LA SCENA DELLE DONNE

Qualcuno ricorda - non è poi passato troppo tempo - quando ogni immagine di bella donna anche se appena discinta o solo un tantino scollacciata, diventava una cortigiana, o almeno una pin-up?

È toccato a quadri famosi come le Due dame di Carpaccio, in attesa dei mariti a caccia in laguna, o come la Venere di Urbino, chiamata da Tiziano e dalla corte roveresca ad ammaestrare una ritrosa moglie bambina, senza contare il seguito di innumerevoli sorelle dell’invadente dea dell’amore. Per non dire di eroine bibliche come Salome o Giuditta, o protagoniste di storie leggendarie e letterarie come Lucrezia, o ancora - particolarmente sfortunate - decine di Maddalene più o meno pentite. Del resto, se già le storie agiografiche provocavano insormontabili imbarazzi, figuriamoci poi cosa poteva accadere al cospetto dell’allegoria funzionale all’ideologia dominante del matrimonio. 


Beninteso, non è detto che nella pittura veneziana del Cinquecento ogni dipinto di bella donna sia un ritratto, anche quando tagliato secondo modalità, tipologia e impaginazione di ritratto: il riferimento mitologico, in particolare, impone un variabile quoziente di travestimento idealizzante. Per esempio, Flora non può essere troppo individualizzata, perché il ritratto deve lasciare spazio al modello. Si tratterà, naturalmente, di Flora moglie di Zefiro, sinonimo di concordia maritale e di fecondità naturale secondo la tradizione ovidiana (Fasti, V, 201-212): la riconosciamo, e la nominiamo, dall’offerta metaforica del mazzetto primaverile di fiori (roselline, margherite, violette, gelsomini, primule, ranuncoli e quant’altro). 


Vittore Carpaccio, Due dame, (1490 circa), particolare; Venezia, Museo Correr.

Ma le Flore della pittura veneziana hanno altre caratteristiche comuni: espongono un seno, porta dell’animo e del cuore, segnale di fecondità, offerta d’amore; e che un seno sia scoperto e l’altro coperto non significa antitesi tra voluttà e virtù ma compresenza di erotismo enunciato, offerto, vissuto ed erotismo moderato, sorvegliato, regolato(10). La dimensione in cui si realizza tale compresenza è quella del matrimonio, e le nostre Flore - e tutte le altre donne, anche senza mazzolino - sono promesse spose sulla soglia tra verginità e connubio: hanno sciolto sulle spalle nude i lunghi capelli, talvolta coperti o attraversati dal velo nuziale, hanno allentato, quasi dismesso il manto, e si presentano con l’immancabile camicia bianca, “intimo” d’uso corrente, ultimo fragilissimo baluardo che lo sposo sarà chiamato ad abbattere. Si presentano - sempre e soprattutto - dichiarando con la massima evidenza, e non solo con la parziale esibizione del corpo ma con i consolidati meccanismi di gesti e sguardi, tutta la variabile forza della propria sessualità. 
Bartolomeo Veneto rappresenta una Flora adolescente e quasi sbarazzina, dal seno coerentemente acerbo ma dallo sguardo sufficientemente assassino e dal gesto elegantemente intrigante; come non bastassero questi elementi, e i capelli sciolti e il velo, la giovinetta porta due gioielli importanti sulla fronte e sul petto, sede della ragione e sede del sentimento, e s’adorna il capo del mirto “coniugale” (fin da Plinio)(11). Le Flore di Tiziano e Palma - come era lecito attendersi - sono appunto più floride, mature, consapevoli. Quella di Tiziano denuncia una lieve preoccupazione sul viso stupendamente espressivo e una lievissima difficoltà a scoprire il seno; quella di Palma - che porta un velo tra i capelli e i lacci d’amore al polso sinistro - appare più tranquilla nell’offerta dello sguardo e del corpo.

Vittore Carpaccio, Caccia in laguna (1490 circa); Los Angeles, J. Paul Getty Museum.

