Grandi mostre. 1
Damien Hirst a Roma

CORTOCIRCUITO 
TEMPORALE

Prosegue alla Galleria Borghese la personale dedicata a Damien Hirst in un percorso scandito da un suggestivo dialogo tra la collezione del museo romano e le opere dell'artista britannico. Un viaggio tra fantasia e realtà, antico e contemporaneo, passato e presente, iniziato qualche anno fa con la mostra veneziana Treasures from the Wreck of the Unbelievable.

Ludovico Pratesi

Chissà quanti punti in comune potevano avere Cif Amotan II, il liberto originario di Antiochia vissuto tra il I e il II secolo d.C., che aveva ammassato un’incredibile collezione di tesori d’arte, e il cardinale Scipione Caffarelli Borghese (1577-1633), nipote di papa Paolo V e ossessionato dall’arte. Possiamo immaginarli entrambi avidi fino all’inverosimile, disposti a tutto per mettere le mani su una maschera egizia in malachite o una tela di Raffaello, per esorcizzare la paura della morte e ambire all’immortalità attraverso gemme e capolavori inestimabili. Dei due, Amotan è stato il più sfortunato, perché i suoi tesori, che viaggiavano nella stiva del vascello Apistos (in greco antico significa “incredibile”), sono sprofondati nell’oceano Indiano rimanendovi per centinaia di anni, prima di essere recuperati nel 2008, mentre i dipinti di maestri come Caravaggio, Domenichino, Raffaello e Correggio sono custoditi dal Seicento a oggi alla Galleria Borghese. Ma era destino che le due collezioni si incontrassero, grazie alla personale di Damien Hirst Archaeology Now, curata da Anna Coliva e Mario Codognato e allestita nelle sale della Borghese per creare un collegamento ideale tra archeologia e arte contemporanea, sulle ali di un immaginario partito da palazzo Grassi nel 2017, con la colossale mostra Treasures from the Wreck of the Unbelievable.


Reclining Woman sembra quasi ispirata al capolavoro neoclassico di Canova

Ottanta opere appartenute a Cif Amotan dialogano oggi con la collezione di Scipione, in un ipotetico confronto tra ambizioni di possesso rimaste leggendarie e, nel caso di Amotan, anche irreali, visto che il personaggio del liberto romano è stato partorito dalla mente di Damien Hirst in occasione dell’esposizione veneziana, del quale l’artista costituisce una sorta di alter ego fantastico. «Attraverso la narrazione dell’antico naufragio di una grande nave e del suo preziosissimo carico», spiega Codognato, «queste opere rappresentano una metafora del tentativo di prolungare la vita attraverso l’arte e di fermare il tempo e la memoria solidificandoli nella immortalità relativa della materia». Una caratteristica, questa, fondamentale nella ricerca di Hirst, che riflette sul rapporto tra Eros e Thanatos in un tentativo di andare oltre la caducità del mondo. «I faraoni di marmi pregiatissimi di questa serie, come lo squalo o la mucca in formaldeide, come l’Apollo e Dafne o il Ratto di Proserpina di Bernini, congelano la vita per un impercettibile istante attraverso il potere delle immagini, creano l’illusione di un’immortalità sospesa», aggiunge il co-curatore. Non è un caso che una delle sculture più inquietanti, The Severed Head of Medusa (2008) - una testa di Medusa in malachite verde - dialoghi idealmente con lo Scudo con testa di Medusa dipinto nel 1598 da Caravaggio, uno degli artisti più amati da Scipione Borghese, e oggi conservato agli Uffizi.


Antonio Canova, Paolina Borghese Bonaparte come Venere vincitrice ( 1804-1808).

Anche le sculture a figura intera come Children of a Dead King (2010), ricoperte di madreperla, coralli, spugne e conchiglie, possono essere accostate a Enea, Anchise e Ascanio (1618-1619) di Gian Lorenzo Bernini, per le espressioni contrite e sofferenti dei loro volti di giovani incatenati, simili a quella di Enea, che fugge da Troia portando con sé la sua famiglia. Ancora più calzante il confronto tra la Paolina Borghese Bonaparte come Venere vincitrice (1804- 1808) di Antonio Canova e la Reclining Woman (2012), che sembra quasi ispirata al capolavoro neoclassico.

