Le parole dipinte a pocadistanza dalle bocche deipersonaggi presenti in alcuneopere medievali, lefrasi nei cartigli pronunciatedai santi in alcunicodici miniati, le strutturedidascaliche che accompagnanole figure nelle primitive Bibbieper i poveri, paiono collegare i soggettidipinti con la tipologia del fumetto, chenel senso letterale del termine nasce difatto verso la fine del XIX secolo.
Un capolavoro di immagini in sequenza cinetica, ovvero la tela ricamata di Bayeux (XI secolo), può essere considerato un lontano progenitore iconografico e linguistico dei “comics”? La presenza di una storia che si dipana su una striscia di tessuto lunga circa sessantanove metri e che comunica, con l’immediatezza delle immagini e con sintetici riferimenti scritti, una serie di scene, nomi dei personaggi principali, informazioni, usi e costumi, concetti, può indurre a pensare di essere di fronte a un “protofumetto”. Seguendo un senso di lettura da sinistra verso destra l’azione si dipana in sessanta scene, leggibili come moderne “vignette” con didascalie, spesso divise da elementi grafici costituiti da alberi o da costruzioni architettoniche. Ma un protofumetto deve avere necessariamente parole accanto alle figure nelle storie? Nei fumetti spesso vi sono intere pagine senza dialoghi.
che seguono la chioma fluente al vento
La Colonna traiana (113 d.C.) - dove sono narrate per immagini le guerre di Dacia, attraverso un lungo fregio spiraliforme che si avvolge, dal basso verso l’alto, su tutto il fusto della colonna - può essere considerata una antesignana dei fumetti? E i rilievi dell’antico Egitto, con le storie dei faraoni e dei loro dèi, con i geroglifici e i cartigli, o le raffigurazioni che sono inframmezzate da iscrizioni - utili a descrivere i soggetti raffigurati e a riportare i dialoghi fra i personaggi - possiamo considerarli fumetti “ante litteram”? Ovviamente la questione è difficilmente risolvibile, perché nel corso della storia l’umanità ha continuamente utilizzato le immagini per rappresentare narrazioni o per significare determinati concetti. La scelta ricadeva sulla forza iconica della sola immagine o anche sul contributo fornito dalla didascalia.
In questo articolo sintetico prendiamo in considerazione solo i parenti medievali dei fumetti moderni, presenti in affreschi o in codici miniati. Uno degli affreschi più antichi fra quelli conservati fino ai nostri giorni è a Roma, nella basilica di San Clemente. L’Iscrizione di san Clemente e Sisinnio (fine dell’XI secolo), dà visibilità anche al suono e al parlato in volgare e in latino di quattro personaggi che mettono in scena l’episodio tratto dalla Passio Sancti Clementis(1). Sisinnio ordina ai suoi servi di trascinare Clemente in prigione, ma questi si è liberato e così i due servitori, senza rendersene conto, stanno trascinando una pesante colonna al posto del santo.
Anche nell’Incontro dei tre vivi e dei tre morti (1258- 1266), affrescato nell’abside della cattedrale di Atri (Teramo), un apparato didascalico è posto sopra le figure dei nobili, del monaco e degli scudieri, e dà voce allo spavento e al brivido dell’allucinante visione macabra. Nell’Annunciazione (1333) realizzata da Simone Martini e Lippo Memmi, ora agli Uffizi, il messaggio verbale pronunciato dall’arcangelo si materializza visivamente nella forma di lettere dorate, che stanno in sospensione nel tempo e nello spazio e si dirigono verso Maria. Più che evocare il fumetto qui forse siamo più vicini a una prefigurazione della poesia visiva di Ketty la Rocca (1938-1976). Questa versione viene ripresa da Bicci di Lorenzo, nell’Annunciazione (1414) della pieve di Santa Maria Assunta a Stia (frazione di Pratovecchio Stia, in provincia di Arezzo) e da Beato Angelico nell’Annunciazione (1430 circa) di Cortona (Arezzo)(2). Parole d’oro su sottili cartigli rossi e blu sono pronunciate anche dai santi nella Crocifissione (1345-1348) di Bernardo Daddi, ora conservata nel Lindenau-Museum di Altenburg (Germania). Nel Trionfo della Morte (1357 circa) di Subiaco (Roma), su uno sfondo scarno ed essenziale a tinta ocra la signora ossuta sta per ghermire con la sua spada due giovani nobiluomini. Ha un ghigno agghiacciante, le orbite nere e cave. Dalla sua bocca fuoriescono parole, che seguono la chioma fluente al vento. Ignora gli anziani che la pregano, gli straccioni, i contagiati della peste. Sotto gli zoccoli del suo cavallo bianco giacciono già alcuni cadaveri. Nel Trionfo della Morte della chiesa di San Francesco a Lucignano (Arezzo), realizzata da Bartolo di Fredi attorno al 1375, la Morte, vestita con una tunica nera, è armata non solo di arco e frecce ma anche di falce che tiene nella cintura, rivolta verso i cadaveri calpestati dal suo destriero. Pronuncia parole imperiose e terribili in direzione dei nobili e cavalieri, intenti a dialogare sul lato destro dell’affresco mentre stanno cacciando: «Io non bramo se non de spegner vita, e chi mi chiama le più volte schivo, giungendo spesso a chi me torce el grifo».