fregio
di beethoven

1902
olio su tela
Tecnica mista su intonaco
Vienna, Palazzo della Secessione 

la XIV mostra della Secessione fu un grande avvenimento. Il 6 aprile 1902 si attendeva con trepidazione l’arrivo in città del Beethoven di Max Klinger. La monumentale scultura in bronzo, marmo, onice, avorio, madreperla e opale stava viaggiando divisa in cinque parti su un treno da Lipsia verso Vienna. Nel Palazzo dell’Associazione fervevano i lavori di allestimento. Il meglio dell’arte austriaca e forse europea si era impegnato nella realizzazione di un’esposizione di natura epocale. Il vagone raggiunse la stazione viennese il 10 aprile 1902 e il giorno dopo si prese a montare la statua di quattro tonnellate. Pochi giorni prima dell’inaugurazione, fu organizzata una festa negli spazi espositivi e Gustav Mahler arrangiò per strumenti a fiato l’ultimo movimento dell’Eroica e il coro della Nona di Beethoven, fuoco ispiratore dell’intero progetto. Tutto tornava alla perfezione. Le cronache ci dicono che la mostra durante i due mesi di apertura ebbe successo: i visitatori furono dai 1000 ai 2000 al giorno per un totale di 58.141 visitatori. Il progetto era stato concepito già nel 1901; l’intento era quello di creare un tempio per Beethoven, coinvolgendo vari artisti, i più diversi materiali, le differenti tecniche. Klinger stesso spiegò l’idea di base rifacendosi alla teoria wagneriana di Gesamtkunstwerk, ovvero quella dell’unione di tutte le arti. Tale fusione di tutte le arti Wagner la teorizzò in scritti compresi tra il 1849 e il 1851, in cui sulla scorta dell’idealismo romantico, ma anche dei contributi di Goethe (La teoria dei colori, 1810) e prima di Denis Diderot (come ad esempio la Lettera sui sordomuti del 1751), per il quale, “il poeta, il pittore e il musicista rendono la stessa immagine”. In altre parole, e all’interno di un complesso e spesso contraddittorio percorso storico che giunge sino al Novecento e alla contemporaneità si andava affermando il concetto e la pratica dell’opera d’arte totale. All’interno di movimenti come quello di Arts and Crafts o come appunto quello della Secessione monacense e viennese, l’idea di “opera d’arte totale assumeva”, in maniera originale, una idea di condivisione, la formazione di una “comunità” artistica in cui in maniera orizzontale e non gerarchica, artisti, architetti, designer scrittori e musicisti concorrevano alla realizzazione di un’opera, se non totale almeno realmente condivisa nel progetto e nella realizzazione pratica all’interno di una medesima immagine, per parafrasare lo stesso Diderot.
Fondamentale era poi la relazione delle espressioni artistiche con lo spazio concepito in forma allegorica e simbolica. Josef Hoffmann fu incaricato di concepire l’allestimento, basato su tre navate per distribuire su tre livelli più temi e stili. Il percorso era circolare e ruotava intorno alla statua di Beethoven di Klinger che fungeva da perno a tutte le espressioni. I visitatori erano quindi obbligati a raggiungere la vasta aula centrale dopo aver attraversato le stanze laterali; in questo modo potevano prepararsi emotivamente e concettualmente alla sublime visione del Genio della musica. Nella prima sala, l’opera principale era il Fregio di Beethoven realizzato da Gustav Klimt che si estendeva su tre pareti per un totale di 35 metri circa. Le immagini occupavano la parte superiore della parete e si leggevano da sinistra a destra. Negli altri ambienti erano intervenuti molti artisti tra cui Koloman Moser, Maximilian Lenz, Ernst Stöhr, Leopold Stolba, Wilhelm List, Adolf Böhm, Ferdinand Andri, Alfred Roller. Pittura, scultura, design e grafica dovevano collaborare e fungere da elementi decorativi e simbolici a un tempo. Nel catalogo si leggeva quale fosse l’intento: “Se la Secessione doveva dare coesione ai vari aspetti di questa mostra, se doveva armonicamente collegare parti tra loro differenti e in tal modo rendere possibile una mostra d’arte in senso moderno, stavolta i modi della sua realizzazione dovevano essere completamente modificati.” L’affresco di Klimt realizzato con la tempera a secco, pastelli colorati e carboncino, con aggiunta di sabbia e oro brillante, pur dimostrando una sua geniale autonomia, contribuiva a celebrare la filosofia e la potenza spirituale della musica di Beethoven. Secondo Marian Bisanz-Prakken il punto di partenza per Klimt sarebbe stato la trascrizione della Nona di Beethoven fatta da Wagner in occasione dell’esecuzione della stessa sinfonia avvenuta a Dresda nel 1846. Nel testo offerto al pubblico Wagner proponeva immagini fantastiche, emozioni sublimi, appoggiandosi pure ad alcune poesie di Wolfgang Goethe: “Una lotta, intesa nel senso più grandioso, dell’anima che aspira alla gioia contro la pressione di quella forza ostile che si interpone tra noi e la felicità sulla terra… Di fronte a questo potente nemico noi riconosciamo una nobile ostinazione, una virile energia del resistere, che… cresce fino a diventare battaglia aperta contro l’avversario, nella quale crediamo di vedere due possenti lottatori…
