XXI secolo
Arte contemporanea e sensualità

sex appeal
di maniera

Cristina Baldacci

Parlare di manierismo oggi non può non implicare un elemento che a partire dal secondo Novecento riemerge con grande euforia: l’erotismo. Dalla Pop Art, dove i nudi trasmettono un rinnovato desiderio sessuale, agli artisti odierni, che ripensano attraverso il fascino del corpo e della materia i tradizionali canoni di bellezza.

Tra i tanti “ismi” con cui si è cercato di inquadrare uno stile, un movimento, una tendenza della storia dell’arte, il manierismo è una delle definizioni più controverse. Classificare le differenti esperienze artistiche di un’epoca sotto a una parola-ombrello è un gesto quasi sempre arbitrario, che diventa ancora più problematico se il termine scelto per designare uno specifico orientamento del passato viene a un certo punto rispolverato e associato a un’attitudine contemporanea. Così è per “manierismo”, che oggi si usa spesso con valenza negativa, sia per indicare la sterile ripetizione degli stilemi rinascimentali nel XVI e XVII secolo o dei modelli linguistici della modernità negli ultimi cinquant’anni, sia per denotare una pura e semplice esibizione di virtuosismo tecnico. Eppure, nonostante il manierismo sia nato, come ricorda anche un contemporaneista come Achille Bonito Oliva paragonando il passato al presente, da «un esaurimento storico che non permette all’artista di attingere a una creatività primigenia, in quanto manca l’entusiasmo per la storia e per il proprio presente», sappiamo quanto il periodo tra Cinquecento e Seicento sia stato caratterizzato da grandi rotture, tensioni e spinte dialettiche, definendosi come un momento particolarmente denso e creativo(1). Il citazionismo e la copia, i due elementi compositivi che caratterizzano il manierismo in senso lato, non sono infatti quasi mai fini a se stessi, neppure nell’arte di oggi: il primo implica, il più delle volte, un’appropriazione delle formule di uno specifico autore o modello; il secondo, una personale ripresa – anche quando scaturita da «un bisogno rituale della forma» – dei generi stilistici che appartengono alla tradizione.

ORLAN, La Grande Odalisque - D’après Ingres (1968);


Urs Fischer, What if the Phone Rings? (2003).


Tom Wesselmann, Sunset Nude with Matisse Odalisque (2003).

Il sex appeal di “maniera” diventa nel caso della francese ORLAN un “memento mori”, il cui effetto viene accentuato dal fatto che il medium è il corpo dell’artista


Quell’impulso cleptomane che aveva pervaso i manieristi riemerge nelle arti visive a partire dalla seconda parte del XX secolo, quando, sulla scia delle prime avanguardie, gli artisti cercano di reagire a una nuova perdita del centro - esistenziale, ideologica, artistica - adottando il «nomadismo culturale» e l’«eclettismo stilistico» come strategie estetiche. La storia dell’arte e il mondo diventano così immensi cataloghi da cui prelevare frammenti del visivo e tracce del reale, e l’opera prende forma attraverso continui saccheggiamenti, rimescolii, contaminazioni. C’è anche un altro aspetto che riguarda l’arte cosiddetta manierista: il passaggio dal piano etico a quello estetico. Dopo la profonda crisi culturale e lo sgretolamento delle visioni flosofche e delle utopie a cui sia il tardo Cinquecento, sia il Novecento sono andati incontro, l’arte non può che assumere un atteggiamento autorifessivo e parlare di sé, del proprio linguaggio e svolgimento, dell’erotismo insito nella creazione.

A ben guardare, l’erotismo che, nel secondo Novecento, esplode nei quadri della Pop Art, non rispecchia soltanto la nuova libertà del corpo e l’emancipazione sessuale di cui, dopo le conquiste del movimento giovanile per le strade, la carta stampata e lo schermo televisivo sono i primi esuberanti portavoce, ma anche la sensualità stessa della pittura. Se un collage precorritore dei tempi come Just What Is It That Makes Today’s Homes So Different, So Appealing? (1956) di Richard Hamilton mostra un erculeo bodybuilder e una provocante pin-up come emblemi dell’essere e del vivere moderno, poco dopo i dipinti di Roy Lichtenstein, Jack Wesley e Tom Wesselmann raffgurano, oltre al sex appeal del nudo femminile - e, a volte, anche maschile -, il fascino del medium. I nudi della Pop Art sono icone che ci parlano di un nuovo, massifcato desiderio sessuale, ma anche e soprattutto della rappresentazione del corpo nella pittura e della sua iconografa contemporanea, come rivela, per esempio, la serie dei Sunset Nudes (2003-2004) di Wesselmann, che contengono citazioni da Matisse, Picasso e dai suoi stessi Great American Nudes degli anni Sessanta(2).


