PRESENZA FENICIO-PUNICA
E ROMANA

Fra sardi e fenici i legami sono antichi e molteplici. Sarebbero addirittura antichissimi se, fra i gruppi di invasori stranieri che attaccarono le coste palestinesi nel lungo travagliato periodo che seguì l’arrivo dei “popoli del mare” sul versante orientale del Mediterraneo (1200 a.C.), coloro che le fonti orientali tramandano come “Sherden” fossero sardi.

Ben più sicura della presenza dei nuragici in quell’area è la situazione opposta, e cioè la presenza dei fenici in Sardegna. Furono loro, grandi navigatori e grandi mercanti, fra i primi a riprendere vigore dopo la lunga crisi. Dai loro primi sbarchi sui villaggi costieri, soprattutto a sud e a ovest dell’isola, si passò man mano a insediamenti più grandi e stabili: Karalis, Olbia, Nora, Sulki, Tharros. In quei medesimi tempi, i fenici stessi fondano Cartagine (814 a.C.), e d’ora in poi si parlerà di civiltà fenicio-punica; nel 753 a.C., secondo la tradizione, sarà fondata Roma. Come si è già visto, una stele fenicia di Nora del IX secolo a.C. è il primo documento scritto in cui si parli di «SRDN», cioè di sardi o Sardegna.


Anfiteatro (fine II secolo d.C.); Cagliari.

Fra le popolazioni protagoniste vi furono rapporti mutevoli. I primi fenici arrivati nell’isola intrattennero buoni rapporti con i sardi, a cui in pratica portarono la civiltà urbana. Si può parlare di sardo-fenici, mentre invece i fenici di Cartagine, per meglio dire i punici, tennero nei loro confronti un comportamento decisamente ostile. La fortezza di monte Sirai, abitata alternativamente da sardi e da fenici, fu espugnata dai cartaginesi alla fine del VI secolo a.C.


In questo quadro tormentato, i punici mantenevano (per il momento) buoni rapporti con Roma, che anzi con un noto trattato del 509 a.C. riconobbe a Cartagine il possesso della Sardegna.


Non fu un possesso facile, anzi fino al 238 a.C., quando sarebbe stata la stessa Roma a conquistare l’isola, le ostilità furomo continue, interrotte solo quando l’Urbe divenne un nemico comune. Venne anche creato un “limes” che attraversava obliquamente l’isola stessa da nord-ovest a sud-est (cioè, i sardi occupavano il nord-est, i Punici il sud-ovest). Ciò non toglie che in qualche caso i rapporti fossero meno tesi: non solo scambi commerciali, ma anche circolazione di opere di alto artigianato come la collana fenicia in pasta vitrea da una tomba femminile (IV-III secolo a.C.) rinvenuta a Funtana Noa presso Olbia. La defunta era stata sepolta con un corredo di oggetti di pregio: la collana la aveva al collo, e la cosa aveva valore apotropaico, cioè di difesa dagli spiriti maligni. La collana, in pasta vitrea, era composta di perle decorate con motivi tipici del repertorio fenicio: una testa femminile con riccioli e quattro maschili particolarmente vivaci, molto colorate, con grandi occhi spalancati.

La conquista romana fu in certo senso frutto di antiche discordie: dopo la conclusione della prima guerra punica (241 a.C.), Cartagine si trovò a fronteggiare la rivolta dei mercenari da essa stessa ingaggiati, i quali chiamarono in aiuto proprio l’Urbe. Quasi un’operazione di “polizia internazionale”: l’esercito romano cacciò i grandi rivali dall’isola e ne rimase padrona, malgrado una rivolta capeggiata nel 215 dal cartaginese Annone e dal sardo Ampsicora. La tensione si protrasse a lungo, fin quando Augusto nel 27 a.C. non inserì l’isola (insieme con la vicina Corsica) nel suo globale riordino delle province. Un ordine non sempre facile da mantenere, per esempio a causa del brigantaggio, problema peraltro in parte compensato dall’abbondante produzione di frumento: la Sardegna è uno dei grandi “granai” dell’impero. Si mantengono in vita, con modifiche talvolta profonde, i centri fenici: mentre a Tharros resta nell’impianto urbano traccia dell’originario assetto a vie strette e tortuose, lo stesso non si può dire a Nora, dove peraltro certi edifici sono di complessa interpretazione. Notevoli i resti di alcuni grandi monumenti pubblici (foro, teatro, tempio, terme), ma anche privati, come la “domus dell’atrio tetrastilo”, che oltre all’atrio stesso, decorato con bei mosaici, presentava numerosi altri ambienti, alcuni dei quali affacciati sul mare. A Cagliari spiccano il foro, il teatro, nonché un tempio preceduto in facciata da una “cavea” in posizione assiale e, sopattutto, un anfiteatro, che, come pochi altri nel mondo romano (Sutri, Leptis Magna), è scavato nella roccia: la “cavea” per gli spettatori non è costruita su corridoi, archi, scale ma ottenuta “scolpendo” i gradini.


Se c’è un monumento che ben si adatta a rappresentare l’intero arco cronologico di quest’ultima, lunga fase della Sardegna antica, questo è il grande tempio costruito ad Antas, presso Iglesias (Sud Sardegna) intorno al 500 a.C., rifatto nel 300 e ancora in uso nel III secolo d.C. Anzi, si data all’età di Caracalla (213-217 d.C.) la nota iscrizione che (come già ricordato) informa che questo era, presumibilmente fin dalle origini, il “templum Dei Sardi Patris Babai”. Imponente nella sua struttura in colonne ioniche dal fusto liscio (quattro in facciata), deve però il suo aspetto attuale a un restauro piuttosto pesante della metà del Novecento.

ARTE NURAGICA
ARTE NURAGICA
Sergio Rinaldi Tufi
Uno dei misteri meglio custoditi dalla storia è quale fosse la funzione dei nuraghi, le tipiche costruzioni megalitiche che caratterizzano il paesaggio della Sardegna. Altrettanto misteriosa è l’origine della civiltà che prende il nome da quelle strutture. Sappiamo che si sviluppa nel cuore del Mediterraneo a partire dal III millennio a.C. – forse con radici micenee – e sussiste fino al II secolo d.C., quando la romanizzazione dell’isola è sostanzialmente compiuta, almeno nella maggior parte del territorio. Il dossier cerca di fare chiarezza su ciò che è accertato dalle ricerche archeologiche, e soprattutto delinea uno svolgimento e i caratteri salienti delle arti all’interno di quella cultura, fatta di architetture ma anche di sculture (celebri i Guerrieri di Mont’e Prama), metallurgia, ceramica, strutture funerarie.