una giovinezza inquieta

«Come sei buono con me, e come vorrei poter fare qualcosa di buono per provarti che vorrei essere meno ingrato».

Vincent van Gogh al fratello Theo, novembre 1889

come avrà vissuto i mesi della gravidanza e l’avvicinarsi del parto Anna Cornelia Carbentus, la madre di Vincent van Gogh? L’anno precedente, nel 1852, il suo primo bambino era morto poco dopo la nascita: facile, quindi, che fosse in preda a sentimenti contrastanti, aspettando l’evento con rinnovata speranza ma anche con grande inquietudine. Ed ecco che finalmente, il 30 marzo 1853, il neonato viene alla luce e sopravvive. Ma il 30 marzo non è una data qualunque, è esattamente lo stesso giorno in cui il fratellino morto era anche lui venuto al mondo. Strana coincidenza, che sa quasi di predestinazione, di qualcosa di “scritto nelle stelle”. Come a dire che perfino il Cielo considerava il secondo Vincent - questo era infatti anche il nome di battesimo dell’altro neonato - niente più che un rimpiazzo del primo. E tale in effetti dovette sentirsi per tutta la vita Van Gogh. Anzi, peggio, forse si percepì come un vero e proprio usurpatore, uno che aveva occupato una culla non sua, un ladro dell’affetto dei suoi genitori. O almeno c’è chi ha avanzato l’ipotesi del senso di colpa, maturato in lui fin dall’infanzia, per spiegare quel male di vivere di cui Vincent soffrì fino al giorno del suicidio con cui mise fine alla sua sfortunata vita. Una instabilità emotiva cui forse poté contribuire la tensione inconsapevolmente trasmessagli dalla madre mentre lo portava ancora in grembo, chissà! Qualunque ne sia stato il motivo, il fatto certo è però che il piccolo Vincent crebbe con un animo tormentato, inquieto, più ricettivo del normale.

La sua personalità sembra plasmarsi quasi per contrasto in seno alla rispettabile e conformista famiglia borghese in cui ha in sorte di nascere e nell’ambiente di provincia chiuso e bigotto dove si trova a vivere. «La mia giovinezza è stata [...] tetra, fredda e sterile», scrive Vincent al fratello Theo in una delle centinaia di lettere a lui indirizzate. Sono queste a costituire, insieme alla corrispondenza con la sorella Wilhelmine e altri parenti, e allo scambio epistolare con amici come il pittore Émile Bernard, la principale fonte sulla vita e sul pensiero di Van Gogh. Nelle lettere a Theo - che gli offrirà il proprio sostegno economico per tutta la vita restando il più saldo dei suoi legami familiari - il difficile rapporto di Vincent con i genitori viene fuori senza mezze misure. Ecco per esempio un passaggio illuminante da una lettera spedita nei primi mesi del suo soggiorno in casa dei genitori: «Papà e mamma sono molto buoni, ma non comprendono i nostri sentimenti più intimi e non si rendono conto di quello che tu e io sentiamo veramente».

A Etten, il contrasto con i genitori esplode con violenza anche perché favorito da un evento catalizzatore: Vincent che, come altre volte in passato e in futuro, si innamora della persona sbagliata. In questo caso si tratta della cugina Kee, vedova e con un figlio, che di lui proprio non vuol saperne. Vincent non si dà per vinto, la perseguita e finisce col mettere in imbarazzo tutti, innescando litigi furibondi in famiglia. In effetti, sebbene Vincent ne desideri ardentemente l’amore e l’approvazione, la sua insofferenza per l’austero rigore morale di Theodorus van Gogh, pastore della Chiesa riformata olandese, per la sua ristrettezza mentale, per la sua fede bigotta, per il suo autoritarismo, è chiaramente palpabile nelle lettere al fratello: «Papà non può comprendermi e seguirmi, e io non posso accettare il suo sistema, che mi opprime e mi soffocherebbe. Anch’io leggo la Bibbia, di tanto in tanto, come leggo Michelet o Balzac o Eliot; ma nella Bibbia vedo cose diverse da quelle che vede papà».

