acqua mossa

1898
olio su tela
cm 52 x 65
New York, collezione privata

Il mondo greco possedeva un numero spropositato di ninfe. Per cercare di dare un minimo di ordine alla categoria, Omero le suddivise in ninfe terrestri, acquatiche e celesti. Le ninfe erano divinità femminili e la stessa etimologia della parola greca νυʹμϕη dichiara che si trattava di giovani e belle fanciulle in fiore. Tra le ninfe celebri si ricordano Calipso, che trattenne Ulisse sull’isola di Ogigia per sette anni, Eco, la ninfa del monte Elicona, Euridice, la due volte sfortunata sposa di Orfeo. I romani semplificarono legando indissolubilmente le ninfe ai corsi d’acqua, alle sorgenti, alle fonti e ai relativi luoghi. In tal modo, le ninfe sono “organicamente” inserite nel deflusso vitale del corso d’acqua. Il grande racconto per immagini della storia dell’arte ha mantenuto in vita queste innumeri divinità acquatiche nei secoli al pari della letteratura. Nella seconda metà dell’Ottocento, in quel pittoresco connubio di Storia e Letteratura che identificò la Confraternita dei preraffaelliti, Ofelia e le ninfe abitarono nuovamente i fiumi. Nel 1893, un “preraffaellita moderno” (la Confraternita si era sciolta da alcuni decenni), dal nome sintomatico di John William Waterhouse, dipinse un quadro, La Naiade, in cui la naiade Melite esce dal fiume per unirsi a un dormiente Eracle parzialmente coperto dalla sua consueta pelle di leone.
Nondimeno, la parola ninfa dà luogo, all’interno della storia della medicina, nella seconda metà del Settecento, a una significativa evoluzione. Il medico francese Jean Baptiste Louis de Thesacq de Bienville conia la parola “ninfomania” per descrivere il morboso aumento dell’istinto sessuale nella donna, trattato come “furore uterino”. Insieme all’immagine di benevole fanciulle intimamente legate alla natura e all’acqua, e pronte talora al matrimonio, le ninfe acquisiscono una profondità psicologica perturbante per l’occhio virile. Gli scrittori romantici e poi Victor Hugo e sino All’ombra delle fanciulle in fiore di Marcel Proust hanno ben narrato le protagoniste femminili della Belle Époque. Il tema delle fluide “donne pesci” fu motivo dominante dello Jugendstil. Gustav Klimt trasforma questo motivo con la sua grande forza espressiva trasformando se stesso nell’osservatore maschile. Nel quadro, infatti, e sopra la sua firma rossa in basso a destra, appare una figura che assiste turbata al sensuale scorrere vitale e sessualmente enigmatico delle ninfe. Si tratta di un coboldo, uno spirito folletto, una creatura della mitologia e del folclore germanico di natura benevola, di bassa statura, furbo e malizioso. Suo compito sarebbe quello di proteggere la casa. L’artista, dunque, partecipa alla scena dal basso quasi a suggerire all’osservatore del quadro un ideale e insieme concreto punto di distanza; una posizione riservata al mondo maschile. È come se potessimo ascoltare il richiamo ammaliante di queste ragazze che scivolano via in un mondo subacqueo trascinando con sé il nostro desiderio di voluttà e perdizione. Tutto qui si tramuta in un’immagine del nostro inconscio, compresa tra desiderio ed enigmaticità della sessualità femminile. Nell’intenzione dell’artista il dipinto potrebbe sottendere anche una rivisitazione moderna del mito di Ulisse. Come se fossimo l’eroe omerico, dobbiamo respingere la malia delle sirene oppure abbandonare dopo sette anni la seduzione immortale di Calipso. Il pittore ha immaginato un mulinello di corpi femminili dai capelli color rame che fluttuano nell’acqua violetta, livida, quasi limacciosa. Una di esse punta il suo sguardo di Medusa verso di noi. Nell’ottica ottocentesca la bellezza è incantatrice e per questo anche minacciosa. In effetti, stiamo guardando un paesaggio del profondo, un gorgo dell’anima. Anche l’estasi sessuale nasconde un lato oscuro, è incontro con la morte. Il tema delle seduttrici tristi e languide dal lo sguardo mortifero (nereidi, ondine, incarnazioni del potere pietrificante di Medusa) verrà affrontato più volte da Klimt. Sono corpi femminili distesi, con gli arti rilasciati in una situazione di abbandono, come quando la volontà è sopraffatta dal piacere, galleggianti e sospese in un mondo senza gravità. Ad esempio già nel 1899 in Fate acquatiche e successivamente in Pesci d’oro del 1901 e in Bisce d’acqua nella duplice versione del 1904 e 1907. Sentimenti di angoscia accompagnano dialetticamente il momento dell’estasi sessuale. Un conflitto tra forze ostili e mistica ebbrezza cui Klimt darà espressione nelle immagini ideate tra il 1901 e il 1907 per l’Aula Magna dell’Università di Vienna, tre pannelli dedicati alla Filosofia, Medicina e Giurisprudenza, fortemente ispirati dalle opere plastiche di Auguste Rodin, e con il Fregio di Beethoven dipinto a partire dal 1902, uno dei capolavori del pittore viennese. 

GUSTAV KLIMT
GUSTAV KLIMT
Giovanni Iovane, Sergio Risaliti