Grandi mostre. 3
Gaudì a Parigi

un outsider
di successo

Massimo esponente del modernismo catalano, Gaudí è stato promotore di progetti così audaci da apparire bislacchi ai suoi contemporanei. Al Musée d’Orsay una grande retrospettiva è dedicata al visionario interprete dello spazio, delle forme e dei colori.

Valeria Caldelli

Quando, nel 1910, Parigi gli dedica una grande esposizione al Grand Palais, lui non andrà neanche all’inaugurazione, chiedendo a chi lo rappresentava di riferire soltanto che la sua architettura altro non era che «un perfezionamento del Gotico». 


In effetti per Antoni Gaudí, ormai quasi sessantenne e restio a compiere qualsiasi viaggio fuori dalla sua amata Catalogna, lo stile medievale dei palazzi e delle chiese di Barcellona aveva un difetto da correggere. Gli archi portanti e i contrafforti dell’architettura gotica per lui erano brutte “stampelle” e in quanto tali dovevano essere eliminati. In realtà tutta la sua vita sarà dominata da questa ossessione: trovare la forma che assorba tutte le sollecitazioni statiche di un edificio e ne distribuisca il peso senza bisogno di sostegni. Idea bizzarra e inafferrabile per i suoi stessi contemporanei alle prese con i ghiribizzi dell’Art Nouveau. Eppure, nel 1910 la Sagrada Familia era da tempo in costruzione con le sue linee ardite. E anche le strade importanti di Barcellona esibivano edifici fantasiosi e sorprendenti, da casa Batlló a casa Milà, nati dalla creatività di un architetto eccentrico che la maggior parte della critica e gli stessi abitanti della città non esitavano a considerare strampalato. E se è vero che l’originalità di casa Calvet aveva offerto a Gaudí la vittoria in un concorso comunale, è altrettanto vero che centinaia di caricature vennero sfornate dai giornali satirici di Barcellona ridicolizzando a lungo i palazzi da lui costruiti, trasformati sulle loro pagine in grandi torte con architravi di panna e coni gelato al posto dei comignoli. 


Amato oppure odiato, da una parte mitizzato e dall’altra denigrato, Gaudí, oltre a restare una figura isolata nel mondo dell’architettura e dell’arte è stato a lungo dimenticato per essere riscoperto solo negli anni Sessanta del secolo scorso. Oggi torna a occuparsene Parigi per suggerire una riflessione sulla sua opera e sulla sua personalità nell’ambito di un’esposizione al Musée d’Orsay. Questo percorso, oltre a presentare mobili, oggetti, elementi decorativi, plastici, disegni e fotografie, si prefigge anche l’obiettivo di ricostruire il periodo di trasformazione di Barcellona, rimarcando il grande tributo che questa città deve al “suo” architetto. 


«L’opera di Gaudí è molto personale, ma [l’artista] non è un genio isolato e fuori tempo. Certamente non assomigliava a nessuno, ma si poneva gli stessi problemi di tutti gli altri, anche se poi li risolveva in maniera del tutto singolare e unica», spiega Élise Dubreuil, curatrice della mostra insieme a Isabelle Morin Loutrel. «Si trattava di capire, soprattutto, come si costruisce per l’uomo moderno che vive in città e lavora in ufficio, che non è legato al passato, ma che lo ricorda. E qual è il rapporto di quest’ uomo con la Chiesa».


AMBIENTI CHE NON AVEVANO NIENTE A CHE FARE CON LE COMODITÀ BORGHESI MA CON UNA NUOVA E SOFISTICATA ARISTOCRAZIA CHE AMBIVA A TRASFORMARSI IN MITO


Progetto per l’esterno della chiesa della colonia Güell (1908-1910 circa), Barcellona, Museu Nacional d’Art de Catalunya.


Anonimo, Particolare del vestibolo di palazzo Güell (1927), Barcellona, Instituto Amatller de Arte Hispánico, Archivo Mas.

