MADDALENA, SUSANNA
E UNA SPOSA BAMBINA

Maddalena innamorata vaga in cerca dell’amato, di Cristo risorto che le apparirà tra un momento - avvolto nel lenzuolo della sepoltura e munito della zappa da ortolano - e la consolerà con buone parole, ma, contrariamente al desiderio di lei, non si lascerà toccare. 

I

testi in volgare diffusi a inizio secolo la descrivono completamente fuori di testa: «era facta fuora de sé medesima, era facta insensibile, sentendo non sentiva, vedendo non vedeva, oldendo non oldiva, né etiam era ivi dove era, ma tutta era in quello loco dove era lo suo maestro, el quale nondimeno non sapeva dove fusse»(20). Come stupirci che Maddalena - la sola “cortigiana” ammessa nella pittura veneziana perché abbondantemente redenta - compaia nel Noli me tangere di Tiziano col vaso di unguenti molto simile al cesto nuziale di Amor sacro e profano, e abbia i capelli sciolti, la bianca camicia e la veste vermiglia, il velo, l’anello della promessa sposa? 


Il clamoroso successo della nuova tipologia della Maddalena nel deserto inventata da Tiziano dopo la metà del secolo - con pochi originali, diverse repliche in tutto o in parte di bottega, e poi una serie infinita di variabili copie - dipende senza dubbio dal richiamo del potenziale erotico tuttora sfoggiato dalla nuova eremita; ma per qualche spirito superiore, in tempi di religione disciplinata e costretta, fu in realtà il successo del richiamo alla meditazione individuale, con la prospettiva di una “via larga” al perdono e alla salvezza. Bene allora il libro (di lusso: ben rilegato, coi nastri colorati e il taglio dorato), e bene il lucido teschio, come pensieri rimossi dell’effimero; ma poi tutta l’attenzione alle lunghe chiome ramate, alla bocca socchiusa, alle roselline dei seni sotto i capelli e sotto la camicia, alle rotazioni del vivace scialle giudaico a righe multicolori: giacché tanta immutata e immutabile bellezza fa più forte la dichiarazione d’umano amore e più meritoria la conversione ad amor divino. Ecco allora gli occhi velati e arrossati, ecco le «lagrime caldissime»(21) dell’emozione per la misericordia e la grazia; ecco la caraffa di cristallo quasi piena d’acqua limpida, e tutta trasparenze e riflessi, segnale (oggettivamente eccentrico, e oggi come allora incomprensibile a molti) del riscatto dell’anima e del corpo nella suprema castità dell’unione spirituale. Lo strumento dell’unione non è più la penitenza, che è finita da un bel pezzo; ma la contemplazione, che già colma d’estasi lo sguardo fisso in alto al cielo aperto(22). La vediamo nella versione dell’Ermitage di San Pietroburgo, che è l’assoluto dell’espressione, e Tiziano non la “finisce”, non la vende, la tiene per sé.


Noli me tangere (1512-1513); Londra, National Gallery.

A fronte dell’esasperata espressività di questa e altre Maddalene, la Susanna di Tintoretto, serenamente concentrata a interrogare lo specchio, sembrerebbe qualificarsi soltanto per il corpo perfetto, morbido e rilassato. In realtà la situazione è complicata, anche se la donna, nuda e sola per il bagno all’aperto, non ne sembra consapevole: due attempati guardoni, da lei non visti (o in apparenza ignorati), la stanno spiando con intenzioni facilmente immaginabili. A vederli bene è però lo spettatore: i due “vecchioni” sono distanti uno dall’altro, mentre di solito fanno coppia raddoppiando la pressione sulla donna. Il fatto che stiano uno in basso e l’altro nel fondo li rende tuttavia più ridicoli che minacciosi: la posizione strisciante del primo è in realtà alquanto goffa, nonostante il punto di vista strategico, mentre quello più defilato appare timoroso, incerto se unirsi o meno all’ignobile azione; non fanno certo una bella figura, per quanto si astengano da espressioni o gesti scomposti. La scelta compositiva della distanza basta a renderli non proprio inoffensivi (perché sappiamo che sono lì per offendere), ma lo spettatore non avverte l’imminente pericolo. 

Del resto, neppure Susanna lo avverte. La sovversiva ambiguità del momento è contraddetta dal richiamo ai valori ufficiali della cultura e della religione, ovvero a istanze di controllo e regolamentazione che l’immagine realizza con l’imprescindibile appello al linguaggio, ossia con un’allegoria matrimoniale creata attraverso elementi tradizionali. Sull’erba dinanzi alla donna c’è un corredo di vestiario e di toletta di gran pregio: il bruciaprofumi, lo scriminale, il pettine, il panno di un bianco mai visto prima, la collana di perle slacciata, il corsetto sgargiante, e ancora, indosso a lei, l’elaborata acconciatura della bella chioma, le perle dei bracciali e dell’orecchino; infine il segnale più importante, i due anelli nuziali al centro, quello di lei col diamante e quello liscio del marito, che bisogna cercare molto attentamente per poterli scorgere tra gli altri oggetti. Susanna, come nella storia biblica, vive negli agi di una dama d’alta casta, e soprattutto è una donna sposata. 


Maddalena nel deserto (1560-1565); San Pietroburgo, Ermitage.

