I CAPOLAVORI:DA BIANCANEVE A FANTASIA

Più che nei cortometraggi di serie come le ricordate Alice Comedies, oppure nelle Silly Symphony, letteralmente “sinfonie bislacche”,

la dimensione artistica di Walt Disney e la sua capacità di pescare dall’immenso patrimonio dell’illustrazione fiabesca, ma pure della storia dell’arte tout court, emersero nei lungometraggi che ebbero inizio con un evento epocale per tutta la storia del cinema: Snow White and the Seven Dwarfs, titolo italiano Biancaneve e i sette nani. Passare dai corti al lungometraggio non fu né una scelta facile, né voluta, ma obbligata (al di là dell’incontenibile spinta creativa di Walt) perché il gusto del pubblico iniziò a cambiare e la distribuzione faticava a sostenere la pratica di abbinare il film breve a quello lungo. Si capì che, in poco tempo, il cortometraggio sarebbe rimasto, di fatto, senza mercato. Walt Disney aveva il polso della situazione e si preparò per tempo: Biancaneve fu progettato già nel 1934 per due milioni di dollari d’investimento e distribuito in tutti gli Stati Uniti a partire dal 4 febbraio 1938. In realtà gli Studios stavano rischiando il tutto per tutto e Walt era considerato dai suoi collaboratori un folle; ma i fatti gli dettero ragione e l’opera ebbe un immenso successo. I motivi furono molteplici, a cominciare dalla pluralità di livelli narrativi che s’intrecciavano intorno alla storia principale tratta dalla fiaba dei fratelli Grimm. Disney si allontanò volutamente dai vari modelli iconici che allora andavano per la maggiore, come quello dell’illustratore tedesco Franz Jüttner che, nel 1910, ne aveva pubblicato a Magonza una versione dove l’atmosfera decadente, fra romanico e bizantino, ricalcava quella di certa pittura nazarena(16). Il Medioevo vagheggiato da Walt Disney, invece, guardava a un Neogotico stilizzato e semplificato. C’era stato, poi, un grande lavoro di arricchimento che aveva trasformato i nani in veri comprimari, ciascuno con una precisa personalità e una propria caratterizzazione fisionomica.


Biancaneve e i sette nani (1937), frame con la regina-matrigna che tiene in mano lo scrigno che crede contenga il cuore di Biancaneve.


Maestro di Naumburg, Ritratto scultoreo di Uta di Ballenstedt (1250 circa); Naumburg (Germania), duomo, coro. Fu Wolfgang Reitherman, detto Woolie, sbarcato con il padre e la madre nel 1912 a Ellis Island ed entrato negli Studios nel 1933, a suggerire a Walt Disney di utilizzare i tratti della bella Uta per dare un volto alla regina Grimilde. Gli aveva mostrato la lussuosa edizione del 1924 della serie “Blau Bücher” dedicata alla scultura tedesca medievale.

(16) Su Franz Junter: R. Vierhaus (a cura di), Deutsche Biografische Enzyclopädie, V, Monaco 2006, p. 410. Sui nazareni: K. Gallwitz (a cura di), I Nazareni a Roma, catalogo della mostra (Roma, Galleria nazionale d’arte moderna, 23 aprile-31 maggio 1981), Roma 1981. Su Biancaneve e i sette nani di Walt Disney: O. De Fornari, op. cit. pp. 44-45. Si veda pure: G. Nader, op. cit., pp. 61-65.

La protagonista guadagnò doti e qualità che andavano dalla capacità di rivaleggiare con il canto degli usignoli all’ingenua bellezza di un volto che ricordava quello di Betty Boop (in quegli anni all’apice del successo), ma senza la sua malizia e i tratti caricaturali. Non meno importante fu la cura con cui fu immaginata Grimilde, la regina cattiva, la cui bellezza perversa contrastava volutamente con quella ingenua di Biancaneve al punto da sembrare quasi più attraente della vera protagonista. Il modello di riferimento, per questo personaggio, come ha dimostrato Stefano Poggi, fu il Ritratto di Uta di Ballenstedt, che abbellisce il coro del duomo di Naumberg. Margravia di Meissen e moglie di Eccardo II che nel coro l’affianca con una sua statua, condivise il ruolo di modella per Grimilde con attrici hollywoodiane come Joan Crawford, Katharine Hepburn e Gale Sondergaard(17)

L’aspetto affascinante ma algido della sovrana doveva poi stridere con le fattezze di vecchia con le quali si sarebbe presentata alla fanciulla per offrirle la fatidica mela. Si rivelava, così, la vera natura di quella donna, solo in apparenza bellissima, ma in realtà una strega come quelle dipinte da Goya sulle pareti della Quinta del Sordo(18). Le invenzioni di Disney per il suo primo lungometraggio non si fermano qui e sarebbe impossibile ricordarle tutte; ma di quella della foresta animata dove Biancaneve fugge terrorizzata, non si può tacere. In un’atmosfera d’incubo, fra tuoni, pioggia, vento e fulmini, i rami nodosi degli alberi paiono animarsi e diventare enormi mani minacciose che vogliono ghermire la fanciulla terrorizzata.