In effetti, Gaudí non è il solo a stupire in quegli anni di grande fermento industriale e commerciale che vedono crescere nella Catalogna una nuova e potente classe borghese portatrice di uno spirito orgogliosamente nazionalistico. Josep Puig e Lluís Domènech furono i principali architetti “modernisti” a rivaleggiare con Gaudí nella battaglia sull’originalità che li vide confrontarsi a “singolar tenzone” sul paseo de Gracia, una delle aree più importanti tracciata dal nuovo piano urbanistico di Barcellona. I contemporanei lo chiamarono «l’isolato della discordia» e seguirono con passione e non senza qualche ilarità la diffusione di edifici stravaganti, dalle forme esasperate. 


L’idea della rinascita barcellonese - la “Renaixença” - era quella di generare uno stile diverso e singolare che sapesse coniugare un vivace rinnovamento con la tradizione medievale dell’antica città. È certo che in questa ricerca di un’architettura nazionale catalana, Gaudí fu il più creativo ed eclettico, esprimendo davvero una forza vulcanica, sia nelle invenzioni formali che in quelle decorative, entrambe spesso poco meno che deliranti e visionarie. Casa Batlló fu il suo trionfo, con quella facciata di vetri colorati e dischi ceramici color del mare, le pareti ondulate, il tetto a squame, i balconi con le ringhiere che sembrano maschere e le sottili colonne di pietra arenaria simili a tibie. Per questo venne chiamata anche «casa delle ossa». L’esposizione parigina, allestita con il Museu Nacional d’Art de Catalunya di Barcellona, ci mostra una parte del mobilio disegnato dall’architetto per gli ambienti interni: sedie, panche a due posti, angoliere, porte intarsiate. Una serie di foto d’epoca ci trasportano in un mondo misterioso e inafferrabile creato per una nuova borghesia che ambiva a prendere il posto della vecchia nobiltà. 


Antoni Gaudí era lontano dall’essere il genio isolato e incompreso che una grande parte della sua bibliografia, quasi sempre agiografica, ci ha lasciato intendere», scrive Juan José Lahuerta nel catalogo dell’esposizione. «La sua opera si è invece sviluppata in seno a strategie politiche e ideologiche ben concrete». 


Dunque, la superiorità di Gaudí sulla sua epoca non è dovuta al suo preteso “isolamento geniale”, né a una fantomatica follia. In realtà, sostiene Lahuerta, le sue opere sono state costruite in base alle aspirazioni e ai bisogni dei suoi potenti clienti e sono quindi inserite pienamente nella vita di una Barcellona divisa dalla lotta di classe.


Coppia di poltrone (senza data).


Anonimo, Camini e terrazza sul tetto di casa Milà (1906-1916), Barcellona, Centre Excursionista de Catalunya - Arxiu Fotogràfic.

Il cliente più potente si chiamava Eusebi Güell i Bacigalupi, ultimo discendente di una famiglia catalana che aveva fatto fortuna nelle colonie spagnole dell’America latina e che in patria aveva investito in una fiorente industria tessile. Come Gaudí era un fervente cattolico e insieme un tenace e impegnato sostenitore della lingua e della cultura catalana. Tra i due nacque così un sodalizio che portò alla realizzazione della maggior parte delle opere più famose dell’architetto, da palazzo Güell, non lontano dalla Rambla, al parco Güell, nella parte superiore di Barcellona, sulle pendici di una collina. «La fortuna artistica di Gaudí non ci sarebbe stata senza la fortuna economica e sociale di Güell», sottolinea la co-curatrice Isabelle Morin Loutrel. 


A osservare gli interni di palazzo Güell, casa Milà e casa Calvet, come appaiono nelle rare foto d’epoca in mostra, i loro mobili dalle forme enfatiche e rotondeggianti («La retta è la linea degli uomini e la curva è la linea di Dio», diceva Gaudí), si intuisce come quegli ambienti non avessero niente a che fare con le comodità borghesi, ma mirassero invece proprio a legittimare l’esistenza di una nuova e sofisticata aristocrazia che ambiva a sottrarsi al tempo e a trasformarsi in mito.


Antoni Gaudí (ideazione), Atelier Casas i Bardés (ebanisti), vetrina ad angolo per casa Batlló (1904-1906), Parigi, Musée d’Orsay.

Antoni Gaudí e Josep Maria Jujol, elemento di mosaico "trencadís" del parco Güell (1904), prodotto dall’azienda Pujols i Baucis, Barcellona, Museu Nacional d’Art de Catalunya.