Tutte e due portano all’anulare della mano destra, quella col mazzolino, l’anello della promessa, parzialmente celato, e dunque ancor meglio evidenziato, in mezzo alle foglie e ai fiori. Tutte e due fanno con la mano sinistra l’identico gesto, più in risalto in Tiziano sul sontuoso broccato di vermiglio e d’oro, un tantino attenuato in Palma dall’ingombro del panno verde: dirigono verso il ventre l’indice e il medio aperti a forbice. Si tratta di un tradizionale gesto retorico di indicazione - e l’indicazione del ventre alle soglie del matrimonio non richiede certo ulteriori delucidazioni. Ma farò ancora (e pur senza poterla dimostrare secondo metodi tradizionali) un’illazione di fondamento puramente semiotico: il gesto segnala la forbice, allude all’imminente taglio del cinto virginale. 


Salome e Giuditta, le due bibliche eroine caratterizzate dall’attributo cruento delle teste mozzate di Giovanni Battista e di Oloferne, sono spose mancate, che per motivi assai diversi hanno sacrificato la sessualità alla ragion di stato. Nel dipinto di Tiziano alla romana Galleria Doria Pamphilj, Salome è una fanciulla dolcissima e malinconica coinvolta in un gioco più grande di lei, perdutamente innamorata di Giovanni, secondo una tradizione medievale che annulla ogni scarto tra sacro e profano(12), e costretta ad accontentarsi di un estremo, obliquo, obnubilato sguardo alla testa sul vassoio. La presenza di Cupido sull’arco a segnalare l’atmosfera amorosa è del tutto pleonastica: basta lo sguardo di Salome, il ricciolo scomposto sulla tempia e quelli caduti sulla spalla, la bianca camicia scostata dal seno sotto l’abito vermiglio, e soprattutto i capelli di Giovanni piovuti sul braccio nudo di lei. Quanto a Giuditta, l’atletica ragazzona dipinta da Giovanni Cariani sembra ancora chiedersi se valesse davvero la pena di tante rinunce: l’evidenza di un seno e la trasparenza dell’altro dicono di voglie controllate a fatica, tanto che a riaffermare la sua castità devono intervenire l’enorme fiocco della fascia colorata attorno ai fianchi e l’ancella/nutrice, vecchia e brutta a scanso di complicità e a garanzia di vigilanza. Questi ritratti mascherati sono anche allegorie d’amore non corrisposto o non realizzato, rifiutato, perduto. Le belle possono anche mascherarsi da sante, naturalmente sfruttando il solito trucco del nome. La Caterina d’Alessandria dipinta da Lorenzo Lotto ritrae una delle molte Caterine reperibili nelle famiglie del suo giro bergamasco, svelata - nonostante la presenza di tutti gli attributi appropriati - dall’anellino tipico della sposa promessa e dalla caratterizzazione fisionomica di fanciulla fine, dolce e furbetta. Eppure fra le tante immagini similari, inevitabilmente assai caste, può darsi anche un caso di sconcertante erotismo sado-maso come quello della Sant’Agata del Cariani, una robusta ragazza d’aspetto popolano che non ha bisogno di spogliarsi per mostrare i seni, giacché, con il pretesto del martirio, può direttamente esibirli in un vassoio, ancora floridi e seducenti a dispetto di qualche (minima) traccia di ferita, addirittura palpandone uno con la mano destra mentre con l’altra sistema perfidamente nel bel mezzo il ramo della palma d’ordinanza. Quando manca il travestimento, non è possibile prescindere dal riferimento individuale, e dunque dal ritratto: che naturalmente potrà essere più o meno fisionomicamente caratterizzato, a seconda delle intenzioni del committente e delle qualità del pittore. Le belle donne di Giorgione e di Tiziano, del Palma e del Cariani, del Licinio e di Paris Bordon non sono utopiche bellezze ideali ma bellezze materiali, presenze assolutamente concrete; se ci sembrano talvolta sfuggenti ed elusive, è solo perché ci sfugge ed elude il loro originario contesto. Dal momento che ci troviamo di fronte a tante diverse e diversificate identità, saranno assai variabili anche le attitudini: tanto che molte belle donne rinunceranno in tutto o in parte ai più chiari segnali del loro stato - i segnali del corpo - senza peraltro rinunciare a quelli di ordine simbolico e di ordine cerimoniale, mentre altre faranno esattamente il contrario. Se cerchiamo un prototipo, dobbiamo retrocedere fino a Giorgione e alla celebre Laura, ancorata dall’iscrizione nel verso a una «instantia de misser Giacomo» in data 1506 che, se non basta a rintracciarne contesto e biografia, vale tuttavia a documentare a chiare lettere la committenza invariabilmente maschile di questi ritratti. Questa timida fanciulla non è di certo - come si voleva un tempo - la Laura del Petrarca, né una poetessa, e neanche è detto che si chiami Laura.


