Musei da conoscere 2 
IL NUOVO KMSKA DI ANVERSA

UN LABORATORIO
PER LA MEMORIA

Il nuovo KMSKA ha radicalmente modificato il suo aspetto interno. Con originali scelte di allestimento, alcune curiose incursioni di “arredo” museale e una valorizzazione innovativa dei suoi indiscussi capolavori.

Claudio Pescio

Undici anni di lavori e cento milioni di euro di investimento da parte del governo fiammingo hanno dato un volto nuovo al museo più prestigioso di Anversa, il più ricco di tutte le Fiandre, il KMSKA (Koninklijk Museum voor Schone Kunste), che ha riaperto le sue porte lo scorso 24 settembre. Un progetto ambizioso e, come ha detto il presidente del KMSKA, Luk Lemmens, «le ambizioni costano». 

Il Museo reale di belle arti visto da fuori conserva quell’aria da “io sono un museo” che rende inconfondibile questa categoria in tutta Europa e oltre. Un cubone ottocentesco bianco tutto colonnati, arcate, rilievi, scalinate, busti, vetrate, fastigi di bighe trainate da cavalli di marmo che si impennano verso il cielo della Fama portando con sé i propri tesori. Il riallestimento del giardino che lo circonda, che ospita alcune sculture, ha riannodato un rapporto con Het Zuid, il quartiere meridionale in cui si trova. 

Dentro, però molto è cambiato. 

Anzitutto sono stati rifatti interamente soffitti, pavimenti, impianti elettrici, pareti. Sotto ai pavimenti - accessibili tramite grandi botole, dove le opere possono scendere o salire - sono stati allestiti i depositi. In quelli che erano i cortili interni lo studio olandese KAAN Architecten ha inserito delle strutture-contenitore nuove in cui, come ha spiegato la direttrice del museo Carmen Willems, hanno trovato posto le collezioni di arte contemporanea: un quaranta per cento di spazio espositivo supplementare. Un «equilibrio delicato», come lo ha definito, quello che è stato creato fra la parte più antica delle collezioni e quella più vicina al nostro tempo, con la collezione di opere di James Ensor - la più nutrita al mondo - a fare da trait d’union fra antico e moderno. 

È stato rivisto anche tutto il sistema di collegamento fra i piani del museo. 

La collezione, nel suo complesso, è stata riallestita. E un riallestimento non può non presentare ai curatori l’obbligo di una scelta: in che ordine disporre le opere? E qui abbiamo una delle innovazioni più interessanti dal punto di vista museografico. 

La tradizionale modalità espositiva cronologica è ancora senza dubbio la più diffusa, almeno nei musei che ospitano collezioni che attraversano vari secoli di creatività. Da tempo questa impostazione di natura didattica - replica delle modalità del percorso scolastico - cerca strade alternative per dare una risposta più efficace ai nuovi ruoli attribuiti al museo, non più monolitico e immutabile espositore di capolavori da offrire alla venerazione e istruzione di studiosi, cittadini e turisti, ma realtà dinamica, mutevole, luogo di sperimentazioni e attività capaci di creare relazioni positive con la comunità di riferimento. I musei trovano occasioni di rinnovamento strutturale e organizzativo (e finanziamenti) quando - come in questo caso - si rendono comunque necessari lavori di restauro, con ampliamenti delle superfici, interventi negli arredi e nell’illuminazione, nuove destinazioni d’uso di alcuni ambienti (esposizioni temporanee, biblioteche, spazi per bambini…), installazione di attrezzature tecnologiche e, appunto, magari anche un nuovo ordine espositivo. 

Tutte queste cose sono accadute al KMSKA, ma uno dei cambiamenti più importanti è proprio la scelta di rinunciare alla disposizione cronologica (almeno in parte) per un percorso di tipo tematico. Il che significa, a ben vedere, rinunciare alla rassicurante “neutralità” delle scelte imposte dal calendario: quest’opera sta qui perché è stata realizzata dopo quella che la precede, sullo stesso muro, e prima della successiva. Se scelgo un altro tipo di accostamento devo dire perché lo faccio. In questo caso i curatori, nella parte della collezione d’arte antica, hanno definito dei temi diversi sala per sala. Questo significa prendersi la responsabilità di aprire un discorso che usa le opere al posto delle parole. 