Disney non era nuovo all’uso degli alberi animati: ne aveva fatto occasione d’intrattenimento con una delle prime Silly Symphony del 1932, intitolata per l’appunto Flowers and Trees, ossia “Fiori e alberi”, dove questi protagonisti vegetali agitavano come braccia rami frondosi, o allargavano le cavità dei tronchi a mo’ di bocca che si apre, parla o sbadiglia. 

Con Biancaneve, però, l’elaborazione era molto più matura, certo con reminiscenze colte dagli splendidi disegni del grande illustratore di fiabe Arthur Rakham, fino alla Selva dei suicidi di dantesca memoria(19). Il cinema di animazione, adesso, era cambiato per sempre.


Franz Jüttner, La matrigna vende la mela a Biancaneve, illustrazione per Schneewittchen (Biancaneve e i sette nani), Magonza 1910.

(17) S. Poggi, La vera storia della Regina di Biancaneve, dalla Selva Turingia a Hollywood, Azzate 2007, in particolare pp. 41-70.
(18) Su Goya e la Quinta del Sordo: S. Borghesi, G. Rocchi, Goya, collana “I Classici dell’Arte”, 5, Milano 2003, pp. 68-69.
(19) La Selva dei suicidi è nel Canto XIII dell’Inferno nella Divina commedia di Dante. Per i “debiti” di Walt Disney nei confronti di Doré, si veda: Ph. Kaenel (a cura di), Gustave Doré. L’imaginaire au pouvoir, catalogo della mostra (Parigi, Musée D’Orsay, 11 febbraio-11 maggio 2014), Parigi, pp. 298-330. Su Arthur Rackham: D. Hudson, Arthur Rackham: His Life and Work, (II ed. Londra 1974. Bisogna poi rammentare che due degli animatori dello staff di Biancaneve e i sette nani, ossia Gustaf Tenggren e Albert Hurter, conoscevano l’opera di Arthur Rackham. Sulle Silly Simphony e, in particolare, su Flowers and Trees, che fu il primo cortometraggio a colori, si veda: G. Nader, op. cit., pp. 53-54.

Biancaneve e i sette nani (1937), frame con il personaggio della regina-matrigna;


Biancaneve e i sette nani (1937), frame con il personaggio della strega.

Francisco Goya, Due vecchi che mangiano la zuppa (1821-1823); Madrid, Museo Nacional del Prado. Il dipinto fa parte della serie delle cosiddette “pinturas negras” (pitture nere) dipinte dal pittore aragonese sui muri della propria casa. All’inizio dell’estate del 1935, Walt e il fratello Roy partirono per un viaggio in Europa alla ricerca di spunti artistici per la lavorazione di Biancaneve.


Biancaneve e i sette nani (1937), locandina con gli alberi della foresta nella quale scappa Biancaneve.

La seconda opera importante in questo settore fu quella di Pinocchio, il romanzo per ragazzi scritto da Carlo Collodi che era diventato un best-seller nel mondo e che era stato illustrato da Attilio Mussino per l’edizione del 1911, stampata dalla Bemporad-Marzocco di Firenze di cui aveva fatto la fortuna. Le splendide immagini di Mussino coglievano in pieno lo spirito di un toscanissimo Pinocchio, ambientato nei paesini della Lunigiana, fra strade strette, campagna e mare. Pure l’aspetto del burattino di legno, protagonista del romanzo, aveva la fisicità dei ragazzi di allora, magri e segaligni perché non c’era molto da mangiare nell’Italia di quel tempo. Walt Disney stravolse del tutto l’impostazione originale del fiorentino Collodi e ambientò il racconto nel Tirolo. Non si pensi, però, a una scelta arbitraria. Se Geppetto era un falegname così abile da far vivere addirittura un pezzo di legno, doveva appartenere alla terra per eccellenza degli intagliatori in legno. Così, la casa del “papà” di Pinocchio divenne un laboratorio stracolmo di giocattoli e di orologi a cucù, tutti di legno.


Pinocchio (1940), frame con i personaggi del protagonista e del Grillo parlante. Quella del Grillo parlante nella versione Disney fu la trasposizione dello spirito statunitense nel piccolo personaggio che, a differenza di quello di Collodi, non è perdente; ma guida con positività e fiducia il percorso di crescita di Pinocchio.


