Grandi mostre. 1
Elmgreen & Dragset a Milano

Essere umani?
quasi un imbarazzo

Provocante e graffiante, useless bodies? È il grande progetto espositivo alla Fondazione Prada del duo danese Elmgreen & Dragset, che indaga con installazioni immersive il ruolo del corpo e della presenza fisica in un’era contaminata da una tecnologia sempre più invasiva. E la dimensione umana?

Marcella Vanzo

Uno zoo umano, da dentro, da fuori. Un signore attempato legge un giornale all’esterno ma non credo faccia parte della mostra. Che ci fa qui, tuttavia, non glielo chiedo. Il grande acquario è davanti a me, ovvero la sala impeccabile detta “podium”: all’interno, i giornalisti si muovono e posano, le statue no. Tutti fanno foto di tutto, mentre le statue restano immobili. Di chi sono i corpi “inutili”? Di un bambino che regge una coppa, un giovane campione di tennis per esempio. Di una cameriera che guarda un bambino più piccolo accovacciato davanti a un camino. C’è anche un bambino in bronzo dorato che guarda fisso, di fronte a sé, quello che pare uno schermo. Un bambino che luccica come fosse d’oro. Un ragazzo al balcone in tuta, poi eroi e adoni in marmo e non. Statue classiche. 


Entro, avvinta, per saperne di più. Appena varcata la soglia, scopro che il bambino in bronzo dorato e luccicante in realtà ammira un fucile - sempre in bronzo dorato - altrettanto scintillante, custodito in una teca incorniciata. Gli adoni sono antichi marmi, gli adoni sono calchi in gesso protetti da adeguati sostegni e strutture. Arrivano dalla collezione Farnese di Napoli, in particolare dal patrimonio conservato al Museo archeologico, dal Thorvaldsens Museum di Copenaghen e da molte altre raccolte pubbliche e private d’arte antica, ci raccontano gli artisti, alla conferenza stampa. Una coppia di gay, che parlano di miti maschili dall’inizio della nostra civiltà a oggi. Di modelli diversi di identità maschile, di fragilità, di antieroi. Di uomini, insomma, diversi da tutti quelli mitologici, storicizzati e immortalati dalle sculture classiche esposte nel podium. Di uomini costretti a vivere secondo modelli standard contemporanei o stereotipi in cui non si riconoscono. 


Un piccolo adone dodicenne in marmo candido ci ricorda cosa piaceva tanto ai nobili dei paesi nordici che girovagavano per il Bel paese durante il Grand Tour. Proprio come Elmgreen & Dragset, due aristocratici dell’arte giunti dalla Danimarca, che per il loro progetto espositivo si sono ispirati a Serial Classic, la mostra inaugurale della sede milanese della Fondazione Prada (9 maggio - 24 agosto 2015), curata da Salvatore Settis con Anna Anguissola e ideata da Rem Koolhas, dedicata alla scultura classica, agli originali perduti e alle loro copie multiple. 


I due artisti danesi contrappongono con grazia persone a dei, adoni ed eroi piumati.


STESO A FACCIA IN GIÙ QUALCUNO ATTENDE UN MASSAGGIO: UN CORPO QUALSIASI ATTENDE UN ALTRO CORPO CHE NON SI VEDE


What’s Left? (2021).


The Touch (2011).

Noto successivamente che la cameriera, di cui abbiamo accennato all’inizio, è incinta e il bambino davanti al camino è triste. Ci credo, non c’è alcuna interazione tra i corpi che occupano questa stanza. La loro umanità è spenta, svanita, dopo un meraviglioso cocktail di tecnologia e pandemia. Fantastico che dopo una mezz’oretta qui dentro siano gli esseri umani ad attirare la mia attenzione, quelli vivi, colorati, quelli che si muovono, fotografano, inciampano, vengono redarguiti, si chiedono cosa stiano guardando. Quelli vivi insomma. Elmgreen & Dragset ci raccontano di essere stati invitati a pensare una mostra per la Fondazione Prada nel 2017, nel 2019 concept e produzione dei lavori erano pronti, «poi il mondo è cambiato molto», ci dicono. 


«E il corpo», continuano, «durante la pandemia è davvero diventato inutile e pericoloso. Quasi un imbarazzo da “trascinare” in giro, senza dovergli prestare particolare attenzione, di fronte al computer che ci ha permesso di continuare a lavorare e a comunicare secondo modalità però poco affini al tipo di socialità che ben conosciamo». 


Il duo mette poi l’accento su come oggi sia l’architettura a dirigere il nostro modo di vivere e come la mostra sia stata strutturata in quel senso: creando uno spazio domestico, ma non a dimensione umana, nella galleria nord della Fondazione Prada; un ufficio abbandonato al secondo piano del podium e lo spogliatoio di una palestra nella cisterna. Nelle loro installazioni la socialità delle persone, intese come corpi fisici, è esclusa, l’ambiente domestico è più che altro uno show room mentre gli altri sono non-luoghi privi di attrattiva. Gli artisti ci dicono che si tratta di una provocazione e che si augurano che i visitatori, immersi in questi spazi, sentano poi il bisogno di reclamare corpi, interazioni, socialità, vita, contatto insomma. 


Salgo al secondo piano, il mega ufficio. Si chiama Garden of Eden. Disarmante. Non vi svelo troppo. Potrebbe essere un labirinto contemporaneo. L’ufficio senza “officianti”. Orrendamente uniforme, animato qua e là da effetti personali. La cosa più interessante, di nuovo, sono i visitatori che si muovono in mezzo allo spazio, che lo attraversano preoccupati soprattutto di “trattenere” tutto ciò che osservano. Mi chiedo se siamo ancora in grado di vedere una mostra senza utilizzare il telefono, senza immortalare dettagli, senza mostrarla appunto. L’erogatore d’acqua ci rimette in contatto con la realtà, lo possiamo usare o arrivano le guardie? 


