Grandi mostre. 2
Daido Moriyama e Shomei Tomatsu a Roma

sguardi randagi
su tokyo

Il maestro, Tomatsu, e il suo allievo, Moriyama. Due fotografi con due visioni diverse: l’una fluida, morbida, delicata; l’altra stridente, frammentata, disturbante per raccontare la capitale del loro paese, il Giappone, dal dopoguerra a oggi, in una grande esposizione al Maxxi.

Francesca Orsi

Due scarpe abbandonate per strada, un rigurgito della città, ritrovamenti casuali che animano le vie di Tokyo: una delle due calzature è fotografata da Daido Moriyama (Osaka, 1938), l’altra da Shomei Tomatsu (Nagoya, 1930 - Naha, 2012), suo maestro. 


Le due immagini fanno parte della grande retrospettiva con cui il MAXXI - Museo nazionale delle arti del XXI secolo omaggia - fino al 16 ottobre, a cura di Hou Hanru ed Elena Motisi - i due grandi fotografi giapponesi, Tokyo Revisited. Daido Moriyama con Shomei Tomatsu. Una visione ampia e complessa di una Tokyo ritratta come un grande ricettacolo di vita e umori, stimoli e pulsioni, come strabordante simbolo di desiderio, dal dopoguerra a oggi. Entrambi come cani vagabondi, erranti per la metropoli in cerca di stimoli visivi, hanno immortalato una scarpa femminile con il tacco, abbandonata sulla superfice della strada. Ma, mentre Daido Moriyama ne coglie l’aggressività sessuale che sprigiona, la simbologia primordiale insita nelle sue forme, isolandola dal contesto cittadino in un contrasto accentuato di luci e ombre scure, Shomei Tomatsu, in una scala morbida di grigi, la fa dialogare con le irregolarità del manto stradale e con la figura di un altro oggetto abbandonato, conferendo all’immagine una certa poetica decadenza che sa di fotografia umanista francese.


TOMATSU È TESTIMONE, OSSERVATORE SILENTE, MORIYAMA, INVECE, FAGOCITA IN MODO COMPULSIVO E CON VEEMENZA VISIVA OGNI BRANDELLO URBANO


Daido Moriyama, Stray Dog, Misawa (1971).

Daido Moriyama, Japan a Photo Theater (1968); Shomei Tomatsu, Blood and Roses (1969).


Shomei Tomatsu, Blood and Roses (1969).


Shomei Tomatsu, Chindon Street Musician (1961).

Tokyo è stata, per entrambi, una fonte inesauribile di narrazioni visive, incollate insieme, fotogramma dopo fotogramma, dalle emozioni forti che la capitale giapponese è stata capace di generare in loro. Ma, se Moriyama le ha volute manifestare frammentando il flusso viscoso che gli si presentava davanti all’obiettivo, in maniera apparentemente caotica e “sbagliata”, con uno stile “grainy, blurry and ufocused” (sgranato, offuscato e fuori fuoco), che l’ha reso riconoscibile in tutto il mondo, Tomatsu ha preferito raccontare, dello stesso “magma urbano”, forme e contrasti più morbidi, togliendo quello stridore visivo collegato all’enfatizzazione tecnica e lasciando emergere, libera, la primordialità del fluire della vita. Se entrambi, infatti, hanno attinto grandi visioni dal quartiere di Shinjuku, noto come il “distretto dei divertimenti” di Tokyo, la differenza è evidente nel modo di rappresentarlo: Moriyama usa lo stridore - figurativo ma anche cromatico - per pungere lo spettatore, per rendergli la visuale delle sue immagini disturbante, Tomatsu, invece, immortala scene erotiche con maggiore delicatezza di sguardo, come nella serie Blood and Roses (1969), facendo in modo, per esempio, che il primo piano di un sedere nudo non risulti provocatorio, ma intimo, tassello visivo di una storia pungente ma privata, di cui lui si rende testimone. Nelle immagini di interni, stanze d’albergo, atti sessuali, mimiche facciali che indicano piacere e desiderio il maestro di Moriyama sembra calare uno sguardo maggiormente figurativo nei confronti della nudità del corpo femminile, oltre che documentativo rispetto all’esperienza erotica in sé, cosa su cui, invece, il fotografo di Osaka non si sofferma, intenzionato più a sottolineare la provocazione dei suoi scatti, anche soprattutto attraverso la decostruzione dell’immagine e della sua composizione. Le fotografie di Moriyama, infatti, si susseguono freneticamente e compulsivamente, come dei flash ripetuti a cadenza regolare, sui dettagli, sui tasselli di quella vita abbandonata ai margini delle strade di Tokyo. Nelle sue immagini come anche nei loro allestimenti tutto parla di questa sua visione serrata, di questa ripetitività che non concede spazi né pause, non per le strade di Tokyo dove tutto accade repentinamente né tanto meno sulle pareti del MAXXI dove molte sue fotografie sono allestite a blocchi compatti senza linee di fuga tra di loro.


Daido Moriyama, Accident (2016).


Daido Moriyama, Jeans from Letter à Saint Loup (2016).