Significa dare delle chiavi di lettura determinate da idee comunicative - quindi modificabili - e non da logiche di scuole pittoriche, relazioni fra botteghe, dipendenze stilistiche, periodizzazioni scolastiche. Significa anche che il visitatore - sempre aiutato da brevi ma chiari pannelli esplicativi - a volte possa non condividere le logiche di accostamento. Fa parte del gioco, a ognuno la propria valutazione del “discorso” che sta guardando. 

Vediamo insieme qualche esempio di come funziona questo gioco nel più prestigioso museo di Anversa.


Anversa nel Cinque-Seicento era una delle capitali economiche d’Europa, città di traffici marittimo-fluviali, di innovazione artistica, luogo di incontro di culture diverse


Esterno del nuovo KMSKA di Anversa.


Interno del nuovo KMSKA di Anversa.


Interno del nuovo KMSKA di Anversa.


Interno del nuovo KMSKA di Anversa.

Interno del nuovo KMSKA di Anversa.


Interno del nuovo KMSKA di Anversa.


James Ensor, L’intrigo (1890).

Anzitutto la “neutralità” è già contraddetta dal fatto di avere pareti colorate, perlopiù sui toni che vanno dal rosa carico al rosso scuro al verde oliva, ripresa dei colori ottocenteschi, almeno nella parte riservata alle opere del periodo più rappresentato nelle collezioni, quello che copre i secoli XV-XVII; il periodo in cui Anversa era una delle capitali economiche d’Europa, città di traffici marittimo-fluviali, di innovazione artistica, luogo di incontro di culture diverse («la Babilonia d’Europa», la definisce Koen Kennis, assessore al Turismo della città). 

In questo settore le sale propongono per esempio temi come “Sofferenza”, dove troviamo accostati Bill Viola, Rubens e Antonello da Messina. E funziona. Il messaggio arriva senza dissonanze, nonostante i secoli che separano le tre opere. Perché “Sofferenza” è un concetto preciso, chiaro, ben distinguibile nell’esperienza di ciascuno; muove un sentimento che continua ad appartenerci. 

Più complesso, invece, condividere accostamenti in settori definiti da temi più astratti o generici, come “Colore”, in cui troviamo per esempio il bianco neve di Bruegel e quello dell’espressionista belga Albert Servaes, ma dove la contiguità risulta più casuale, intercambiabile a piacere. 

Un piacere certo, in ogni caso, è trovarsi di fronte a una serie incredibile di capolavori. Il museo conserva ventisette opere di Rubens - il più grande interprete del Barocco fiammingo, che ad Anversa stabilì la sua residenza principale e il suo atelier -, tra le quali la gigantesca Adorazione dei magi (1624-1625) e la Madonna in trono e santi (1628 circa). Proprio dall’Adorazione viene l’ispirazione di un’altra caratteristica del nuovo KMSKA, quella di avere come elemento di arredo alcune opere tridimensionali dell’artista Christophe Coppens riproducenti dettagli tratti dai dipinti della sala in cui si trovano. In questo caso i dromedari dei magi trasformati in un ampio divano colorato di rosso preso d’assalto soprattutto dai visitatori più piccoli. Altrove troviamo una mano (mobile: ogni tanto si muove, come a voler acciuffare chi le passa sotto), una mosca, un gatto, una roccia. 