Vittore Carpaccio, Due dame e Caccia in laguna (1490 circa); L’immagine raffigura lo sportello ricomposto per la mostra Il Rinascimento a Venezia e la pittura del Nord ai tempi di Bellini, Dürer, Tiziano, tenutasi a Venezia, in palazzo Grassi, tra settembre 1999 e gennaio 2000.

Venere di Urbino (1534-1538); Firenze, Uffizi.


Bartolomeo Veneto, Flora (1515-1520); Francoforte, Städel Museum.

Il lauro che la circonda è un diffusissimo simbolo di castità intesa come controllo della sessualità nel matrimonio(13); e s’accompagna al velo nuziale e al seno non semplicemente nudo ma proprio in questo momento denudato e offerto dal cauto gesto della mano destra che scosta il manto foderato di pelliccia. Se questo è davvero un capo d’abbigliamento maschile, allora siamo dinanzi a un caso piuttosto strabiliante di totale incorporazione metaforica della giovane nelle aspettative di messer Giacomo, committente e sposo assai possessivo(14). Se poi dopo il nome Giacomo si legge nella scritta il cognome tronco «Ansé[lmo]», quello di un pellicciaio senza chiara biografia, allora vorrà dire che il nostro committente sfruttava il ritratto anche per fare pubblicità alla bottega. 

Palma ha dipinto un’intera galleria di queste donne sulla soglia, o già oltre. Nel Kunsthistorisches Museum di Vienna, la Donna in blu, abbigliata di tutto punto e perfettamente pettinata, mostra addirittura una lieve ritrosia nello sguardo, nella torsione del collo, nel gesto sorpreso e quasi difensivo della mano sinistra; ma riequilibra la situazione col fiorellino seminascosto nei capelli, col velo leggero sulle spalle, col gemino anello della promessa e con un attributo nuovo, l’elegante piumino, che è segnale di stato, di ricchezza e finezza, nonché simbolo di buona fortuna e purezza di spirito. Ancora a Vienna, la Donna in verde, coi capelli in parte raccolti e in parte sciolti, e la bianca camicia in evidenza sotto l’abito slacciato, alza con la mano sinistra - dove spicca all’anulare l’anello gemello - il coperchio di una scatola rotonda, in cui si intravedono nastri e fili. La splendida Dama del Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid - priva di anelli o altro ornamento, sguardo di straordinaria intensità nel richiamo amoroso, mano destra ai capelli sciolti, camicia bianca che copre ma evidenzia il seno particolarmente florido sotto gli abiti di straordinaria ricchezza sartoriale (oltre che coloristica), segnale d’alto censo confermato dall’ambientazione di palazzo (ormai quasi illeggibile) - tiene a sua volta nella mano sinistra una scatola piena di nastri multicolori da cui esce, scendendo sul parapetto, una sottile catenina d’oro, o forse - che fa lo stesso - ancora un nastro, dorato e tessuto in forma di catena. La scatola da cucito è un segnale di particolare importanza: di varia foggia e di vario pregio, è il dono tradizionalmente consegnato dal compare d’anello proprio la mattina delle nozze. Strumento indispensabile delle tradizionali attività femminili, indica il rispetto dei costumi famigliari e il buongoverno della casa. 


Jacopo Palma, Flora (1520 circa); Londra, National Gallery. «Era primavera, io vagavo; mi vede Zefiro, tento di sfuggirgli; / m’insegue, io fuggo, ma lui fu più forte. / … / Rimedia però alla violenza, dandomi nome di sposa; / nel mio letto non c’è mai alcun lamento. / … / Ho un fertile giardino nei campi avuti in dote, / l’aura l’accarezza e lo bagna una limpida fonte. / Il mio sposo lo riempì di una generosa fioritura, / dicendo: – Ora sei dea, e signora dei fiori – / Avrei voluto più volte contarne i colori, / ma non riuscìi: l’abbondanza era più grande dei numeri.» (Ovidio, Fasti, V, 201-214).

Flora (1515-1517); Firenze, Uffizi.


