Grandi mostre. 1
Piero Fornasetti a Milano

l’Occhio
assoluto

Un’ardente predisposizione per l’arte e una singolare sensibilità visiva spingono Fornasetti, fn dall’adolescenza, a realizzare gli oggetti più disparati e a confrontarsi con i grandi del Novecento come Gio Ponti. Oggi il suo dirompente spirito creativo rinasce grazie alla tenacia imprenditoriale del fglio, curatore della mostra in corso al Triennale Design Museum.

Jean Blanchaert

Ogni cinquantamila persone, una ha l’orecchio assoluto, cioè sa riconoscere una nota dopo averla ascoltata una sola volta. La biro che cade per terra è un fa diesis, il cucchiaio che tocca la tazza al bar è un sol, la capocciata contro uno stipite è un mi bemolle.

Fra questi individui, però, soltanto pochi fortunati metteranno le mani sulla tastiera del pianoforte e cominceranno a suonare. Così, come per magia, gli accordi saranno armoniosi, vecchie canzoni riempiranno il silenzio e l’emozione del bambino o ragazzino che scoprirà di avere questa dote inaspettata sarà grande. Avere, poi, una vena compositiva è tutta un’altra storia, costellata di molti solfeggi, molte armonie, molti contrappunti e molti contrattempi, tipici, questi ultimi, della vita di ogni artista.

Quando Piero Fornasetti, nei primi anni Venti del Novecento, ancora adolescente, seduto di fronte a un foglio e con una matita in mano, nel giardino della casa estiva di famiglia a Varenna, sul lago di Como, vede apparire sulla carta bianca, in tempo reale, le forme alle quali stava pensando, rimane elettrizzato. Non smetterà mai più di disegnare. Come accadde per le parole scritte dai profeti, sono le immagini stesse a imporsi e a guidare la mano del piccolo Piero che impara subito a farsi trascinare dalle belle forme, quasi esse fossero i cani della slitta sulla quale il passeggero sta seduto. Pur amando molto la musica non credo avesse l’orecchio assoluto, ma se esistesse un occhio assoluto, questo sarebbe il suo.

Piero Fornasetti nasce nel 1913 a Milano nel quartiere di Città studi, dove ancora oggi si trova la sua casa-museo. Nello stesso edificio c’è la ditta di famiglia e il padre desidera che Piero si diplomi in ragioneria, per condurre gli affari con maggiore competenza. La sua vocazione artistica non è, però, timida, bensì assoluta, per cui nessuno vi si può opporre. Nel 1930, a diciassette anni, entra all’Accademia di Brera, dalla quale viene espulso due anni dopo per insubordinazione poiché si era ribellato contro l’assurda assenza del corso di nudo. Ormai, però, Piero Fornasetti ha già appreso le tecniche pittoriche e nulla lo può fermare. Innamorato dell’armonia, è il Picasso blu e rosa e non quello cubista a influenzarlo. Peraltro, crede nel percorso di autoformazione. Per sé e per gli altri.


Il suo lavoro parte dal disegno ed è molto più concettuale di tanta arte concettuale. Come diceva lui stesso: «È un biglietto di viaggio per il regno dell’immaginazione»

bidè Farfalle, litografa dipinta a mano su ceramica (fne anni Cinquanta);


Piero Fornasetti (il secondo da sinistra in alto) con alcuni amici e collaboratori, tra i quali Gio Ponti (l’ultimo da sinistra in alto) ed Edina Altara (terza da sinistra seduta) (1950).


vaso a pois Pensée, ceramica lavorata a mano, reinvenzione di Barnaba Fornasetti per Bitossi Ceramiche.

L’espulsione dall’accademia più che un trauma è uno stimolo. Curioso di ogni tecnica diventa in breve tempo lo stampatore di de Chirico, Savinio, Magnelli, Carrà, Fontana, Campigli e molti altri. Tutti vanno alla stamperia d’arte Piero Fornasetti per realizzare le loro litografe. Vede i grandi da vicino e da loro apprende molto, senza alcuna sudditanza. Tutto ciò che lo interessa viene prima messo in forno (fornasettizzato) e poi, una volta cotto, rappresentato.

Nel 1940 Gio Ponti, guardando un foulard stampato da Fornasetti, un foulard più bello di un quadro, che era stato rifiutato dalla commissione giudicante della Triennale di Milano, lo avvicina e lo incoraggia a stampare su qualsiasi superficie. La collaborazione tra Ponti e Fornasetti andrà avanti per un ventennio. Negli anni Cinquanta e Sessanta, ogni mercoledì, dopo la lezione al Politecnico, Ponti pranza dai Fornasetti. A tavola, oltre a mangiare, disegnano, progettano e discutono. Avere la fiducia del più grande architetto d’Italia, in un’epoca in cui i massimalisti del minimalismo evitano Piero Fornasetti, bollato come decoratore da un invisibile ma pesante editto e, quindi, classificato kitsch, non è poca cosa. Mentre gli intellettuali doc storcono il naso, le meravigliose serigrafie, frutto dei segreti della sua bottega - che si riducono alla fine nel rigore con cui conduce il lavoro - abbracciano i mobili disegnati da Gio Ponti e li avvolgono come se fossero immagini proiettate. Ponti e Fornasetti dormono poco e dedicano le notti soprattutto a progettare e disegnare. Scrive Fornasetti: «Ho fatto l’amore tutta la notte con una lastra nera di cera e una sottile punta d’acciaio. È stata una lunga notte e non so se ho vinto o perso. Certo non ho goduto».