Non bastasse tutto questo, ci sono nella periferia dell’immagine altri simboli tradizionali di fedeltà matrimoniale: la coppia di cervi in fondo a sinistra, la famigliola acquatica al centro, e soprattutto, proprio sopra la testa della donna, la gazza sull’albero, celebrata nelle fonti perché difende il nido a tutti i costi, usando il suo verso acutissimo per scacciare ogni insidia. Chi ha voluto questo dipinto? Di certo il marito (c’è anche il suo anello), e chi altri poteva chiedere questa figura di donna senza veli insieme a questi dettagli simbolici attentamente selezionati? L’immagine si offre alla contemplazione compiaciuta e al possessivo ammonimento di un uomo che la vuole ardente Venere per sé e casta Susanna per chiunque altro. È ancora una volta un’immagine celebrativa dell’amore matrimoniale, ma non rinuncia a esibire il suo clamoroso erotismo. Allora, se ci piace, possiamo accettare la sfida della commedia tintorettiana a rispettare e governare l’ambiguità. I vecchi non sono sporcaccioni qualsiasi ma due anziani giudici: la donna non rischia forse di cedere al ricatto e alla violenza dell’autorità? Esposta agli sguardi incrociati degli spioni, Susanna, soggetto di legittima seduzione ma anche oggetto di illegittimo desiderio, appare sospesa come un’eroina al bivio fra tentazione e rimozione, forse dubbiosa, di certo riflessiva: cosa farà tra un momento? Sarà lo specchio a dirle la verità; a “riflettere” con lei e per lei, a svelare la sua identità morale. Quanto allo spettatore, dovrà essere in grado di comprendere i segnali positivi del tessuto simbolico per sentirsi finalmente rassicurato e riconoscere in lei prudenza e controllo.


Jacopo Tintoretto, Susanna e i vecchi (1555 circa); Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie.

Qualora s’avverta il bisogno di riaffermare che Tiziano è uno straordinario ritrattista di ragazzi e bambini (argomento, peraltro, scontato quanto irrilevante), sarà bene rivolgere l’attenzione a un capolavoro, il Ritratto di Clarice Strozzi dei Musei di Berlino. Clarice è una bimba di due anni alla data del dipinto, 1542 (ambedue i dati sono riportati nell’epigrafe all’antica sulla parete a sinistra); è figlia di Ruberto Strozzi, ricco banchiere fiorentino e acerrimo avversario dei Medici, personaggio quantomeno inquieto visto che, dopo essere stato esiliato da Firenze nel 1536 con tutta la famiglia e aver trovato stanza in Venezia, si fece cacciare anche di qui nell’ottobre del 1542 per spionaggio in favore dello schieramento franco-turco. 

Di tutto questo ignara, Clarice dai riccioli belli rivolge lo sguardo sereno in diagonale, accompagnato nella stessa direzione da quello del pelosissimo cagnetto, verso qualcuno fuori del dipinto. È fin d’ora pensata e vestita di bianco taffetà come una sposa: oltre al bracciale di perle, e alla collana pure di perle con pendente d’oro e rubino e smeraldo, ha la vita stretta da una stupefacente cintura-gioiello, realizzata da un orefice che ha avuto la rara fortuna di incrociare un pittore in grado e in voglia di riprodurre con paziente finezza questo sottile nastro d’oro costellato di infiniti motivi a grappolo di perle, rubini e smeraldi alternati, fino al ciondolo portaprofumi d’oro e smalto in forma di cestello. Non bastasse, e non bastasse il canuccio di compagnia ma anche di fedeltà, c’è ancora la coppia di Amori in rilievo sulla base del tavolino e la corrispondente coppia di cigni nel laghetto tra gli alberi. 

Offerta con larghissimo anticipo alla solita vita prestabilita e costretta della donna nobile d’antico regime, la fanciullina è riscattata a naturale fanciullezza dall’affettuoso colpo di genio della ciambella - un vero “bussolà” veneziano/buranello - già sbocconcellata con la collaborazione del cagnolino.


Ritratto di Clarice Strozzi (1542); Berlino, Staatliche Museen, Gemäldegalerie. Clarice, primogenita di Ruberto Strozzi e Maddalena de’ Medici, è precocemente abbigliata da sposa (all’età di due anni!) con gran sfoggio di grazia e di gioielli. Il padre – cugino di Caterina de’ Medici, futura regina di Francia – evidentemente sperava per lei un marito d’alto rango e un futuro privilegiato alla corte francese, ma non se ne fece nulla. Clarice andò in sposa nel 1557 al nobile romano Cristofano Savelli, portando in dote un vero e proprio tesoro di 15.000 scudi in denaro e preziosi.

20 Expositione de la omelia de Origene sopra lo evangelio de la quinta feria de pasca, Venezia 1501, s.n.p.
21 Pietro Aretino, L’Umanità di Cristo, Venezia 1551, c. 40r.
22 A. Gentili, Tiziano, Milano 2012, pp. 342-351. 

TIZIANO. LE DONNE
TIZIANO. LE DONNE
Augusto Gentili
Nella pittura veneta del Cinquecento l’immagine femminile è particolarmente presente, e con caratteri che la differenziano dal resto della produzione artistica europea del tempo.   Il nostro dossier indaga – oltre al contesto sociale della città – le implicazioni simboliche connessa alla figura femminilenella pittura di Tiziano, soprattutto – capace di interpretare una sorta di nuovo canone di bellezza –, ma anche in Giorgione e negli altri protagonisti della cultura del periodo. L’indagine è sulla rappresentazione del femminile come indizio di una mentalità, nel secoloin cui le prime artiste iniziano ad affacciarsi sulla scena pubblica con qualche successo.