Scendo nella galleria nord dove è presente, come detto sopra, l’installazione di una abitazione. Il corrimano che mi accoglie entrando, decorato da vene umane estruse, mi piace davvero molto. Il resto della casa futuristica molto meno: “design and more design”, un’opera di Lucio Fontana, la custode che ci dice dove andare e dove non andare. È tutto freddo. Del corpo rimangono le impressioni, un coccige diventa una statua, i volti coperti negli Amanti di Magritte un’altra. Le vetrine conservano algidamente tutto quanto, l’interazione è bandita, qui non c’è niente di deperibile. 


In un’area dell’abitazione c’è anche un “caminetto di design” direbbero a Milano, fiamme che bruciano senza legna, una simulazione impeccabile, e sul fondo della sala un’installazione stile Cattelan, un bel cadaverozzo che esce dal frigo, senza nessun odore ovviamente. 


Passando alla cisterna troviamo, oltre alla piscina, lo spogliatoio, uno qualsiasi, quello di una palestra “cheap”. Lo conosco bene. Si stagliano vivacemente accanto agli armadietti, ironiche e pungenti, le prime opere del duo, le Powerless Structures, tra cui troviamo Marriage, ovvero due lavabi congiunti da tubi arrotolati che non permettono lo scarico; poi troviamo due paia di jeans e mutande caduti per terra, tolti di corsa come se i loro padroni fossero scappati ad amoreggiare follemente. Steso a faccia in giù all’interno dello spogliatoio qualcuno attende un massaggio, su di un comodo lettino, con un cuscinetto dotato di apposito foro per appoggiare il viso. Il titolo dell’installazione è The Touch: un corpo qualsiasi attende un altro corpo che non si vede, un’interazione comunque a pagamento, il piacere comunque mediato. 


Sempre nella cisterna, in una stanza accanto, ci attende un equilibrista col bilanciere in mano, appeso al cavo da cui è appena caduto: guarda giù non troppo preoccupato. Non è un salto alto, una situazione mortale. What’s Left? si chiede, ci chiede, il titolo di questo lavoro. 


Un pubblicitario di lungo corso diceva che per vedere dove sta andando il mondo basta guardare dove va l’arte, non servono le ricerche di mercato. Credo che questa potrebbe essere una di quelle mostre eloquenti in questo senso. Nell’ultima stanza piena di rovine, che bisogna fare attenzione a non calpestare, la piscina è vuota, l’acqua manca già da un po’, l’aria forse anche. Il tappeto elastico è bloccato da un meteorite. Pare che il posto non sia stato abbandonato da molto tempo, ma, appunto, dove sta andando il mondo? 


Dopo tutta questa implacabile, lucida, metallica, tecnologica realtà, gli artisti ci dicono - bontà loro, direbbe mio padre - inventatevi la vostra storia. Questa è fatta per far venire voglia di uscire e vedere, toccare e stare con corpi veri. Così sia.


DOPO TUTTA QUESTA IMPLACABILE, LUCIDA, METALLICA, TECNOLOGICA REALTÀ, GLI ARTISTI CI DICONO: INVENTATEVI LA VOSTRA STORIA. QUESTA È FATTA PER FAR VENIRE VOGLIA DI USCIRE E VEDERE, TOCCARE E STARE CON CORPI VERI. COSÌ SIA


Untitled (2011).

Elmgreen & Dragset. Useless bodies?

Milano, Fondazione Prada
fino al 22 agosto 2022
orario 10-19, chiuso il martedì
catalogo Progetto Prada Arte
www.fondazioneprada.org

ART E DOSSIER N. 399
ART E DOSSIER N. 399
GIUGNO 2022
In questo numero: ARTE CONTEMPORANEA - Biennale Gherdëina; CAMERA CON VISTA - Ennio, l’orecchio del cinema; STORIE A STRISCE - L’adolescenza vista dal fumetto; BLOW UP - Brescia Photo Festival; ARCHITETTURA PER L’ARTE - L’autobiografia di un luogo; GRANDI MOSTRE. 1 - Elmgreen & Dragset a Milano. Essere umani? Quasi un imbarazzo; GRANDI MOSTRE. 2 - Daido Moriyama e Shomei Tomatsu a Roma. Sguardi randagi su Tokyo; STUDI E RISCOPERTE. 1 - Toyen. La tela come sismografo dell’onirico; PAGINA NERA - Le colonie in riviera, c’è chi aspetta e c’è chi spera; GRANDI MOSTRE. 3 - GaudÍ a Parigi. Un outsider di successo; GRANDI MOSTRE. 4 - Grubicy de Dragon a Livorno. Devoto alle avanguardie; STUDI E RISCOPERTE. 2 - L’iconografia di Ruggero e Angelica. L’eroina e il suo salvatore; OGGETTO MISTERIOSO - Il cielo in una stanza; GRANDI MOSTRE. 5 - Giuseppe Bezzuoli a Firenze - Un distillato di Ottocento; GRANDI MOSTRE. 6 - Donatello a Firenze. Il terremoto all’alba del Rinascimento; GRANDI MOSTRE. 7 - Le culture megalitiche della Sardegna a Napoli. Figure di pietra; IN TENDENZA - Con Morbelli vince la terza età.