faggetto i

1902
olio su tela
cm 100 x 100
Dresda, Gemäldegalerie Neue Meister

con l'impressionismo si rinnova la pittura di paesaggio e persino la percezione della natura. Cambia la tecnica, i colori sono venduti in tubetti e ciò permette di lavorare in velocità e immediatezza. Il dipinto non è più concepito nello studio a partire da schizzi ma perlopiù direttamente en plein air. Con il postimpressionismo questo primo modello di arte ambientale, comunque influenzato dalle teorie scientifiche del tempo sul fenomeno della luce e della fisiologia dell’occhio assume un carattere più scientifico nelle ricerche di Georges Seurat, Paul Signac e dei nostri divisionisti, Pellizza da Volpedo, Giovanni Segantini ecc. Il modello di questo nuovo rapporto, sguardo, visione e natura nel senso più ampio del termine è ben espresso nei quadri di Claude Monet dipinti dalla fine del secolo fino alle maestose Ninfee oggi all’Orangerie di Parigi. Il paesaggio diviene dunque espressione diretta della pittura e non più rappresentazione di un luogo esteriore. Come nella visione dell’introverso analizzata da Freud e poi da Jung nel Novecento, è la natura interiore che si proietta su ciò che vediamo della natura.

 
Meno conosciuta ma fervida è l’attività di Klimt come paesaggista durante i soggiorni trascorsi sul lago Attersee in compagnia di Emilie Flöge, quando lasciava la Vienna mondana. Pur avendo guardato alle opere francesi presentate a Vienna in occasione della XVII mostra della Secessione nel 1903, Klimt realizza però le sue opere nello studio, aggiungendo alle immediate percezioni ricevute altre sensazioni più sottili e provenienti dal suo mondo interiore. Il formato quadrato (100 x 100), come in La fattoria delle betulle del 1900 appare diviso in due fasce con la linea dell’orizzonte sempre posta molto in alto, quasi eliminando del tutto la prospettiva. Come in altri dipinti dello stesso periodo, Klimt ci mostra uno spazio astratto geometrico e pur nelle differenze ricorda i paesaggi e gli alberi di Mondrian dalla fine dell’Ottocento fino ai grandi quadri astratti del primo decennio del Novecento. L’osservazione della natura è quindi ricondotta a una stilizzazione non schematica come in Mondrian, ma altrettanto efficace, grazie al suo originale e lussureggiante uso del colore. Il metodo, quasi di miniatore o orefice, obbligava Klimt a perfezionare l’opera lentamente, aggiungendo sottigliezze a sottigliezze, trasformando i valori pittorici in elementi anche simbolici, compresa la prospettiva che, in questo periodo consente all’impianto figurativo di non naufragare in pura decorazione. Dal paesaggio è sempre assente la figura umana ma si tratta dell’assenza di un personaggio ma non dell’umana visione interiore, che, quasi in maniera kantiana, dà senso e ordine alla concretezza della realtà. Il quadro, all’interno della sua schematizzazione geometrica, composta da alberi e dalla linea dell’orizzonte, appena in alto si intravede una piccola porzione di cielo, è arricchita visivamente dal tappeto intessuto di foglie morte, ricco di molteplici sfumature cromatiche, e dai tronchi della fitta sequenza di alberi. Lo sguardo si perde in quel labirinto, ci si lascia guidare dal profumo del legno e dal manto delle foglie cadute, dalla diversa colorazione dei nudi tronchi, dalle macchie più scure sulle sagome verticali che definiscono una sorta di astratta grammatica e sintassi del vedere. La composizione risente, come per Van Gogh, dell’influsso delle stampe giapponesi, largamente diffuse nell’Europa del tempo. La Secessione viennese diede infatti molto spazio all’arte dell’Estremo Oriente, cui dedicò una mostra già all’inizio del secolo e laboratori di formazione dove si studiavano i procedimenti tecnici giapponesi, in particolare l’uso delle sagome per ottenere speciali effetti di positivo e negativo. In tal modo si potrebbe citare con lieve anacronismo, Henri Focillon, che nel suo saggio Elogio della mano del 1934, descriverà una caratteristica di Hokusai che possiamo ben attribuire anche a Klimt: “Sotto la sua mano, l’accidentale è una forma inconscia della vita, un incontro di forze oscure e di un disegno chiaroveggente.” 

GUSTAV KLIMT
GUSTAV KLIMT
Giovanni Iovane, Sergio Risaliti