Pagina nera

GLI EDIFICI DEI PRIMATI?
MOLTI SONO ABBANDONATI

Fabio Isman

Torino: il Palazzo del lavoro di Pierluigi Nervi e Gio Ponti, inaugurato nel 1961 per il centenario dell’Unità d’Italia, inattivo dal 2008, è in rovina. Roma: il Palazzetto dello sport di Annibale Vitellozzi e Pierluigi Nervi, costruito per ospitare i Giochi olimpici del 1960, è inagibile dal 2018; la Vela di Santiago Calatrava, che avrebbe dovuto accogliere i Mondiali di nuoto del 2009, è rimasta incompiuta. Solo alcuni casi di mala gestione? No, purtroppo.

La penisola è purtroppo zeppa di edifici vuoti, dimenticati, abbandonati. In parte, fabbriche e stabilimenti divenuti troppo presto archeologia industriale, magari pure per l’aggravante del Covid-19; ma talora anche veri capolavori d’architettura, rimasti privi di una funzione. Giusto per capire, limitiamoci a pochi casi: tutti, però, quanto mai emblematici. E guardiamo a Torino e a Roma, la prima e l’ultima tra le capitali del paese.

Nel capoluogo piemontese, il centenario dell’insediamento, “Italia ’61”, me lo ricordo bene. Portavo i pantaloni corti: il binario sopraelevato della monorotaia (ora, si progetta di farla diventare una passerella pedonale) mi provocò un grande stupore; e gli edifici costruiti per l’occasione, non piccole emozioni. Il Palazzo delle mostre, o Palavela, dopo anni di abbandono e una ristrutturazione (anche criticata) di Gae Aulenti, è tornato a ospitare degli eventi. Ma un altro immobile, di Pierluigi Nervi e Gio Ponti, dedicato al lavoro, è invece in pieno disarmo. Sono venticinquemila metri quadrati, cento metri per lato, pregevoli perfino nelle innovazioni: con i pilastri prefabbricati a fungo, che sostengono la copertura del salone alto venticinque metri. Ha ospitato anche fiere, mostre, uffici, una facoltà universitaria. Ma soltanto fino al 2008. Dopo, per poco tempo, una discoteca; quindi, per quasi quindici anni, si è fatto rifugio per i senzatetto, preda dei vandali, è andato più volte a fuoco. Oggi è fatiscente. L’ultima idea è di trasformarlo in un deposito visitabile delle opere d’arte conservate nei magazzini dei musei; ma più che altro, sembra solo un’idea, e nemmeno delle migliori: basti pensare ai continui trasferimenti di quadri, o di statue, che sarebbero necessari. E gli spostamenti, per l’arte, non costituiscono certo la miglior panacea.

Ma, per parafrasare, se Torino piange, Roma non ride. Nei medesimi tempi di Italia ’61, per le Olimpiadi dell’anno prima, il suo rinnovamento urbanistico fu ingente: non ce n’erano più stati dopo l’Eur, ideato per un’esposizione del 1942 presto annullata e lavori conclusi soltanto nel dopoguerra. Per i Giochi di Livio Berruti e dello scalzo Abebe Bikila (200 metri e maratona), di Raimondo D’Inzeo e Sante Gaiardoni (ippica e ciclismo) sorsero, tra gli altri nuovi edifici, due vere “perle” dell’architettura: lo stadio Flaminio e il Palazzetto dello sport. Sessant’anni dopo, sono ridotti a essere delle larve. Peggio è andata al Velodromo all’Eur, firmato anche da Cesare Ligini: un anello capace di diciassettemilaseicentosessanta spettatori seduti, però inutilizzato dal 1968, che nel 2008 è stato fatto brillare con la dinamite. Lo stadio sostituiva invece quello Nazionale del 1911, l’antenato dell’attuale Olimpico, opera di Marcello Piacentini. Pensato dai due Nervi, Antonio e il padre Pierluigi, ha ospitato le Olimpiadi calcistiche. Seguite dal rugby (anche partite del prestigioso torneo delle Sei Nazioni), da un po’ di calcio di serie minori, e da grandi concerti. Oggi, tuttavia, questo gioiello dalla tribuna singolarmente continua ha ormai compiuto un decennio di inattività. Erbacce e vetri rotti; abbondanti tracce di scempi e devastazioni. Perfino la Getty Foundation di Los Angeles si è mossa per il suo recupero: ha stanziato centosessantunomila dollari, quasi centoquarantamila euro, perché decollino le procedure per il recupero; ma il problema è come trovargli una destinazione d’uso, e quale.


