LA MODA SECONDO MORONI

UN “THESAURUS” DI STILI E FOGGE EUROPEE IN TERRA OROBICA

Alessio Francesco Palmieri-Marinoni

Èindubbio che Giovan Battista Moroni sia da considerare tra i maggiori esponenti della “pittura della realtà”. Le sue opere descrivono con accuratezza un mondo vivo, concreto, tangibile; un universo preciso e definito in ogni suo singolo dettaglio che, nella complessa panoplia di particolari, fornisce innumerevoli spunti di analisi e riflessione soprattutto in una prospettiva squisitamente di cultura materiale. A Moroni, tuttavia, bisogna riconoscere una dote quasi unica rispetto ad altri artisti del suo tempo: il pittore bergamasco restituisce agli occhi dell’osservatore contemporaneo dettagli attenti e meticolosi in merito al vestire nel XVI secolo e, ancora di più, rende visibile, a volte quasi palpabili, le peculiarità della moda in una terra complessa come quella bergamasca.

Abiti, tessuti, gioielli, accessori e complementi d’abbigliamento proposti nei suoi dipinti sia che si tratti di opere sacre o della ritrattistica tout court parlano agli occhi dello storico del costume in maniera eclatante e comunicano la complessità del Cinquecento in termini di definizione dell’abbigliamento. Moroni non sceglie questi elementi vestimentari in maniera casuale o secondo la consuetudine del voler consegnare alla Storia un’immagine e una memoria dell’effigiato; la moda da lui dipinta o forse sarebbe meglio dire, ritratta è una rappresentazione reale e concreta del vestire a Bergamo, la raffigurazione di persone reali con fogge vestimentarie attestabili, difficilmente ravvisabili in altri artisti coevi.

Le celebrazioni per il cinquecentesimo anniversario della nascita dell’artista offrono, in ambito accademico, una ghiotta occasione per indagare come gli aspetti del costume risultino oggi indispensabili non solo per superare datazioni incerte e lacune documentarie; l’abbigliamento, inteso nella sua più ampia espressione e complessità, rappresenta uno strumento imprescindibile sia per il superamento delle tradizionali ipotesi di natura critica e stilistica, sia per il raggiungimento di una comprensione la più esaustiva possibile dell’opera d’arte in esame, del suo contesto e dell’ambito socioeconomico nel quale artista e committenze hanno vissuto. Questo assunto, di fondamentale importanza, sta alla base di uno studio dato alle stampe nel 1940, a firma di Leandro Ozzola: Il vestiario italiano dal 1500 al 1550.

Saggio di cronologia documentata. Nel suo scritto, per la prima volta nella storia dell’arte, lo storico piacentino ravvisava l’esistenza di una «scienza cronologica del vestiario», ovvero lo studio degli abiti, la cui utilità non fosse utile esclusivamente ai pittori d’accademia, ai costumisti o per l’uso specifico della messinscena teatrale, bensì fosse uno strumento conoscitivo indispensabile e «d’ausilio [per gli storici dell’arte] nel determinare la cronologia di pitture non datate, nelle quali figurassero ritratti o personaggi vestiti secondo la foggia del loro tempo». Gli abiti, dunque, permettono non solo di determinare con maggiore chiarezza l’ambito cronologico e stilistico di un’opera, ma contribuiscono ad avvicinarci sempre di più ai soggetti ritratti.


Una prima riflessione in questa direzione e relativa a Moroni è ascrivibile alla storica del costume Grazietta Butazzi. Analizzando il Ritratto di Isotta Brembati (1556-1560 circa), la studiosa riconobbe nell’abito della nobildonna la presenza di alcune cifre stilistiche peculiari che denotavano una lenta transizione sia di gusto vestimentario che nella silhouette. Nella fattispecie, Butazzi ravvisò elementi già di area milanese, ascrivibili al secondo quarto del XVI secolo, che sarebbero diventati contraddistintivi della moda propriamente spagnola della seconda metà del secolo.


Ritratto di Lucia Albani Avogadro (La dama in rosso) (1554-1557 circa); Londra, National Gallery.


Ritratto di Faustino Avogadro (Il cavaliere dal piede ferito) (1555-1560 circa), Londra, National Gallery.

La struttura sartoriale, la “silhouette” della “camora” che annuncia già la “vesta”, così come le scelte tessili e le rifiniture, denotano una stretta vicinanza con i modelli presenti nel noto Libro del sarto della Fondazione Querini Stampalia di Venezia. L’abito della Brembati è vicino ai modelli milanesi, tuttavia strizza l’occhio anche al gusto veneziano. La mancanza del rigido colletto, tipicamente iberico, così come il decorativismo tessile di matrice veneziana sono requisiti riscontrabili, per esempio, anche nella preziosa seta operata del Ritratto di gentildonna (1575 circa; cfr. p. 29). Risultano altresì curiosi i motivi disegnativi e decorativi presenti nei raffinati ricami dei colletti a lattughe, chiara citazione dei modelli creati attorno al 1554 dal ricamatore Matteo Pagano.