L’erotismo che esplode nei quadri della Pop Art non rispecchia soltanto la nuova libertà del corpo e l’emancipazione sessuale ma anche la sensualità stessa della pittura



Richard Hamilton, Just What Is It That Makes Today’s Homes So Different, So Appealing? (1956).


Matthew Barney, Cremaster 5 (1997), still da video.

Un filo rosso collega queste esperienze alla pratica di artisti più giovani, che, con modi e linguaggi diversi, hanno raccolto e rivisitato la tradizione pop, accentuandone la componente erotica sia per un progressivo abbassamento della soglia del pudore nella nostra società, sia per una rinnovata sfacciataggine e voracità nell’impadronirsi di modelli iconografici al di fuori del mondo dell’arte. La “maniera” pop si è estremizzata, e ormai anche ampiamente fossilizzata, nei dipinti e nelle sculture gonfiabili di Jeff Koons, che riproducono i miti dei mass media americani, da Michael Jackson e Hulk ai Puppy e Rabbit dei cartoni animati. Per non parlare della serie di opere che, all’apice del culto personale, ritraggono l’artista insieme alla ormai ex moglie Ilona Staller in atteggiamenti al limite del pornografico. Ma anche qui, al di là della provocazione, c’è l’idea di ripensare la rappresentazione del corpo e delle sue pulsioni nell’arte, attingendo a piene mani dall’immaginario contemporaneo e dall’iconografia: un’opera come Bourgeois Bust - Jeff and Ilona (1991) rinvia, in termini kitsch e baroccheggianti, all’Amore e Psiche del Canova.

Non possiamo parlare di Koons senza nominare il suo doppio orientale, Takashi Murakami. Le sue opere ridondano di simboli e richiami ironici alla cultura popolare giapponese di oggi, che, pur essendo figlia del consumismo americano, ha saputo dare vita a un proprio immaginario, di cui i manga, che sono la prima fonte d’ispirazione per l’artista, sono una delle espressioni più vivaci.

La seduzione, che in Koons e Murakami arriva a essere talmente esasperata da provocare disgusto (nel caso di Murakami, si veda la repellente formosità di Hiropon, 1997, o di 3-Meter Girl, 2011), è un tema che altri artisti, che guardano sempre alla Pop Art come a un punto di riferimento, trattano con una diversa sensibilità e un linguaggio più raffinato. Pensiamo alle “candele” antropomorfe e a grandezza naturale di Urs Fischer, che riproducono nudi femminili alla maniera di Wesselmann e compagni (What if the Phone Rings?, 2003), ma anche un capolavoro tardo-cinquecentesco come il Ratto delle sabine di Giambologna (Untitled, 2011). Il destino di queste sculture in cera, che sono metafore del corpo umano, è esaurirsi velocemente dopo l’accensione dello stoppino. Più che la sensualità delle forme, esse indagano perciò il potere attrattivo della materia, che per Fischer è legato alla sua natura effimera. Matthew Barney si spinge ancora oltre e usa il travestimento del corpo e la messa in scena di sé, con un ampio ventaglio di rimandi alla storia dell’arte e non solo, per costruire una nuova idea di bellezza, manierata e transgender.

Icona di una bellezza che valica i tradizionali criteri del bello e, per certi versi, anche l’identità di genere, è l’artista francese ORLAN (La Grande Odalisque - D’après Ingres, 1968). Negli anni, la sua assidua ricerca della perfezione l’ha portata ad assimilare sul proprio corpo, con frequenti e spesso dolorosissimi interventi chirurgici, gli stereotipi della bellezza occidentale. Ma questo tentativo di impersonare più identità possibili, l’ha trasformata in una maschera di cera tutt’altro che attraente. Il sex appeal di “maniera” diventa in questo caso un “memento mori”, il cui effetto viene accentuato dal fatto che il medium è il corpo dell’artista. 

Anche i “tableaux vivants” di Vanessa Beecroft esprimono il desiderio di una bellezza fragile, perché troppo spesso mal vissuta o sfruttata, ma che visivamente non interrompe il lungo dialogo con l’iconografa dell’arte: nelle sue performance mette in scena Odalische bianche e Veneri nere strizzando l’occhio alla storia della pittura.

ART E DOSSIER N. 306
ART E DOSSIER N. 306
GENNAIO 2014
In questo numero: MANIERISMI E SEX APPEAL Quando l'eros insidia lo stile, dal Primaticcio a Balthus, dal mito di Leda a Benton all'arte contemporanea. IN MOSTRA: Fornasetti, Renoir.Direttore: Philippe Daverio