Ai visitatori di Fontainebleau non può sfuggire la differenza tra il nucleo rinascimentale e l’ala adibita a museo napoleonico del castello. Le sale del Rinascimento appaiono massacrate da squarci, toppe, rifacimenti pesanti; la lunga manica napoleonica espone arredi e oggetti immacolati, che sembrano appena usciti di fabbrica. Tuttavia, il Rinascimento, sventrato e falsificato, irradia ancora vitalità, gioia di vivere, bellezza d’arte incoercibile, mentre dalla bruciante e pretenziosa epopea napoleonica sembra promanare un’aura “morne”, d’apparato funerario. I “memorabilia” di quella galleria avrebbero la giusta collocazione nell’edificio avvolto dai cipressi nell’Isola dei morti di Böcklin.
Francesco Primaticcio era giunto a Fontainebleau nel 1532 come tuttofare: pittore, stuccatore, architetto, e per alcuni anni se ne stette buono buono alle dipendenze del Rosso Fiorentino, di dieci anni più anziano e sperimentato. Alla morte del Rosso (1540), toccò a lui la direzione del cantiere e il compimento non solo della Galleria, già a buon punto, ma anche di altri ambienti: il perduto Cabinet du roi, la Camera da letto della duchessa d’Estampes, con affreschi sulla Vita di Alessandro Magno (1543), ancora visibile; la Galleria d’Ulisse (1541-1570) demolita nel 1738 sotto Luigi XV, e la Galleria d’Enrico II, pesantemente manomessa. A queste imprese vanno aggiunti il soffitto della cappella dei Guisa (1557) e nella rotonda dei Valois nella chiesa di Saint- Denis la Tomba di Enrico II in collaborazione con lo stilisticamente congeniale Germain Pilon (1537-1590). Nella Galleria gli sono attribuiti Giove e Semele e la Danae. Costei ostenta il busto eretto di un’altera regina (si faccia il confronto con la denigratoria Danae-Mademoiselle Lange di Girodet conservata a Minneapolis presso l’Institute of Arts), mentre erote e serva s’industriano a metter via il sacco con l’oro. A parte l’araldicità del profilo e l’impassibilità emotiva, quel che si fa notare in Danae è il compasso delle gambe aperte che, a datazione proposta (1540), anticiperebbe di un bel po’ la soluzione di Tiziano per le due versioni: quella del 1546, a Capodimonte, che subì l’onta dell’accusa d’inadeguatezza disegnativa, sentenziata da Michelangelo, e quella, intorno al 1550, riveduta e corretta del Prado. Che concetto aveva di sé il giovane Primaticcio? Gli Uffizi posseggono l’Autoritratto nel quale il giovane si contempla compiaciuto, intorno ai venticinque-ventotto anni, con la fronte piana della persona diretta, la barbetta e le ombre che danno densità a una personalità intensa, dalla vibrante vita intellettuale. Il suo è un narcisismo diverso da quello del Parmigianino, meno esoterico e virtuosistico, e più interessato a far emergere la personalità interiore.
Uno degli scogli maggiori nel ricostruire la personalità di Francesco Primaticcio è costituito dalle attribuzioni ballerine, stante il naufragio quasi totale del corpus pittorico che avrebbe costituito un buon ancoraggio. La Sacra famiglia con sant’Anna e san Giovannino (1535 circa, San Pietroburgo, Ermitage) è stata sbalestrata da un nome all’altro, finché Giuliano Briganti non è approdato a Primaticcio, riscontrando un buon consenso. L’ambientazione teatrale con il deambulatorio circolare trova un attendibile riscontro nella Sacra conversazione di Giulio Romano nella romana Santa Maria dell’Anima (poi le architetture in sé sono diverse). Quanto alle figure, l’adesione ai modi del Parmigianino è più stringente, facendo del bolognese un echeggiatore competente alla ricerca di una propria strada. Ciò che persuade un po’ meno è il rosso violento, araldico, del manto di sant’Anna, che contrasta col gusto del Primaticcio di ammorbidire le tonalità, ma la relativa giovinezza può comportare un “quid” d’intemperanza. Il Ratto di Elena (1540-1555, Durham, Bowes Museum) subisce ancora la fascinazione di Giulio Romano contorto ed esagitato, con le figure che lasciano al paesaggio appena un interstizio. Le due nude in proscenio (della terza fa capolino solo la testa) che provano debolmente a opporsi al ratto sembrano esser state colte di sorpresa nel mezzo di una danza sensuale, mentre le altre donne del gineceo di Menelao si rannicchiano spaventate. La bagarre tra armati di casa e gaglioffi troiani discende dal gusto di palazzo Te, insieme all’Elena sollevata di peso da una sorta di forzuto Calibano (forse un autoritratto di chi ha effettivamente dipinto la storia).