Pittore, scultore, architetto d’interno, collezionista, stampatore, editore, gallerista, decoratore e tanto altro ancora: Piero Fornasetti ha creato più di tredicimila oggetti. Ha nascosto l’arte mostrandola nelle cose comuni, persino in un bidè sul quale fa volare le farfalle. Il suo lavoro parte dal disegno ed è molto più concettuale di tanta arte concettuale. Come diceva lui stesso: «È un biglietto di viaggio per il regno dell’immaginazione».

Gio Ponti sosteneva che Fornasetti fosse un italiano vero, in senso rinascimentale, bottega d’arte compresa. Pablo Neruda, vedendo questo inimmaginabile caos ordinato, definisce Fornasetti «il mago della magia preziosa e precisa». Collezionista di oggetti, sventra libri antichi per ritagliare stampe, crea un immenso archivio di immagini al quale attinge al momento opportuno per realizzare le sue creazioni: piatti, mobili, bicchieri, cravatte, tazze, teiere, vassoi, cestini, fazzoletti, specchi concavi, specchi convessi, schedari, lastre di zinco, serigrafie, litografe, migliaia di disegni, quadri, scatole, sedie, paraventi, sipari, trumeaux, carta da parati, ventagli, foulard, tutto insomma. Una mole di lavoro che neppure una legione di cento artisti scatenati sarebbe riuscita a produrre.

La moglie Giulia Gelmi, eccellente ceramista e fotografa, è sempre al suo fianco, nell’ombra, per nulla remissiva, ma fedele al gran libertino. È una figura molto importante nell’economia della sua vita. I foulard, per esempio, che sono stati il suo trampolino di lancio, li facevano insieme. Nell’affettuosa partecipazione agli amici che annuncia la scomparsa di Piero Fornasetti nel 1988, la moglie Giulia e il figlio Barnaba scrivono, a nome suo: «Ma la mia fantasia è ancora qui». E sarà il figlio Barnaba a dare a questa fantasia anche un’anima imprenditoriale, di successo in tutto il mondo. Questo figlio, che il padre avrebbe voluto pittore, dopo averne riconosciuto il talento artistico, riuscirà a trasformare il caos creativo fornasettiano, che spesso aveva portato i conti in rosso, in un’impresa che diventa commerciale proprio perché non abbandona l’impulso creativo. Barnaba comincia l’operazione di salvataggio degli affari di famiglia già cinque anni prima della morte del padre, quando lo affiancherà nella sua bottega, imparandone tutti i segreti. Non soltanto inizierà un lavoro di restauro, conservazione, catalogazione, riproduzione e produzione della sconfinata opera del padre, ma darà anche il suo personale tocco artistico, reinterpretando l’opera di Fornasetti e facendola rinascere senza che il pubblico si accorga di nulla. Al volto della diva di fine Ottocento, Lina Cavalieri, che Piero Fornasetti aveva scelto come viso emblematico di bellezza femminile per ornare i suoi celebri piatti, Barnaba aggiunge il rossetto sulle labbra, il piercing e l’occhiolino. La bottega Fornasetti si salva perché Barnaba ha guidato gli affari di famiglia da artista, fedele a quell’humour rigoroso che aveva fatto del padre il re della metafisica decorativa.


Trumeau Panoplie, litografa e foglia d’oro su legno (metà anni Cinquanta).


Paravento Utensili per la casa, litografa e foglia d’oro su legno (1951).


Dal 1896 lo stile di Jossot si radicalizza: un brusco cambiamento di rotta, in chiave grottesca

LA MOSTRA
A cent’anni dalla nascita, il Triennale Design Museum di Milano (via Alemagna 6, fino al 9 febbraio, telefono 02-724341, orario 10.30-20.30, giovedì 10-23, chiuso lunedì; www.triennale. it) dedica la prima rassegna in Italia a Piero Fornasetti. Occasione che permette di dare il giusto valore a un artista che, fuori dai convenzionali schemi culturali del secolo scorso, offre con le sue opere un’originalità di indiscusso interesse. Il percorso Piero Fornasetti. 100 anni di follia pratica propone oltre mille pezzi provenienti perlopiù dall’Archivio custodito dal figlio Barnaba Fornasetti, curatore anche del progetto espositivo suddiviso in diverse sezioni che raccontano tutta la parabola espressiva dell’artista milanese, dagli esordi pittorici fino alla sua morte nel 1988. Catalogo Corraini Edizioni.

ART E DOSSIER N. 306
ART E DOSSIER N. 306
GENNAIO 2014
In questo numero: MANIERISMI E SEX APPEAL Quando l'eros insidia lo stile, dal Primaticcio a Balthus, dal mito di Leda a Benton all'arte contemporanea. IN MOSTRA: Fornasetti, Renoir.Direttore: Philippe Daverio