Con isolati sguardi luminosi riusciamo a scorgere il sorriso malinconicamente dolce della felicità… per possedere il quale combattiamo e la cui conquista ci è impedita da quel malvagio nemico… e sprofondiamo in un oscuro rimuginare, che ora sa nuovamente sollevarsi a resistenza caparbia, a nuova lotta contro il demone che ci priva della gioia… Alla fine questo stato d’animo cupo, privo di gioia, crescendo fino a raggiungere una grandezza gigantesca, sembra avvolgere ogni cosa.” La prima sequenza di figure metteva in scena il “Desiderio di felicità”. Seguivano immagini che il catalogo descriveva come “le sofferenze della debole umanità: le sue suppliche all’uomo forte e ben armato, le quali, muovendolo a compassione stimolando la sua ambizione, lo inducono a combattere per la felicità”. Il cavaliere con l’armatura dorata, la spada e l’elmo ha i lineamenti di Gustav Mahler, all’epoca direttore dell’Opera di Vienna; dietro della Forza si riconoscono due figure allegoriche femminili - Ambizione e Compassione - che aleggiano sopra la sua testa. Le altre figure femminili sospese in aria rappresentano il Desiderio di Felicità e occupano per intero la parete. Klimt, usò perfino chiodi da tappezziere e pezzi di vetro per arricchire la figura del cavaliere. Nell’insieme questa zona dell’affresco risente dell’arte del pittore elvetico Ferdinand Hodler e dello scultore George Minne, di origine germanica, le cui figure emaciate quasi impossessate dal nichilismo e dall’angoscia esercitarono un certo qual magnetismo sull’artista viennese. Le Forze ostili - con il gigante Tifeo contro cui hanno combattuto gli dèi invano - popolano invece per intero la parete corta. L’essere mostruoso è accompagnato delle tre figlie, le Gorgoni. Completano la scena le personificazioni di Lussuria, Impudicizia e Intemperanza, e sopra le Gorgoni si affacciano nelle loro fattezze angoscianti la Malattia, la Follia e la Morte. Tifeo dal corpo di alato serpente imprigiona con la coda, trasformata in un cupo sfondo scenografico, la figura del Dolore struggente. La parete, così eccessiva e tormentata, suscitò un grande scandalo e Klimt, incredibile a credersi oggi, venne accusato di oscenità e di pornografia; si parlò di orgia e le figure parvero “nudità modernizzate in forma di allegorie ospedaliere… degne di vivere nel Panoptikum di Präuscher” dove si studiavano gli effetti devastanti delle malattie veneree. Proseguendo nella lettura la tensione si stempera di scena in scena, l’artista lascia ampie zone di superficie monocroma e il desiderio di felicità domina tematicamente la parte restante dell’affresco. Qui s’incontra la Poesia nella figura di una donna che suona la cetra. L’immagine ricorda precedenti raffigurazioni come quella di Musica I, anch’essa con la lira, apparsa già nel 1895. Nell’ultima parete viene celebrata allegoricamente l’Apoteosi delle Arti che ci innalzano al regno ideale assieme alle ultime figure che sono quelle del Coro degli angeli del Paradiso e dell’Abbraccio. Il significato di questa visione era spiegato in catalogo citando i versi dell’Inno alla Gioia (Freude, schöner Götterfunken - Gioia meravigliosa scintilla divina) di Friedrich Schiller, cantato nell’ultimo movimento della IX di Beethoven, a simboleggiare anche l’interazione di musica e parola, oltre che di arte e poesia. Il pubblico poteva anche leggere il commento ufficiale secondo cui: “Le arti ci conducono fino al regno dell’ideale, ove soltanto possiamo trovare pura gioia, pura felicità, puro amore.” Punto centrale del tutto è l’immagine della coppia di amanti abbracciati che prelude già al Bacio e all’allegoria del Compimento di Palazzo Stoclet (1505-1509). La coppia circonfusa di oro si congiunge come protetta da una campana, o forse i due si sono già imbarcati nella loro immaginaria capsula venusiana per viaggiare in un tempo migliore. Il Fregio è quindi una sorta di manifesto dell’utopia della Secessione viennese; Klimt era convinto che solo con l’arte si attuasse una vera e profonda rigenerazione delle coscienze, una palingenesi. Ma la crisi dei valori era talmente profonda e radicata che neppure la religione estetica riuscirà a impedire il crollo delle certezze e la fine di una civiltà. Così come nell’ultimo Wagner, l’utopia dell’opera d’arte totale non era che un tentativo idealistico e non più rivoluzionario di “coprire” la frammentazione della condizione umana: una frammentazione anche psichica che la psicoanalisi individuò e descrisse ampiamente.

GUSTAV KLIMT
GUSTAV KLIMT
Giovanni Iovane, Sergio Risaliti