A quel punto, Vincent si reca all’Aja per dare seguito, solo con se stesso, alla propria vocazione artistica, «il dado è tratto». Lasciando l’abitazione dei genitori a Etten, nel gennaio 1882, Van Gogh non sta però abbandonando la sua casa natale. A Etten infatti i Van Gogh si erano trasferiti solo nel 1875, mentre Vincent era nato in un altro villaggio del Brabante, Groot Zundert. È in questo borgo rurale a trenta chilometri dalla città belga di Anversa che il futuro artista trascorre l’infanzia e l’adolescenza. Le notizie sui primi dieci anni della vita di Van Gogh sono scarse. Da bambino sembra condurre un’esistenza normale, nel 1860 viene iscritto alla scuola del paese e per un anno è allievo di un maestro cattolico; poi, per volere del padre, continua gli studi privatamente fino al 1864, quando, a undici anni, è spedito in collegio nella vicina Zevenbergen. Già allora, il suo carattere ipersensibile gli fa vivere questo primo distacco come uno strappo doloroso, ancora vivo nel ricordo desolato dell’età adulta, quando rievocherà la circostanza scrivendo: «In piedi sulla scalinata vicino al signor Provily, guardavo la nostra vettura allontanarsi sulla strada bagnata». In seguito, Vincent frequenta due anni di scuole secondarie a Tilburg, sempre nei pressi di Zundert, finché, nel 1868, a quindici anni, la sua carriera scolastica si interrompe bruscamente. I motivi sembrano essere stati prevalentemente economici - la famiglia non poteva più permettersi di mantenerlo agli studi - ma l’abbandono fu anche dovuto al suo scarso profitto scolastico.


Scavatore (Etten, 1881); Amsterdam, Van Gogh Museum.

Viale d’ingresso (L’Aja, autunno 1872 - primavera 1873); Amsterdam, Van Gogh Museum.

Lo stagno della Corte reale all’Aja (L’Aja, primavera 1873); Amsterdam, Van Gogh Museum.

Dell’infanzia a Zundert, Vincent conserverà soprattutto il ricordo del paesaggio brumoso e piatto del Nord e delle sue passeggiate solitarie o in compagnia dell’amato fratello.
La prima volta che Van Gogh comincia a pensare al suo futuro è nel 1869, a sedici anni. Con l’aiuto di uno zio che porta il suo stesso nome (affettuosamente chiamato “zio Cent”), trova lavoro all’Aja presso una filiale della casa d’arte parigina Goupil. Sembra la scelta sensata di un ragazzo precocemente responsabile. A questo proposito, va detto che le professioni verso cui si indirizzavano abitualmente i maschi della famiglia Van Gogh, di generazione in generazione, erano sostanzialmente due: il prete (Theodorus, suo padre, era anche lui figlio di un pastore protestante) e il mercante d’arte (come tre fratelli del padre e poi anche il giovane Theo). Così, è forse per non smentire la tradizione di famiglia che Vincent imboccherà prima l’una e poi l’altra strada con sincera volontà di riuscita. Tutte e due le volte sarà un fallimento ma entrambe le esperienze peseranno sulla sua futura carriera artistica.

Impiegandosi alla Goupil, Van Gogh entra in contatto diretto e stabile con la pittura e con il disegno e può accedere a un gran numero di riproduzioni e fotografie di opere d’arte del passato e contemporanee; nel tempo libero ha poi l’occasione di visitare i musei della città e studiare le opere dei maestri olandesi. Le cose procedono piuttosto bene fino al 1873. Quest’anno, che segna l’ingresso in una filiale della Goupil (a Bruxelles) anche del fratello Theo, è per Vincent quello del suo primo, breve, soggiorno parigino, durante il quale visita con entusiasmo il Salon, il Louvre e il museo del Luxembourg. Ma è soprattutto l’anno del suo trasferimento alla Goupil di Londra, un evento gravido di pessime conseguenze per il suo futuro lavorativo. Van Gogh vi rimane due anni, sperimentando una dolorosa solitudine che traspare nel tono sempre più malinconico delle lettere.


La casa natale di Van Gogh a Groot Zundert, demolita nel 1903, in una foto d’epoca.

La sua vita nella capitale britannica è ritirata e monotona, anche per colpa delle esigue entrate: l’unico svago dopo il lavoro sono le lunghe passeggiate nei parchi o sulle rive del Tamigi, le visite ai musei, la lettura - con una grande passione per autori “locali” come Dickens e George Eliot -, il disegno. Ma il peggio arriva quando Vincent, lasciato in agosto un alloggio divenuto troppo caro e trasferitosi a pensione in casa della vedova Loyer, al n. 87 di Hackford Road, si innamora della figlia della sua padrona di casa e si vede respingere. È la sua prima, cocente delusione d’amore, il primo di quegli impossibili legami che saranno una costante della sua vita sentimentale.