Nelle opere di Moroni sono ben evidenti, dunque, diverse influenze di tipo anche extraterritoriali milanesi, veneziane o spagnole che evidenziano le contaminazioni vestimentarie cui Bergamo era costantemente sottoposta.


La ritrattistica del pittore testimonia il gusto per le stratagliature, ovvero i tagli e le sforbiciate decorative praticati nei preziosi tessuti serici o nei panni di lana: una tecnica di origine germanica ben visibile nel “giuppone” di Gabriel de la Cueva (1560). Anche le “zimarre” e i “roboni” richiamano la linea della “Schaube”, un’importante sopravveste di area svizzero-tedesca, presente nel Gian Ludovico Madruzzo (1551- 1552).


Ritratto di Gian Gerolamo Grumelli (Il cavaliere in rosa) (1560); Bergamo, Fondazione palazzo Moroni.


Ritratto di Bernardo Spini (1573-1575 circa); Bergamo, Accademia Carrara.

Da ultimo, anche agli accessori, come le famose “calzature a becco d’anitra” o “a muso di bue”, riconoscibili nel Ritratto di Faustino Avogadro o Il cavaliere dal piede ferito (1555-1560 circa) evidenziano i legami con le terre d’Oltralpe. La ritrattistica di Moroni è soprattutto un “thesaurus” di dettagli sartoriali. L’attenzione alla costruzione dei capi d’abbigliamento non è mai un dato a sé stante, bensì è contestualizzabile nella discussione cinquecentesca attorno alla figura del sarto, e alla funzione etico-morale dell’abbigliamento.


Tutto ciò in un momento storico specifico, a cavallo tra Riforma protestante e Controriforma cattolica, in cui l’abbigliamento risulta uno strumento d’identità e di appartenenza religiosa e, di conseguenza, specchio delle virtù di colui che lo indossa.Tra i numerosi esempi che denotano la particolare attenzione alle forme e allo studio della complessa modellistica che si sviluppò in maniera sempre più sistematica nel corso del Cinquecento possiamo citare i celebri ritratti di Gian Gerolamo Grumelli (Il cavaliere in rosa) (1560), di Bernardo Spini (1573-1575 circa), del cosiddetto Cavaliere in nero (1567 circa). Opere che sembrano raccontare quanto scritto da Juan de Alçega nel Libro de Geometria pratica y traça, el qual trata de lo tocante al oficio de sastre (etc.), il primo trattato di sartoria, dato alle stampe a Siviglia nel 1580.


Se da un lato l’opera moroniana che incarna al meglio l’ideale di sartoria è il celeberrimo Sarto (1570 circa), dall’altro la coeva, monumentale Assunzione della Vergine (Milano, Pinacoteca di Brera) permette di osservare interessanti dettagli modellistici e costruttivi. Le due opere, in una prospettiva modellistico-sartoriale, possono essere considerate due termini “ante quem” e “post quem”. Intento nelle fasi salienti che precedono la confezione, il giovane sarto è ritratto mentre si accinge a tagliare la tela di panno nero sulla quale ha appena tracciato, col gesso bianco, il modello sartoriale, frutto di complessi calcoli geometrici e aritmetici. Il risultato è ben evidente nei dettagli espressi nella costruzione della tunica o meglio nell’«habito all’antica», di colore violaceo, indossata nella pala da uno degli apostoli in ginocchio. Se nel Sarto il pittore restituisce la complessità e l’abilità del “saper fare” un abito, come documentato nella trattatistica coeva, nelle sue opere religiose i dettagli degli «habiti all’antica» denotano una conoscenza approfondita, per nulla casuale o disattenta, della costruzione dei capi. La medesima Assunzione di Brera presenta dettagli della costruzione della manica e del giromanica così come del colletto, delle pieghettature, o ancora dello spostamento posteriore dei teli centrali alla spalla, per evitare l’errata caduta dell’abito, che solo un attento osservatore dei cartamodelli poteva proporre.

GIOVAN BATTISTA MORONI
GIOVAN BATTISTA MORONI
Luca Brignoli, Enrico De Pascale
Giovan Battista Moroni si forma a Brescia nella bottega del Moretto e inizialmente non si discosta troppo dalla tradizione pittorica devozionale tipica della Lombardia del XVI secolo. Nella seconda metà del Cinquecento si afferma soprattutto come ritrattista della borghesia emergente della sua città, e non solo. Caratterizzano questa sua produzione la naturalezza, la semplicità, la dignità con cui colloca i suoi soggetti nel clima operoso in cui vivevano. Si tratta di personaggi non necessariamente di alto lignaggio, ma di sarti, maestri, magistrati locali. La sua pittura sobria, costruita sui contrasti di pochi colori, sui chiari e gli scuri, prepara in qualche modo il retroterra lombardo di Caravaggio.