Camera con vista

IL BUCO NERO
DELLA VISIONE

di Luca Antoccia

La sua installazione Alberi è stata esposta al MoMa di New York nel 2013, il recente lungometraggio Il buco ha vinto il Premio speciale della giuria a Venezia 2021: Michelangelo Frammartino, con soli tre veri e propri lungometraggi all’attivo, gode di fama internazionale senza tuttavia essere granché conosciuto dal pubblico dei non addetti ai lavori.

Gli inizi del giovane cineasta calabrese che nasce architetto sono nel segno dell’attrazione della videoarte: i corti di Bruce Nauman, il lavoro di Studio azzurro, che frequenta in particolare nella persona di Paolo Rosa, verso cui più volte si dice debitore, infine la folgorazione per un video del duo svizzero Fischli e Weiss, The Way Things Go. Nasce da qui l’idea del corto Io non posso entrare, quella poetica dell’impersonale e quella centralità del non umano che lo porterà al capolavoro Le quattro volte. Ancora un cane – come nel corto Io non posso entrare – ma che nelle Quattro volte si contende con delle capre, con il fuoco, con la terra lo statuto di protagonista del film che ruota attorno alle carbonaie, igloo di fascine che ricordano, per esplicita ammissione del regista, i celebri Igloo di Mario Merz. Il suo cinema tende a una strana impersonalità («Mettere in discussione l’uomo non può avvenire senza mettere in discussione la regia») e i registi che Frammartino cita sono Antonioni, Tarkovskij e Bresson (per Il buco anche il Vittorio De Seta dei cortometraggi). Il buco narra l’esplorazione dell’abisso del Bifurto nel 1961: quasi settecento metri di discesa sotto terra, rivissuta per il film da un gruppo di speleologi e cineoperatori. Mentre i pochi adulti del paese sono rapiti davanti al televisore dell’unico bar in cui un programma magnifica il grattacielo Pirelli di Milano, una scena straordinaria avviene alle loro spalle: i bambini che corrono padroni del paese e ne illuminano porzioni in campo lungo come lucciole, con il getto di luce dei caschi prestati dagli speleologi. In tv seguiamo un ascensore salire fino ai centoventisette metri della cima, contraltare speculare e ironico della discesa negli abissi descritta dal film. Il vecchio pastore, uno dei personaggi chiave del film, chiude la sua parabola in evidente sincronia con la fine della discesa agli inferi. Egli rappresenta un richiamo, sempre necessariamente e dolorosamente presente in Frammartino, a un mondo arcaico e saggio, pressoché smarrito, cui pure Alberi prestava, con umiltà e fierezza, ascolto e sguardo.

ART E DOSSIER N. 395
ART E DOSSIER N. 395
FEBBRAIO 2022
In questo numero: INCROCI AL CINEMA: Beuys e Richter; Un museo per Fellini. PITTURE PALEOLITICHE: La grotta degli spiriti. IN MOSTRA: A Milano: Steinberg; Gnoli; Divisionismo. Haring a Pisa, Ghirri a Polignano a mare. DILEMMI RIPRODUTTIVI: Copia: umana o fotografica?Direttore: Claudio Pescio