Nella cupa disperazione del soggiorno londinese comincia a farsi strada in Vincent un atteggiamento mistico che via via si trasforma in vero e proprio furore religioso. Mano a mano che il suo fervore cresce, aumenta di pari passo il suo disinteresse per il lavoro alla Goupil. A nulla vale, nel maggio 1875, il suo trasferimento alla sede centrale di Parigi, caldeggiato dallo zio Cent nella speranza che il cambiamento possa giovargli. Sul finire del 1875 la sua posizione in azienda diventa insostenibile, Vincent si mostra sempre più svogliato al lavoro, arriva tardi, è irritabile e scortese. Finché, il primo aprile del 1876, la casa d’arte parigina, passata nel frattempo ai soci Boussod e Valadon, gli dà il benservito.


Per Vincent è quasi una liberazione, visto che pensa di aver trovato finalmente la sua vera strada. Così lascia Parigi e torna a Londra dove, in cambio di vitto e alloggio, diventa supplente in una scuola privata a Ramsgate.


A Natale torna dai suoi, a Etten. Sempre di più, appare in preda a un parossismo religioso che comincia a preoccupare i genitori. In qualche modo, viene convinto a non tornare a Londra, mentre il solito zio Cent si incarica di procurargli un posto di commesso nella libreria Blussé & Van Braam a Dordrecht. Il tentativo riesce però solo temporaneamente perché Vincent, che ha la testa altrove, continuando a inseguire il suo sogno mistico, si comporta al solito in modo negligente e scortese con colleghi e clienti. Alla fine l’ha di nuovo vinta lui e ottiene di lasciare anche questo impiego raggiungendo col padre un compromesso all’apparenza soddisfacente per entrambi: sarà lasciato libero di seguire la sua vocazione ma in modo tale da garantirsi uno sbocco vantaggioso, studiando cioè teologia all’università di Amsterdam.


Ma come si è già detto, a un certo punto Vincent decide di rinunciare: la fatica è troppa, la gratificazione minima. «Mi vengono ancora i brividi al solo pensarci. Fu il periodo peggiore della mia vita», ricorderà in una lettera a Theo due anni più tardi. Lui non vuole diventare un elegante predicatore della domenica, il suo cristianesimo è militante, lui vuole condurre la sua battaglia sul campo, al fianco di chi soffre. Nel luglio 1878 Vincent lascia quindi Amsterdam e torna a Etten.


Caparbio e ostinato, prosegue per proprio conto la missione di cui si sente investito, decidendo di trasferirsi nella regione mineraria del Borinage, nel Belgio meridionale, per portare conforto alle povere famiglie dei minatori, vivere con loro e sostenerli nella loro fatica con la lettura e la spiegazione della Bibbia. All’inizio del 1879 arriva dalla scuola evangelica di Bruxelles un parziale riconoscimento, la nomina temporanea a predicatore laico del vicino paese di Wasmes, con un compenso di cinquanta franchi mensili. Vincent sembra vicino a raggiungere il suo obiettivo ma la sua incapacità di essere “normale” compromette le cose ancora una volta. Infatti, interpretando in modo intransigente il dettato evangelico, inizia a vivere in assoluta povertà dedicandosi anima e corpo al suo prossimo. Di conseguenza si rifiuta di abitare in una casa dotata di comodità trasferendosi in una baracca, dorme per terra, mangia pane e acqua, cammina a piedi nudi, si infligge penitenze corporee, dona tutti i suoi averi ai bisognosi, cura con devozione gli infermi, anche quando si tratta di malattie contagiose come il tifo.


Ma tanto zelo non è ben visto dai superiori che decidono di non rinnovargli l’incarico. Invece di lasciar perdere, Vincent continua a oltranza la sua opera di evangelizzazione nel Borinage trasferendosi a Cuesmes. Solo contro tutti, vive nella più totale indigenza senza neppure più il conforto della corrispondenza con Theo. Nel 1880, infatti, i due fratelli smettono di scriversi fino al mese di luglio. Ormai anche il capitolo del predicatore è chiuso, Vincent si appresta a seguire un’altra vocazione, la definitiva stavolta, quella dell’artista.


Contadino presso il focolare (Etten, 1881); Amsterdam, P&N de Boer Foundation.

VAN GOGH
VAN GOGH
Enrica Crispino