Piastrella per la facciata di casa Vicens, Barcellona, casa Vicens Gaudí (1883-1888).

Quelle forme Gaudí non sempre le tratteggiava con la matita, né disegnava i suoi progetti. Costruiva piuttosto grandi plastici per “provare un’idea” che era soltanto nella sua mente. «Aveva la terza dimensione nella testa. Pensava l’opera direttamente con tutti i volumi», spiega ancora Élise Dubreuil. «Il suo sistema mentale arrivava a un buon risultato, anche se aveva bisogno di molto tempo prima di giungere all’applicazione. Se la Sagrada Familia procedeva con lentezza non era solo per difficoltà economiche». 


La mostra propone un’immersione nell’ultimo atelier, quello della Sagrada Familia, purtroppo saccheggiato durante la guerra civile, dieci anni dopo la morte di Gaudí. Molti oggetti sono così andati perduti, ma alcuni rari disegni e plastici sopravvissuti sono ora esposti. Sempre più isolato dal mondo e pervaso da un grande misticismo è qui, in questo cantiere, che l’estroso architetto trascorse i suoi ultimi anni, ricavandosi anche uno spazio di vita: un letto, un tavolo da lavoro pieno di oggetti e poco altro. Senza dubbio quell’esuberanza che traspare dalle sue opere non si rifletteva nella sua personalità: nessun figlio, nessuna donna, mai viaggi, pochissimi libri, se non quelli liturgici. Però era un convinto nazionalista, oltre che testardo, al punto che continuò a parlare catalano persino con il re di Spagna Alfonso XIII, quando, nel 1904, il sovrano volle ammirare la facciata della Sagrada Familia. D’altronde Gaudí si rifiutava anche di portare l’orologio perché il tempo non lo interessava, né si metteva mai gli occhiali, nonostante i gravi difetti di vista. A parte le manie e le stravaganze, era anche un uomo semplice, che non cercava onori, né riconoscimenti. Eppure è passato ai posteri come “l’architetto di Dio” e il suo nome e la sua opera hanno fatto il giro del mondo. Ma questo più tardi. Quando, il 7 giugno del 1926, un tram lo investì mentre andava a messa, fu scambiato per un barbone e lasciato a lungo senza soccorso prima di essere trasportato all’ospedale dove morì tre giorni dopo.H


Antoni Gaudí (ideazione), Francesc Vidal i Jevellí (ebanista), toletta per il palazzo Güell (1886-1889).


Cerchia di Gaudí, fioriera treppiede a sezione triangolare (1905-1906), Parigi, Musée d’Orsay.

ART E DOSSIER N. 399
ART E DOSSIER N. 399
GIUGNO 2022
In questo numero: ARTE CONTEMPORANEA - Biennale Gherdëina; CAMERA CON VISTA - Ennio, l’orecchio del cinema; STORIE A STRISCE - L’adolescenza vista dal fumetto; BLOW UP - Brescia Photo Festival; ARCHITETTURA PER L’ARTE - L’autobiografia di un luogo; GRANDI MOSTRE. 1 - Elmgreen & Dragset a Milano. Essere umani? Quasi un imbarazzo; GRANDI MOSTRE. 2 - Daido Moriyama e Shomei Tomatsu a Roma. Sguardi randagi su Tokyo; STUDI E RISCOPERTE. 1 - Toyen. La tela come sismografo dell’onirico; PAGINA NERA - Le colonie in riviera, c’è chi aspetta e c’è chi spera; GRANDI MOSTRE. 3 - GaudÍ a Parigi. Un outsider di successo; GRANDI MOSTRE. 4 - Grubicy de Dragon a Livorno. Devoto alle avanguardie; STUDI E RISCOPERTE. 2 - L’iconografia di Ruggero e Angelica. L’eroina e il suo salvatore; OGGETTO MISTERIOSO - Il cielo in una stanza; GRANDI MOSTRE. 5 - Giuseppe Bezzuoli a Firenze - Un distillato di Ottocento; GRANDI MOSTRE. 6 - Donatello a Firenze. Il terremoto all’alba del Rinascimento; GRANDI MOSTRE. 7 - Le culture megalitiche della Sardegna a Napoli. Figure di pietra; IN TENDENZA - Con Morbelli vince la terza età.