Salome (1513-1514); Roma, Galleria Doria Pamphilj.

Giovanni Cariani, Giuditta (1518-1520); Palermo, palazzo Butera, collezione Valsecchi. Nel cupo notturno che un’alba infocata comincia a rischiarare, Giuditta medita sulle tante difficoltà e i tanti significati dell’impresa ormai compiuta. Si è vestita bene e si è recata di notte alla tenda di Oloferne, il generale assiro che assediava Betulia, la sua città; ha finto di lasciarsi sedurre, lo ha fatto bere, e quando è crollato nel sonno lo ha decapitato. Il rischio è stato enorme, come spiegano il seno scoperto e la camicia a malapena sorretta sulla spalla da un fragile fiocchetto.

In un dipinto giovanile di Paris Bordon a Milano, a Brera, un uomo e una donna s’abbracciano, per la verità assai castamente, in presenza d’un altro personaggio maschile(15). I due sono evidentemente sposi promessi. Portano lo stesso anello gemino: lei lo sfoggia all’anulare della mano sinistra, lui al medio della mano destra che s’affaccia sopra la spalla di lei. E lei ha la vita stretta da una cintura metallica lavorata ad anelli (la catena d’amore: meglio, il vincolo dell’impegno ufficiale d’amore) e a bossoli (la solidità del nodo coniugale), attorno ai quali teneramente si sfiorano le sinistre di lui e di lei. Questo particolare genere di cintura/catena - che spesso termina col pendant d’un altro gioiello, o di un ventaglio, o di una martora o zibellino(16) - si chiama “paternostro” ed è uno dei più diffusi e tradizionali doni di fidanzamento, di valore simbolico analogo a quello di altri preziosi legacci. Quanto al terzo, non è un voyeur né un reggimoccolo né un rivale, ma un amico affezionato, e la sua presenza è obbligata, fondamentale, discreta. È colui che nel cerimoniale ha, tra le altre, l’incombenza di dispensare i doni. È il compare d’anello. 


Per la Donna allo specchio di Tiziano al Louvre(17), il soggetto imponeva di necessità il confronto con la figura di colei che specchio e toletta hanno fissato in tipologie secolari, nientemeno che Venere, la dea d’amore; e, visto che una volta tanto c’è anche un uomo, il rimando complementare al dio Marte suo amante. Ma, in assenza di un travestimento riconoscibile sulla scorta dei modelli consolidati, il livello mitologico è completamente saltato; come pure, in assenza di segnali specifici, è saltato il frequente livello allegorico nella chiave moraleggiante di effimera bellezza, di fragilità e vanità. Ne è risultata un’opera straordinariamente aperta (e per questo ripresa in una cospicua serie di repliche e varianti), che punta direttamente su alcuni elementi di inedita concretezza: i capelli - che vengano proprio ora raccolti in treccia, o viceversa proprio ora sciolti per una più intensa seduzione, o magari schiariti dal rosso al biondo di moda con la lozione contenuta nel vasetto; le “belle mani” di tradizione petrarchesca - l’una che stringe le chiome regalando una sensazione d’abbondanza e morbidezza, l’altra che evidenzia l’ampolla quasi accarezzandola; gli sguardi - quello di lei, espressamente indicato con la stessa mano che racchiude i capelli, incantato dallo specchio, e quello di lui, schiavo d’amore letteralmente perduto con le sottili fessure di occhi semi-invisibili negli occhi spalancati di lei, e naturalmente prigioniero dei suoi lunghi capelli, che siano le meravigliose catene di una treccia o le avvolgenti maree di libere onde.


Giorgione, Ritratto di giovane sposa (Laura) (1506); Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie. L’iscrizione nel verso – non autografa ma sicuramente cinquecentesca – recita così: «1506 a dì primo zugno fo fatto questo de man de maistro zorzi da chastel fr[anco] cholega de maistro vizenzo chaena ad instanzia de misser giacomo ansé[lmo] stazi[oner]». L’ultima parola solo in parte leggibile significa bottegaio, negoziante; la famiglia Anselmi commerciava da generazioni in pellicce. Di Zorzi, che s’appoggia da “collega” alla bottega di Vincenzo Catena – il più autorevole e gettonato dei pittori di ascendenza belliniana –, una volta o l’altra si dovrà riparlare.