«Qualsiasi cosa io guardi mi sembra interessante, qualsiasi cosa io veda mi stimola. Essere stimolato mi spinge a premere il pulsante dell’otturatore, e da questo gesto nascono ulteriori fotografie. Ogni scatto porta a un altro, che a sua volta conduce direttamente al successivo. Credo sia questa reazione a catena che mi spinge ad andare avanti e che mi prepara a ogni scatto», afferma Moriyama in occasione di un’intervista con i curatori dell’esposizione romana. Nelle immagini di Tomatsu, invece, come nella serie Protest della fine degli anni Sessanta, emerge specificatamente la loro resa come testimonianza, della vita sociale e politica della città, del suo fremere, delle sue espressioni pubbliche unitamente a quelle private, celate nelle stanze d’albergo e negli anfratti più reconditi di Tokyo. 


Tokyo Revisited mostra un’angolazione di sguardo omogenea sulla metropoli giapponese, uno sguardo randagio come quello di un cane, rivolto verso il basso, verso i dettagli, verso un mondo lasciato ai margini, dove però le emozioni si fanno più forti e viscerali, ma il modo di rappresentare poi questi tasselli di vita si rende differente: per Tomatsu sicuramente più lineare, più legato al suo essere testimone della città, all’esserne l’osservatore silente; Moriyama, invece, fagocita compulsivamente e con veemenza visiva ogni brandello urbano, che sia un oggetto, una luce, una stanza d’albergo con una prostituta, o anche un’immagine su una rivista o su schermo televisivo che infine rifotografa. Ogni stimolo a fotografare viene colto da lui con la stessa voracità, con la stessa intenzione di incamerare tutta la vita possibile, di qualunque genere: «Realtà e immagini su poster o TV sono tutti equivalenti perché ognuno di essi esiste esternamente. Quindi, se una donna su un poster sembra più sexy di una vera, la fotografo». 


Questo suo essere visivamente onnivoro gli ha permesso di decostruire la natura dell’immagine dall’interno, lavorando direttamente sul concetto di “medium” e sulla sua riproducibilità, creando uno stile che inizialmente in molti hanno affossato, ma per cui ora viene riconosciuto come uno dei maestri della fotografia contemporanea. Nella serie Accident, per esempio, pubblicata per la prima volta nel 1969 sulle pagine della rivista “Asahi Camera” ed esposta al MAXXI in stampe di grande formato, che permettono di fruire maggiormente della loro crudezza e granulosità visiva, Moriyama riprodusse fotograficamente immagini di incidenti apparse su giornali, manifesti e televisioni. A differenza di Andy Warhol e del suo Death and Disaster (1962-1963), in cui l’artista americano mette in discussione apertamente l’uso di immagini riduplicate, il fotografo giapponese è affascinato dalla loro visione e le riproduce come fonte della propria fascinazione estetica ed emozionale, senza porre un netto confine tra la realtà e la sua rappresentazione. Da bulimico di immagini, Moriyama incamera tutto, attraverso il suo obiettivo, per poi vomitarlo fuori a brandelli, intriso degli umori del suo stomaco fotografico, “grainy, blurry and ufocused”.


Shomei Tomatsu, Protest (1969).


Di Daido Moriyama: Light and Shadow (1982);


Di Daido Moriyama: Provoke (1969).

Tokyo Revisited. Daido Moriyama con Shomei Tomatsu

a cura di Hou Hanru ed Elena Motisi
in collaborazione con MEP - Maison Européenne de la Photographie
di Parigi
Roma, MAXXI - Museo nazionale delle arti del XXI secolo
fino al 16 ottobre 2022
orario 11-19, sabato e domenica 10-19, chiuso il lunedì
www.maxxi.art

ART E DOSSIER N. 399
ART E DOSSIER N. 399
GIUGNO 2022
In questo numero: ARTE CONTEMPORANEA - Biennale Gherdëina; CAMERA CON VISTA - Ennio, l’orecchio del cinema; STORIE A STRISCE - L’adolescenza vista dal fumetto; BLOW UP - Brescia Photo Festival; ARCHITETTURA PER L’ARTE - L’autobiografia di un luogo; GRANDI MOSTRE. 1 - Elmgreen & Dragset a Milano. Essere umani? Quasi un imbarazzo; GRANDI MOSTRE. 2 - Daido Moriyama e Shomei Tomatsu a Roma. Sguardi randagi su Tokyo; STUDI E RISCOPERTE. 1 - Toyen. La tela come sismografo dell’onirico; PAGINA NERA - Le colonie in riviera, c’è chi aspetta e c’è chi spera; GRANDI MOSTRE. 3 - GaudÍ a Parigi. Un outsider di successo; GRANDI MOSTRE. 4 - Grubicy de Dragon a Livorno. Devoto alle avanguardie; STUDI E RISCOPERTE. 2 - L’iconografia di Ruggero e Angelica. L’eroina e il suo salvatore; OGGETTO MISTERIOSO - Il cielo in una stanza; GRANDI MOSTRE. 5 - Giuseppe Bezzuoli a Firenze - Un distillato di Ottocento; GRANDI MOSTRE. 6 - Donatello a Firenze. Il terremoto all’alba del Rinascimento; GRANDI MOSTRE. 7 - Le culture megalitiche della Sardegna a Napoli. Figure di pietra; IN TENDENZA - Con Morbelli vince la terza età.