Costi e stanziamenti per terminare la vela di calatrava sono lievitati all’inverosimile. ormai si discute addirittura se abbattere questo vergognoso abbozzo

A poca distanza, un altro scellerato delitto della pubblica incuria: il Palazzetto dello sport è vicino a quello che fu il Villaggio olimpico, ed è stato il primo impianto completato per i Giochi del 1960, opera di Annibale Vitellozzi e Pierluigi Nervi, interamente in cemento armato. Circolare, con un diametro di sessanta metri, ha un’inconfondibile copertura: una calotta che sporge di dieci metri, sorretta da trentasei cavalletti inclinati, a forma di Y. Bruno Zevi lo paragonava al Pantheon, e altri al Tempietto del Bramante. In origine, il Palazzetto, teatro del basket e del sollevamento pesi, ospitava cinquemila persone; in seguito, se gli è rimasta la pallacanestro, motivi di sicurezza hanno ridotto la capienza ad appena tremila tifosi. Del tutto inagibile dal 2018, qualcuno è entrato per bruciarvi il parquet e i sedili; all’esterno, ci sono ormai barriere antintrusione, erbacce, accompagnate da sacchi d’immondizia; la copertura in cemento è tutta scrostata. Quasi al limite del mandato, la precedente amministrazione comunale ha avviato un progetto di risanamento per tre milioni di euro, che non sembra però procedere con la celerità promessa dall’allora sindaco Virginia Raggi.

Ma se, troppo spesso, l’architettura contemporanea a Roma si degrada a scempi incredibili, in qualche caso resta perfino, e per quindici anni, un’assurda incompiuta. La Vela di Santiago Calatrava era stata pensata per i mondiali di nuoto del 2009; quella che doveva essere la Città dello sport, ha iniziato a vedere la luce quattro anni prima: era sindaco Walter Veltroni; dopo, ne sono arrivati altri tre, e un commissario straordinario. Oggi, del complesso immaginato restano la struttura dello stadio per il nuoto, con la caratteristica copertura “a pinna di squalo”, la “vela” che si ammira (si fa per dire) anche da molto lontano (e così, tramanda quasi in ogni dove la pessima coscienza di cui è l’emblema) e la struttura di base di un altro palazzetto sportivo. Nel frattempo, costi e stanziamenti sono lievitati all’inverosimile; e ormai si discute addirittura se abbattere questo vergognoso abbozzo: invece di completarlo, qualcuno ne propone la tragica fine. Un presente che diventa passato ancor prima di esistere: chissà, Roma è capace di tutto.


Il Palazzo del lavoro a Torino, di Pierluigi Nervi e Gio Ponti, completato nel 1961, ormai fatiscente.


Un’altra foto del Palazzetto dello sport di Roma invaso da erbacce e sacchetti di immondizia.

ART E DOSSIER N. 395
ART E DOSSIER N. 395
FEBBRAIO 2022
In questo numero: INCROCI AL CINEMA: Beuys e Richter; Un museo per Fellini. PITTURE PALEOLITICHE: La grotta degli spiriti. IN MOSTRA: A Milano: Steinberg; Gnoli; Divisionismo. Haring a Pisa, Ghirri a Polignano a mare. DILEMMI RIPRODUTTIVI: Copia: umana o fotografica?Direttore: Claudio Pescio