Arthur Rackham, illustrazione per J. M. Barrie, Peter Pan in Kensington Park, Londra 1906.

Fu questa una precisa scelta di Disney che ne affidò la realizzazione a Gustaf Tenggren e Albert Hurter i quali non solo si erano già sperimentati con successo nella casetta di Biancaneve, ma sapevano bene cosa dovevano disegnare, visto che il primo era di origine svedese e il secondo di Zurigo, la patria degli orologi. Anche il protagonista fu riveduto secondo le esigenze di Walt che voleva un bambino, non un ragazzo, che potesse giustificare i suoi errori per pura ingenuità, senza quella componente maligna che traspare, invece, dal racconto di Collodi ed è tipica del carattere dei più giovani. Tuttavia, in qualche cosa, Disney tenne presente i suggerimenti iconografici di Mussino. È il caso dell’Omino di burro, il mellifluo postiglione della sciagurata carovana che conduceva i ragazzi scansafatiche al Paese dei balocchi, dove si sarebbero trasformati fatalmente in asinelli. Il carattere all’inglese dell’elegante cocchiere immaginato da Mussino ritorna nel personaggio di Disney che, però, non tarda a rivelare la sua faccia demoniaca. Così il film di Walt Disney è un’opera a sé stante, omaggio al genio di Carlo Collodi che rifulge, però, di quello di Walt Disney. Infatti - all’inizio - non fu capito e venne, nonostante il successo, ritenuto un tradimento del testo originale, piuttosto che un altro capolavoro, come in effetti è. Il fatto è che Walt Disney aveva una consapevolezza ben chiara del mezzo espressivo dell’animazione e sapeva bene che sarebbe stato un errore pensare a una pedissequa restituzione filmica(20)

La maturità raggiunta dal genio di Walt lo spingeva ormai verso un impiego autonomo del cinema animato, di cui vedeva le immense potenzialità che desiderava sfruttare in ogni risvolto.


Attilio Mussino, Pinocchio, illustrazione per C. Collodi, Le avventure di Pinocchio, Firenze 1911.

(20) Sul Pinocchio di Walt Disney: G. Nader, op. cit., pp. 67-69. Si veda pure O. Fornari, op. cit., p. 52, non del tutto condivisibile. Su Attilio Mussino: A. Faeti, Guardare le figure. Gli illustratori italiani dei libri per l’infanzia, Torino 1972, p. 195.

Pinocchio (1940), frame con il personaggio del cocchiere del Paese dei balocchi. La figura del cocchiere di Pinocchio s’ispirò al prototipo di Attilio Mussino (l’Omino di burro), accentuando il suo carattere inglese e rivelando, nei tratti del volto, una chiara ambiguità che lo faceva passare dall’aspetto mellifluo e rassicurante a quello irascibile e addirittura demoniaco.


Attilio Mussino, L’omino di burro, illustrazione per C. Collodi, Le avventure di Pinocchio, Firenze 1911.

Lo avrebbe dimostrato con un altro lungometraggio ancor più rivoluzionario: Fantasia, uscito nei cinema in quello stesso 1940. È stupefacente notare come le motivazioni commerciali e le difficoltà economiche fossero, per Disney, stimolo alla creazione di opere che avrebbero segnato per sempre la storia del cinema.


Walt Disney, Fantasia (1940), frame con paesaggio (1940). I colori fatati dei paesaggi di Fantasia sono il frutto delle riflessioni cromatiche di Walt Disney e della sua capacità di vedere il mondo con gli occhiali rosa, dalle tele degli esoterici Nabis agli astrattismi di Otto Fischinger che collaborò per qualche tempo con lui.


Paul Rason, Paesaggio nabis (1890).

Bisogna infatti sapere che già alla metà degli anni Trenta era in lavorazione un film dedicato a Mickey Mouse nelle vesti di apprendista stregone, ma che gli alti costi di produzione avevano consigliato di accantonare il progetto, fin quando Walt comprese che, paradossalmente, mirando a un vero lungometraggio, i costi si sarebbero diluiti. Fu questa la ragione economica per cui nacque Concert Feature (“sembianza del concerto”, o meglio, “immagine di concerto”) come si chiamò in origine Fantasia, titolo italiano che poi prevalse, scelto dal distributore del film, la RKO Radio Pictures. In greco, “phantasia”, alla lettera, vuol dire “rappresentazione” ed è questa l’idea che si trova alla base di questa straordinaria opera che, oltretutto, fu la prima ad adottare un sistema stereofonico, proprio perché doveva rappresentar la musica per immagini. Del resto, esperimenti in questo senso ce ne erano già stati, a cominciare dalle ricerche di František Kupka (meglio noto come Frank Kupka), il pittore austro-ungarico che nel 1936 era stato inserito nella grande mostra che si era aperta al Museum of Modern Art di New York, intitolata Cubism and Abstract Art

Di tale tendenza, Disney era di sicuro a conoscenza perché invitò a collaborare a questo progetto un artista e animatore come Oskar Wilhelm Fischinger.


