Blow up

De biasi

di Giovanna Ferri

Norimberga, 1944. Mario De Biasi ha ventun anni quando, durante l’occupazione tedesca in Italia, viene deportato lì, costretto al lavoro forzato come radiotecnico alla Siemens. Una coercizione che si trasforma in opportunità: la più importante, per lui. Finita la guerra, decide di rimanere in quella città. Lo ospita una famiglia che, oltre a vitto e alloggio, gli offre un lavoro. E così tra le macerie del luogo, dove si svolse il famoso processo contro i gerarchi nazisti, De Biasi trova nel 1945 del materiale fotografico. Quel reperimento fortuito segna l’inizio della sua passione. 


Il suo primo reportage (con una Welta 6x6, donata dalla stessa famiglia ospite) è sulle rovine di Norimberga. Nel 1946 torna a Milano, dove si era trasferito giovanissimo dal suo paese natale, Sois (Belluno). Riprende il suo impiego alla Magneti Marelli di Sesto San Giovanni, cominciato nel 1939, ma continua a coltivare il suo irrefrenabile interesse. Alla fine del 1952, grazie a Gianni Hoepli - conosciuto dal fotoamatore tramite l’amico Enzo Croci, direttore di “Fotografia” - vende al settimanale “Epoca”, ritenuto il “Life” italiano, dieci fotografie. Subito dopo, il direttore del giornale gli propone un periodo di prova. Per accettare, deve lasciare il posto fisso. Non ci pensa due volte: rischia, ma ce la fa. Le qualità delle sue immagini sono evidenti e congruenti alle finalità divulgative di “Epoca”: asciutte, precise, caratterizzate da un equilibrato gioco di linee con un chiaro focus sul contenuto. Il test è superato. De Biasi è il primo fotoreporter assunto dallo storico periodico (nato nel 1950 da un’idea di Alberto Mondadori con l’aiuto di Cesare Zavattini). Niente male per un autodidatta. Per trent’anni gira il mondo per conto della rivista. Quale migliore prospettiva per un esploratore come lui, dal temperamento intrepido, curioso, anzi letteralmente affamato di vita e di conoscenza? Sempre pronto ad assumere punti di vista originali, a percorrere nuove strade, l’autore bellunese affronta ogni avventura con entusiasmo. E, cosa fondamentale, si documenta prima di partire per essere consapevole del contesto e per essere pronto, anche, a rispondere a stimoli inattesi.

Nel 1956 è a Budapest per documentare la rivolta antisovietica nell’allora Ungheria socialista. Con questo servizio raggiunge una fama internazionale e guadagna l’appellativo di «Italiano pazzo» per essersi spinto in mezzo alla folla mettendo a repentaglio la propria incolumità. È una delle sue innumerevoli esperienze pericolose. Ma per lui il pericolo è un aspetto secondario. Vuole essere vicino ai fatti perché il lettore, guardando le sue immagni, possa cogliere il più possibile l’autenticità del momento. Con la sua attrezzatura, priva di teleobiettivo e di solito composta da quattro macchine fotografiche, corre da un posto all’altro: Stati Uniti, Siberia, Vietnam, Sud America, Africa, Medio Oriente, Europa. E, con occhio accogliente, ricettivo passa da un genere all’altro attribuendo a ciascun soggetto pari attenzione e dignità. È capace di indossare con fermezza tanto i panni di reporter di guerra quanto quelli di paesaggista, ritrattista, fotografo di viaggio, di moda, di cinema. E allora eccolo alla prese nel 1954 con un servizio commissionato da “Bolero Film” (testata del gruppo Mondadori) per rilanciare il magazine, in crisi di vendite. Tra gli scatti realizzati c’è il leggendario Gli italiani si voltano. Protagonista una procace Moira Orfei, vestita di bianco, mentre con passo deciso attraversa le strade di Milano. De Biasi la segue secondo la pratica neorealista sostenuta da Zavattini (pedinare i soggetti per documentare ciò che accade, senza alcuna interazione). Una testimonianza che pare costruita su un set cinematografico, di immediata lettura (probabilmente più d’una), vitale, sfacciata, con un’inquadratura irripetibile. Germano Celant la sceglie come immagine guida della mostra The Italian Metamorphosis 1943-1968, da lui curata, al Guggenheim Museum di New York nel 1994.
L’intera sequenza del reportage è tra i molti inediti presenti nella retrospettiva Mario De Biasi. Fotografie 1947-2003 (Venezia, Casa dei Tre Oci, fino al 9 gennaio 2022, www.treoci.org), a cura di Enrica Viganò, in collaborazione con l’Archivio del fotografo. Oltre duecento immagini offrono un ritratto esaustivo di un professionista dello sguardo, capace, come leggiamo nel catalogo dell’esposizione, di trattare qualsiasi tema e di mettersi alla prova, con il linguaggio a lui più consono, fino alla sua scomparsa (2013). Un uomo che è riuscito a «guardare l’universo ritagliando la bellezza».


Gli italiani si voltano (1954).

ART E DOSSIER N. 388
ART E DOSSIER N. 388
GIUGNO 2021
In questo numero: LEGAMI Renzo Piano e Gillo Dorfles. Mary Cassatt e Louisine Havemeyr. PRIME TRACCE DI MONDI NUOVI: Due mappe del Rinascimento. IN MOSTRA: Ionda a Firenze; Samorì a Bologna; Arte americana a Firenze; Schmidt a Parigi; Casa Balla a Roma; Odori all'Aja.Direttore: Claudio Pescio