico Peressutti ed Ernesto Nathan Rogers, riuniti nello studio milanese BBPR, ai quali Adriano Olivetti nel 1954 aveva affidato il compito di allestire un negozio nel palazzo collocato al civico 584 della Fifth Avenue di New York. Un’intuizione, quella di assegnare al punto vendita una dignità artistica pari alla bellezza formale dei prodotti realizzati nell’azienda di famiglia, che Adriano aveva ereditato dal padre Camillo, il quale, già negli anni Venti, aveva fortemente voluto un negozio Olivetti in quella galleria Vittorio Emanuele a Milano, centro propulsore del commercio nell’Italia settentrionale del primo Novecento. 


Il negozio veneziano di Scarpa risponde appieno a questa ostinata ricerca del bello praticata instancabilmente da Adriano Olivetti: adottando sapienti soluzioni nel far dialogare marmi e pietre, diverse essenze di legno, metalli e cristalli, superfici in calce e a mosaico, prestando massima attenzione al minimo particolare decorativo, l’architetto costruisce uno spazio che trova nell’invenzione straordinaria della scala, miracolo di trasparenza e di leggerezza, e nella scultura Nudo al sole di Alberto Viani, suo storico amico sin dagli anni Venti, al tempo della comune frequentazione della casa del collezionista e mercante d’arte Carlo Cardazzo, i due baricentri di un’irripetibile scansione di spazi, volumi e gradazioni cromatiche. Nelle parole di Renzo Zorzi, storico direttore delle iniziative culturali olivettiane, troviamo l’eco del successo riscosso in laguna dallo showroom, a partire dalla sua inaugurazione, avvenuta il 26 novembre 1958: «C’erano sette, otto milioni di persone all’anno che passavano su quella piazza e lo guardavano. Sono stati i giapponesi i primi a entrare per fotografarlo. Fu tale il successo che dovetti farlo restaurare pochi anni dopo»(2)


Una conturbante atmosfera fa di questo piccolo gioiello scarpiano, fragile e solido a un tempo, ancora oggi, una vera e propria “boutique del mistero”, titolo di una silloge di racconti del giornalista, scrittore e pittore Dino Buzzati che, proprio nei locali del Negozio Olivetti di Venezia, fu omaggiato con una retrospettiva allestita nel 1978. Un prestigio, quello guadagnatosi dal complesso scarpiano, dovuto, oltre che alla sua intrinseca bellezza, anche a una intensa attività espositiva, che rischiava però, in maniera imprevedibile, di cadere definitivamente nell’oblio.

Infatti a metà degli anni Novanta l’Olivetti decide di chiudere il negozio, consegnando così l’ardita invenzione scarpiana a una stagione dominata dall’incuria e dal degrado che l’ha visto ospitare, nella fase più oscura, un magazzino di oggetti di vetro di Murano. Soltanto un provvidenziale restauro, curato e sostenuto dalle Assicurazioni Generali, proprietarie dell’immobile, dato successivamente in gestione al Fai - Fondo ambiente italiano, con il beneplacito della Soprintendenza di Venezia, e la conseguente riapertura al pubblico, preceduta dalla ricomposizione dell’esposizione permanente delle macchine da scrivere Olivetti, hanno restituito a una delle piazze più belle del mondo «il palazzo reale»(3) nella sua recuperata integrità.





ART E DOSSIER N. 307
ART E DOSSIER N. 307
FEBBRAIO 2014
In questo numero: SOUVENIR D'ITALIE L'Italia nell'arte dell'Ottocento, dalla Milano dei Navigli all'Agro Romano, al sole del sud: il Bel Paese prima del benessere e del disastro. IN MOSTRA: Anni Settanta, Molinari Pradelli, Vermeer.Direttore: Philippe Daverio