Blow up

capa

Giovanna Ferri

Si è inventato un mestiere, quello di fotorepoter, e ha partecipato con coraggio, intraprendenza, acume e passione al momento storico che gli è toccato in sorte di vivere. Purtroppo per soli quarant’anni. Endre Ernő Friedmann, nato a Budapest nel 1913 da una famiglia della borghesia ungherese di origine ebraica, è costretto giovanissimo a lasciare il paese di origine per la sua netta opposizione al regime della destra locale. Nel 1931 va a Berlino dove inizia a interessarsi alla fotografia ma nel 1933, con l’ascesa di Hitler al potere, anche nella città tedesca non c’è più posto per un militante comunista come lui. Si trasferisce a Parigi dove conosce Henri Cartier-Bresson, David Seymour e la polacca, poco più che ventenne, Gerta Pohorylle. L’incontro con lei è determinante. Insieme decidono di darsi un altro nome: Robert Capa e Gerda Taro. Una scelta azzeccata, nomi che si ricordano con facilità e che evocano star di Hollywood (forse Frank Capra e Greta Garbo?). Tra i due nasce un rapporto professionale e soprattutto affettivo. Un grande amore, troncato durante la guerra civile spagnola (1936-1939), il primo conflitto immortalato dal promettente fotoreporter. Gerda Taro, che lui aveva aiutato a diventare fotogiornalista, rimane ucccisa da un carro armato nel 1937. Aveva ventisette anni.


Nel 1938 Capa, in Cina per sei mesi, fotografa la resistenza del paese all’invasione del Giappone. Nello stesso anno arriva per lui la notorietà. La rivista inglese “Picture Post” gli dedica otto pagine di immagini sulla drammatica esperienza in Spagna presentandolo come «il più grande fotografo di guerra al mondo». Guerra che lui odia ma che sente il dovere di raccontare, sempre in prima linea. Allo scoppio della seconda guerra mondiale trova riparo negli Stati Uniti ma tra il 1941 e il 1945 la documenta, in Europa, come corrispondente di “Life”. Nel 1947 fonda Magnum con gli amici e colleghi Cartier-Bresson, Seymour e George Rodger e nel 1948 è testimone della guerra d’indipendenza in Israele. Nel 1954 è in Indocina: pochi mesi prima della fine del conflitto tra l’esercito coloniale francese e il movimento Viet Minh muore saltando su una mina anti-uomo. Era il 25 maggio e stava realizzando ancora per “Life” un servizio, l’ultimo.

Se l’attività di Capa come fotoreporter di guerra è stata senza dubbio al centro della sua breve ma intensa carriera, non dobbiamo dimenticare che il suo sguardo ha colto anche momenti di pace, di gioia, di svago. Questi sono i momenti sui quali, in particolare, punta l’attenzione il progetto espositivo Robert Capa. Fotografie oltre la guerra in corso a Villa Bassi Rathgeb (Abano Terme, fino al 5 giugno, www. museovillabassiabano.it). Come ci ha raccontato il curatore della mostra, Marco Minuz, l’intento è stato quello di offrire una parte meno conosciuta del fotografo attraverso un centinaio di immagini. Tra queste troviamo la serie dedicata al Tour de France, realizzata nel 1938 con una macchina 35 mm, che ha come protagonista non tanto la competizione quanto il pubblico, adulti e bambini. Ci sono poi le immagini dedicate al mondo del cinema, nel quale Capa è introdotto grazie alla relazione iniziata a Parigi alla fine del secondo conflitto mondiale con Ingrid Bergman. E ancora gli scatti dedicati a letterati e artisti come Hemingway, Picasso, Matisse; quelli sulla nascita dello Stato di Israele e quindi sulla speranza degli ebrei sopravvissuti alla Shoah. Per finire con un nucleo di fotografie del reportage realizzato in Russia in collaborazione con lo scrittore americano John Steinbeck nell’estate del 1947 in piena Guerra fredda (Diario russo, 1948), volto a “registrare” con parole e testimonianze visive le usanze di un popolo all’epoca ancora poco conosciuto.

Queste le parole rivolte a lui, amante della vita, da Cartier- Bresson: «Per me, Capa indossava l’abito di luce di un grande torero, ma non uccideva; da bravo giocatore combatteva generosamente per se stesso e per gli altri in un turbine. La sorte ha voluto che fosse colpito all’apice della sua gloria»(*).

ART E DOSSIER N. 395
ART E DOSSIER N. 395
FEBBRAIO 2022
In questo numero: INCROCI AL CINEMA: Beuys e Richter; Un museo per Fellini. PITTURE PALEOLITICHE: La grotta degli spiriti. IN MOSTRA: A Milano: Steinberg; Gnoli; Divisionismo. Haring a Pisa, Ghirri a Polignano a mare. DILEMMI RIPRODUTTIVI: Copia: umana o fotografica?Direttore: Claudio Pescio