Lorenzo Lotto, Santa Caterina d’Alessandria (1522); Washington, National Gallery of Art.


Giovanni Cariani, Sant'Agata (1515-1520); Edimburgo, National Gallery of Scotland.


Jacopo Palma, Ritratto di giovane donna (1518-1520); Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza.

Fermo restando che, ancorché possa sembrare vestita, la giovane donna è in realtà almeno un tantino discinta, con le spalle e un braccio nudo, con troppa camicia in bella vista; e che la sua mano sinistra, mentre si posa sul vasetto, esibisce (stavolta al mignolo) il consueto anellino di promessa sposa. Anche in questo caso l’immagine prende senso nella sola dimensione socialmente e figurativamente possibile, il matrimonio, come spiegano l’abbigliamento e l’ornamento; e nel solo luogo socialmente e figurativamente possibile, la casa, come spiega, dal grande specchio, il luminoso riflesso della finestra. Mentre il solo pubblico socialmente e figurativamente possibile, lo sposo, che di norma dobbiamo pensare davanti al quadro, per una volta ha deciso di starci dentro. 


Nel frattempo, è passato Amor sacro e profano, il celebre dipinto di Tiziano, e uno dei più dibattuti, corredato di un titolo deviante quanto storicamente ineliminabile, che dunque siamo costretti a tenerci. A qualsiasi interpretazione (o magari attraversamento di diverse interpretazioni) si voglia aderire, resta che il dipinto mostra il contrasto e la conciliazione delle due figure femminili, con Amore in persona a temperare i contrasti e a mediare le conciliazioni; e resta che si tratta di un quadro di matrimonio, su uno sfondo storico-politico da tempo ben documentato(18). Per quel che ora ci interessa, appare chiaro - e tanto più dopo il nostro percorso attraverso le immagini - che la donna ha tutti gli attributi della sposa, e d’alto rango: i capelli sciolti sulle spalle, la coroncina di mirto sul capo, il mazzetto di roselline nella mano destra, il vaso o cesto metallico munito di coperchio posto tra il corpo e la mano sinistra che indica la rosa sulla fontana, le vesti bianche e vermiglie, la cintura chiusa dalla fibbia, i morbidi guanti - una novità: segno di raffinata eleganza e di attenta custodia delle belle mani(19)


L’allegoria - le due Veneri, mondana e celeste, dei neoplatonici, o magari Flora e Venere, o un’altra coppia preferita - non esaurisce il significato. Il principio di realtà sollecita un passaggio intermedio che meglio risponda ai dettagli figurativi (per intenderci: una dea, quale che sia, non porta guanti). Questo passaggio intermedio è garantito dalle tante immagini delle belle veneziane, promesse spose e spose novelle, vestite e svestite, impegnate ad affermare e a connotare la propria castità e al tempo stesso a esibire e vantare il corpo. Nel capolavoro di Tiziano - dove non c’è né amor sacro né amor profano, ma la realtà e l’ideologia dell’amore matrimoniale - le due donne sono tanto somiglianti non solo perché rispondenti sul piano della personificazione allegorica a due divinità variamente gemelle ma perché rispondenti sul piano della realtà trasfigurata ai due aspetti invariabilmente gemelli nella donna perfetta: vestita, e ampiamente connotata da simboli e attributi, come sposa nella dimensione pubblica, ufficiale, sociale, e dunque casta, moderata, elegante; svestita, e connotata soltanto dal corpo e dalla fiamma d’amore, come sposa nella privata dimensione coniugale, e dunque sensuale, disponibile, ardente. Davanti alla vestita - davanti alla “sposa”, che ci guarda con intenzione - ci siamo anche noi, chiamati a testimoni del suo ruolo novello. Davanti alla nuda che non ci guarda, davanti alla “moglie”, c’è solo il marito. 


Jacopo Palma, Ritratto di giovane donna in blu (1515-1517); Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie. Poco più che adolescente, vestita di colori non tanto a contrasto quanto piuttosto in disaccordo, con fiorellino, anelli e fiocchi al posto giusto, le chiome acconciate in maniera fin troppo elaborata e perfetta: eppure il viso si discosta, gli occhi guardano senza allegria, di sbieco e di malavoglia, mentre le dita non smettono di muoversi nervosamente. Per quel che può, sta preparando la sua parte, ma ancora non sa bene come interpretarla.