Con la sua mostra Hirst riesce a trasformare l’intero museo in una preziosa “Wunderkammer” dove la fantasia si mescola con la realtà: una messa in scena barocca che trasforma l’illusione in fascinazione, in un gioco tra marmo e corallo, stucco e malachite, pietre dure e bronzo, passato e presente. Una narrazione complessa e illusoria costruita sul filo rosso del collezionismo, scaturita dal cortocircuito tra Barocco e contemporaneo come un labirinto descritto da Jorge Luis Borges, che potrebbe avere come punto di partenza questa frase di Friedrich Schlegel: «Molte opere degli antichi sono diventate frammenti. Molte opere dei moderni lo sono già al loro nascere».
 
Con questa operazione Damien Hirst ingloba nel suo racconto la stessa Galleria Borghese e il suo ambizioso e ossessionato fondatore, per proiettarla nel presente attraverso le tele del ciclo Colour Space Paintings eseguite nel 2016. Queste opere, più libere e meno schematiche dei famosi Spot Paintings , «infrangono l’idea di un’immagine unificata, fluttuano nello spazio, scontrandosi e fondendosi l’uno nell’altro, con un senso di movimento che contraddice la stasi della tela», spiega Codognato. Nel loro andamento caotico e liquido, ricordano «cellule al microscopio », afferma l’artista, che sottolinea la natura più vicina a elementi umani proprio per la loro casualità, visibile in un’opera come Purple Lagoon (2016). «Nei Colour Space», aggiunge il curatore, «le macchie energiche della pittura a smalto alludono a un movimento tremolante; placche terrestri che scivolano lentamente l’una sull’altra. La struttura formale dei colori è in un dialogo aperto e fluttuante, in un’effusione di stimoli cromatici e materici, ricostruendo pittoricamente una viscosità sensuale. Il campo di colore sulla tela possiede un’energia magmatica, carnosa, ipnotica, irresistibile».
 

Una messa in scena barocca che trasforma l'illusione in fascinazione, in un gioco tra marmo e corallo, stucco e malachite, pietre dure e bronzo


Ma le sorprese non finiscono qui: la conclusione di Archaeology Now è un “coup de théâtre” nel giardino segreto dell’Uccelliera, dove troneggia il gruppo scultoreo Hydra and Kali (2015). Se nel videodocumentario della mostra veneziana le due divinità mostruose erano impegnate in un terribile duello sul fondo dell’oceano Indiano, ora si presentano davanti alle aiuole di Villa Borghese, protagoniste di un combattimento impossibile nella realtà ma auspicabile nel paludoso e ambiguo territorio della post-verità. Del resto, è lo stesso Damien Hirst a metterci in guardia su quanto sia labile il confine tra vero e falso con una frase lapidaria: «Credo che quello che ci fa credere nelle cose non è quello che sono, ma quello che non sono». Probabilmente sia Cif Amotan che Scipione Borghese sarebbero d’accordo.

Damien Hirst. Archaeology Now

a cura di Anna Coliva e Mario Codognato
Roma, Galleria Borghese
fino al 7 novembre
orario 9-19, chiuso lunedì
catalogo Marsilio
www.galleriaborghese.beniculturali.it

ART E DOSSIER N. 390
ART E DOSSIER N. 390
SETTEMBRE 2021
In questo numero: SPERIMENTAZIONI: Gli smontaggi fotografici di Nino Migliori. NOVECENTO ITALIANO: Artiste e compagni. CONTRADDIZIONI MUSEALI: Humboldt Forum a Berlino. IN MOSTRA: Hirst a Roma; Impressionisti a Gallarate; Tempo barocco a Roma; Fede Galizia a Trento; Moroni ad Albino.Direttore: Claudio Pescio