Il grande debito degli artisti nei confronti della mitologia classica è un dato certo, così come è indubbio che le valenze passionali presenti nelle storie mitiche abbiano sempre esercitato un forte fascino sulle fantasie artistiche.
La fonte letteraria di maggiore ispirazione è rappresentata dalle Metamorfosi di Ovidio, una vera e propria Bibbia amorosa dell’Occidente: il poeta latino «dipinge con le parole», secondo il famoso aforisma di Simonide, per il quale la pittura è poesia muta e la poesia pittura parlante(1). Nel repertorio dei miti ad alta “densità amorosa” e un’intensa gradazione di sensualità, hanno subìto rappresentazioni più o meno fedeli e più o meno connotate eroticamente i famosi amori, o meglio, i tradimenti amorosi di Giove: in forma di pioggia d’oro (Danae) o con le sembianze di una nuvola (Io), o di un candido cigno (Leda), il dio si unisce alle belle fanciulle concupite ingravidandole.
Fu Correggio, tra i più raffinati interpreti del tema, ad andare oltre la narrazione ovidiana(2) del mito di Io e a spingersi in una dimensione di intensa passione: nel poema Giove insegue la fanciulla che fugge nei boschi finché, per sottrarsi al controllo di Giunone, «il dio nascose la terra per un gran tratto sotto una fitta caligine, fermò la sua fuga e le rapì il pudore» (vv. 599-600). Ma la dea, insospettita, scese sulla terra e Giove allora tramutò l’amante in una bianca giovenca che la consorte però pretese in dono, tutto questo non senza un certo dissidio interiore del dio: «Che fare? Sarebbe crudele consegnare l’amata; non farlo, sarebbe sospetto. Da un lato la vergogna consiglia di sì, dall’altro l’amore consiglia di no» (vv. 616-621).
Nel dipinto di Correggio lo spazio è quasi interamente riempito dalla densa nuvola che non nasconde più il dio ma è essa stessa il dio che sembra prendere consistenza solo dal contatto con Io, quando se ne intravedono il volto e la zampa grigia fatta di ombra e di nebbia che scivola intorno alla vita di lei. Una nube quasi umanizzata, evanescente eppure pesantemente plumbea, capace di avviluppare la fanciulla che non fugge ma, in un atteggiamento di sensuale resa, si abbandona all’abbraccio, mostrando in tutto il suo splendore il corpo nudo, di schiena, il cui incarnato – così bianco e perlaceo da sembrare vero – con il candore della veste risalta sul marrone bruciato della vegetazione e sul cielo azzurro reso cupo e denso dalla nuvola-Giove. Abbandono sì, ma anche tensione: i muscoli contratti, la schiena inarcata quasi a reggere il peso di un altro corpo, il piede poggiato sulla punta e le gambe leggermente divaricate, la testa piegata all’indietro e le labbra socchiuse(3).