Rispetto alla sua immagine canonica fissata nei vangeli ufficiali, la figura della Maddalena, transitando dai vangeli “non gnostici” e, a partire dal III secolo, nella letteratura dei Padri della Chiesa, ha assunto un ruolo sempre maggiore e si è arricchita di nuovi contenuti. A un certo punto la sua identità verrà addirittura a confondersi, ma paradossalmente anche ad arricchirsi, con quella di altre donne ricordate nelle Sacre scritture. Come Maria di Betania, sorella di Marta e forse di Lazzaro, che avrebbe unto Gesù ancora vivo prima della Passione, un gesto d’amore premonitore della sepoltura; o come una figura anonima, ma significativamente indicata come “peccatrice”, cioè una prostituta che avrebbe anch’essa unto Cristo in casa di “Simone il fariseo”. Episodio particolarmente toccante, destinato a una grande risonanza nelle arti che sembrano interpretare la commozione espressa nel Vangelo di Luca, quando si parla appunto di questa “peccatrice”, sottolineando come «venne con un vasetto di olio profumato; e fermatasi dietro si rannicchiò piangendo ai piedi di lui e cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e lo cospargeva di olio profumato». Poi Maddalena comparirà ancora, addirittura come apostola evangelizzatrice della Francia e infine verrà confusa con santa Maria Egiziaca, una giovane prostituta alessandrina convertita e vissuta da eremita per tutto il resto della sua vita. Quella che poi le arti rappresenteranno spesso come Maddalena penitente.
Era inevitabile che questa figura caleidoscopica esercitasse una enorme suggestione sull’immaginario occidentale e in particolare sulle arti.
La sfida della mostra di Forlì è quella di seguire, cercando un filo conduttore e rendendo conto delle diverse suggestioni, una fortuna figurativa di estensione secolare e dai tratti spesso complessi da decifrare. Forte delle duecento opere esposte (più molte altre documentate nel ricco catalogo), il percorso della mostra parte dalle suggestive testimonianze dell'arte paleocristiana, dove prevale l’immagine della santa testimone della morte e della resurrezione di Cristo, per arrivare alla pittura del Novecento dove emergono le inquietudini della peccatrice redenta, della donna più vicina nella sua fragilità umana ai tormenti di Gesù.
L’ immagine della Maddalena ai piedi della croce, davanti al sepolcro, di fronte al Cristo risorto (il “Noli me tangere”), come quella della “mirofora”, cioè colei che “porta il sacro unguento”, è transitata a partire dalla tarda antichità tra i portali, i capitelli e le vetrate delle chiese soprattutto in Francia e in Italia, mentre la pittura e poi la scultura - pensiamo a Donatello e a Desiderio da Settignano - hanno fatto rivestire alla Maddalena i panni della predicatrice e della penitente eremita, ricoperta dai suoi lunghissimi capelli. È prima con Giotto e poi con Masaccio, nella sconvolgente Crocifissione di Capodimonte, che assistiamo a un’umanizzazione della santa e del suo dolore, che poi troverà ampia eco nel Rinascimento, tra Giovanni Bellini, Botticelli, Filippino Lippi e quei potenti plasticatori, come Niccolò dell’Arca, Guido Mazzoni e Vincenzo Onofri, che nelle loro sacre rappresentazioni la interpretano come una donna disperata, fermandone i tratti fisiognomici e la gestualità in una sorta di dolore universale.
L’iconografia della “mirofora”, del “Noli me tangere”, della penitente transitano, in una sorta di esaltante gara espressiva tra campioni, nei capolavori dei protagonisti della pittura europea tra Cinque e Seicento: Tiziano, Savoldo, Correggio, Barocci, Pietro da Cortona, Caravaggio, Reni, Vouet, Lanfranco, Domenichino, Cagnacci, Furini, Dolci, Georges de la Tour, Ribera. Quando il tema sembra essersi esaurito, in un periodo che va dalla seconda metà del Seicento alla prima del secolo successivo, la Maddalena torna, prepotentemente protagonista e sempre più umana, a occupare gli orizzonti della sperimentazione tra neoclassicismo e romanticismo. Batoni, Mengs, Canova, Hayez, Delacroix, Scheffer, Delaroche ne fanno l’icona della inquieta femminilità moderna che verrà consegnata al simbolismo di Böcklin e di Redon. Mentre nella scandalosa Crocifissione (1941) di Guttuso la prostituta redenta diventerà - rappresentata nuda ai piedi della croce - il simbolo di una umanità disperata alle soglie di una delle più grandi tragedie della storia.