Jacopo Palma, Ritratto di giovane donna in verde (1515-1517); Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie. A differenza della ragazza in blu, quella in verde, un po’ più matura, è già pienamente calata nel ruolo domestico, con l’abito aperto a mostrare la camicia, i capelli in parte ordinati e in parte sciolti astutamente sulle belle spalle, gli immancabili anellini e finanche il rassicurante cestello da cucito. Non è più allegra dell’altra, ma solo più quieta, forse con una punta di rassegnazione.

Paris Bordon, Gli sposi e il compare d’anello (1525 circa); Milano, Pinacoteca di Brera.


Donna allo specchio (1515 circa); Parigi, Musée du Louvre.

Amor sacro e amor profano (1514-1515); Roma, Galleria Borghese.

10 S. Ferino-Pagden, Titian’s Paintings of Women: The Power of Beauty, in Titian’s Vision of Women. Beauty - Love - Poetry, cit., pp. 14-29, e “Le Belle Veneziane”: Poeticized Brides?, ivi, pp. 140-173. Gli studi più aggiornati su questi temi sono quelli prodotti negli anni da Enrico Maria Dal Pozzolo, poi raccolti in Colori d’amore. Parole, gesti e carezze nella pittura veneziana del Cinquecento, Treviso 2008; vedi ora The Eloquence of Hair in Titian, in Titian’s Vision of Women. Beauty - Love - Poetry, cit., pp. 92-109, e Open Your Heart, ivi, pp. 124-131.
11 Plinio, Storia naturale, XV, 122 (37), a cura di G. B. Conte et al., V voll. in 6 t., Torino 1982-1988: III/1, 1984, pp. 354-355; M. Levi D’Ancona, The Garden of the Renaissance. Botanical Symbolism in Italian Painting, Firenze 1977, p. 238, n. 108/1, 3; E. Panofsky, op. cit., p. 140. 
12 E. Panofsky, op. cit., pp. 44-49. 
13 M. Levi D’Ancona, op. cit., p. 202, n. 86/5. Un ampio corredo di referenze in E. Dal Pozzolo, Colori d’amore, cit., pp. 36-41; vedi anche Open Your Heart, cit., pp. 128-129. 
14 E. Dal Pozzolo, Colori d’amore, cit., p. 50; Open Your Heart, cit., p. 125. 
15 H. Economopoulos, Considerazioni su ruoli dimenticati: gli “Amanti” di Paris Bordon e la figura del compare dell’anello, in “Venezia Cinquecento”, II/3, 1992, pp. 99-123, con fonti e bibliografia. 
16 Questi animali sono assai frequenti nella ritrattistica femminile e il loro simbolismo riguarda l’esorcizzazione dei pericoli del parto: A. Gentili, Lorenzo Lotto e il ritratto cittadino: Leonino e Lucina Brembate, in Il ritratto e la memoria. Materiali 1, a cura di A. Gentili, Roma 1989, pp. 155-181, in particolare 174-177. 
17 R. Goffen, op. cit., pp. 66-71; E. Dal Pozzolo, Colori d’amore, cit., pp. 87-111, e The Eloquence of Hair, cit., pp. 92-109. 
18 R. Goffen, op. cit., pp. 33-44; Tiziano. Amor Sacro e Amor Profano, catalogo della mostra (Roma, Palazzo delle esposizioni, 22 marzo-22 maggio 1995), a cura di M. G. Bernardini, Milano 1995. 
19 E. Dal Pozzolo, Colori d’amore, cit., pp. 135-147.

TIZIANO. LE DONNE
TIZIANO. LE DONNE
Augusto Gentili
Nella pittura veneta del Cinquecento l’immagine femminile è particolarmente presente, e con caratteri che la differenziano dal resto della produzione artistica europea del tempo.   Il nostro dossier indaga – oltre al contesto sociale della città – le implicazioni simboliche connessa alla figura femminilenella pittura di Tiziano, soprattutto – capace di interpretare una sorta di nuovo canone di bellezza –, ma anche in Giorgione e negli altri protagonisti della cultura del periodo. L’indagine è sulla rappresentazione del femminile come indizio di una mentalità, nel secoloin cui le prime artiste iniziano ad affacciarsi sulla scena pubblica con qualche successo.