L’elenco dei capolavori non può trascurare Jan van Eyck, con la Santa Barbara del 1437; la Madonna circondata da cherubini e serafini di Jean Fouquet (1450 circa), irreale nella sua volumetria cubista, nella candida levigatezza dell’incarnato e nel “total color” rosso/blu degli angeli; Giuditta, di Jan Massijs (1554 circa); Clara Peeters con una delle sue straordinarie composizioni, Natura morta con pesci (1612-1621); Frans Hals, con il Ritratto di Stephanus Geraerds (1650-1652); il pensieroso Carlo V bambino di Jan van Beers (1879); l’annoiata Cleopatra di Alexandre Cabanel (1887). Inoltre le molte opere di Rik Wouters (1882-1916), protagonista della stagione fauve fiamminga, con una costante coprotagonista: la modella e moglie Nel. E il già menzionato James Ensor, enigmatico, oscuro precursore dell’espressionismo e del surrealismo nelle loro manifestazioni più oniriche e grottesche.


Una caratteristica del museo è quella di avere come elemento di arredo delle opere tridimensionali dell’artista Christophe Coppens riproducenti dettagli tratti dai dipinti


Jean Fouquet, Madonna circondata da cherubini e serafini (1450 circa).

Pieter Paul Rubens, Adorazione dei magi (1624-1625).


Jan Massijs, Giuditta (1554 circa).

KMSKA

Anversa, Leopold de Waelplaats 2
orario 10-17, giovedì 10-22, sabato e domenica 10-18
www.kmska.be

VAN DER GOES IN MOSTRA A BRUGES
UN CAPOLAVORO TORMENTATO

Al Sint-Janshospitaal di Bruges è in corso un’importante mostra sulla pittura fiamminga della seconda metà del Quattrocento. Si intitola Oog in oog met de Dood (Faccia a faccia con la morte) e raccoglie circa settanta opere attorno alla Morte della Vergine (1472 circa - 1480 circa; Bruges, Groeningemuseum) di Hugo van der Goes (fino al 5 febbraio 2023; www.museabrugge.be). L’opera viene qui presentata al pubblico dopo un impegnativo restauro, insieme a dipinti di Hans Memling, Jan Provoost, Petrus Christus, Albrecht Bouts e a un gruppo di opere di artisti contemporanei ispirate all’arte del periodo e al tema universale che affronta il dipinto di Van der Goes (1440 circa - 1482). 
La Morte della Vergine presenta una stanza chiusa, senza altre aperture che la visione ultraterrena di Cristo in un alone di luce, con due angeli, pronto ad accogliere la madre, distesa nel suo letto di morte. Tutto attorno si accalcano gli apostoli, ciascuno espressione di un diverso, seppur trattenuto, atteggiamento di dolore. Una spazialità compressa, con il letto posto di sbieco; al centro, come illuminato da un occhio di bue, il volto pallido della Vergine. 
La Morte della Vergine è un’opera assegnata da alcuni studiosi ai primi anni Settanta del Quattrocento, almeno come inizio; ma fu probabilmente terminata nell’ultimo periodo di Van der Goes - spirito inquieto, vittima di disturbi mentali, che concluse la sua vita in un convento -, in cui prevalse il desiderio di espiare delle colpe forse immaginarie, di far emergere il sacro in primo piano, in un’atmosfera trasfigurata e irreale che contrasta con la pur sempre evidente maestria dell’artista nel rendere naturale, quasi tangibile, ciò che appartiene alla sfera ultraterrena. 
Il colore è trasparente, diluito, lontano dalla densità di molti suoi colleghi del tempo, quasi un’anticipazione di certa pittura cinquecentesca, ed è uno dei tratti distintivi della sua maniera di dipingere, insieme alla sapiente messa in scena delle figure, uno degli elementi originali su cui aveva costruito la fama e l’apprezzamento di cui era ormai circondato, orgoglio e tormento della sua vita.


Hugo van der Goes, Morte della Vergine (1472-1480 circa), Bruges, Groeningemuseum.

ART E DOSSIER N. 404
ART E DOSSIER N. 404
DICEMBRE 2022
In questo numero: FINESTRE SULL’ARTE: Crivelli, una rivelazione di Federico D. Giannini; BLOW UP: Avedon - di Giovanna Ferri; GRANDI MOSTRE. 1 - Olafur Eliasson a Firenze - Ognuno vede a modo suo di Lauretta Colonnelli; 2 - Freud a Londra - Quel senso di tragicità a fior di pelle di Valeria Caldelli; ....