Vincent van Gogh, Notte stellata sul Rodano (1888); Parigi, Musée d’Orsay. Gli elementi nipponici non appaiono solo come citazioni dirette, ma sono anche filtrati dalla cultura europea dell’Ottocento francese che aveva dimestichezza con le stampe giapponesi. I colori visionari di Van Gogh, radice di molta pittura occidentale del XX secolo, si accendono nei fotogrammi di Fantasia.


Utagawa Hiroshige La diga di bambù vicino al ponte di Kyōbashi, dalla serie Cento famose vedute di Edo (1857).

Non lontano dalla lezione di Kandinskij, Fischinger si era rifugiato negli Stati Uniti nel 1936 per fuggire all’oppressione nazista. Walt non fu soddisfatto delle proposte e la collaborazione s’interruppe, anche se l’episodio mostra tutta la profonda cultura degli Studios Disney. Oggi tutto sembra scontato, visto che ci si è abituati alle varie interpretazioni luminose e iconiche dei suoni, da quelle psichedeliche degli anni Settanta del XX secolo, fino al salvaschermo del computer che segue con colori e forme la musica sintetica; ma, allora, era assolutamente rivoluzionario interpretare in questo modo la Toccata e fuga in re minore di Bach. Concepito come un vero evento concertistico dove, oltre alle orecchie, erano protagonisti gli occhi, Fantasia doveva, in origine, essere proiettato in sale cinematografiche che assumevano le modalità di quelle da concerto, con posti prenotati e un quarto d’ora di pausa fra un tempo e l’altro. Le tipologie di rapporto fra musica e immagini erano tre: il commento musicale a un racconto preciso (come l’Apprendista stregone), l’interpretazione della musica attraverso una storia (la Danza delle ore, dove un alligatore maschio s’innamora di un ippopotamo femmina) e la musica pura di cui si è già parlato. Le declinazioni di questi modelli, però, passano anche dall’impiego di citazioni di opere d’arte tutt’altro che secondarie. Così, non sarà difficile scorgere nelle tinte innaturali dei paesaggi popolati da intraprendenti centauri e castigate centauresse (forse esemplate sul modello di Il fauno e la centauressa, scolpiti in bronzo da Augustine Courtet nel 1849 per il Parc de la Tête d’Or a Lione) che si corteggiano al suono della Pastorale di Beethoven, le scelte cromatiche dei Nabis. Nella deliziosa Danza cinese, poi, si scorge una reminiscenza delle soluzioni grafiche di Leopold Stolba e delle sue figure sotto la pioggia. Così, immagini che paiono solo ingenue invenzioni degli Studios sono, in realtà, ricche di riferimenti, come quella dei cinesi con le lanterne che attraversano il ponte sull’acqua, derivate dalle incisioni di Hokusai, dal celebre Battersea Bridge di Whistler e dalla Notte stellata sul Rodano di Van Gogh che pure ispirò altre immagini come quella delle lucciole luminose e varie scene di Danza araba che rimandano, però, anche alla sensibilità cromatica di Odilon Redon. Infine, il mostruoso demone, protagonista di Notte sul monte Calvo (il massiccio nell’Idaho, ma pure il Calvario di Gerusalemme) ha i tratti dei “lokapala”, i terribili signori dello spazio della religiosità buddista giapponese, attribuiti a quel personaggio inquietante dall’illustratore danese Kay Nielsen che collaborò al lungometraggio(21).


Fantasia (1940), sequenza Una notte sul monte Calvo, frame con Chernabog, il demone della montagna.


“Lokapala” (dinastia Tang, 618-907). I “lokapala” sono i guardiani (o sovrani) delle quattro direzioni dello spazio e, quindi, numi tutelari del cielo e del mondo che presidiano l’universo. Di derivazione indù, li troviamo nella tradizione indiana, cinese, giapponese e coreana, ma pure tibetana e mongola.

(21) Sui “lokapala”: H. Tanaka (a cura di), Capolavori della scultura buddhista giapponese, catalogo della mostra (Roma, Scuderie del Quirinale, 29 luglio-4 settembre 2016), Milano 2016, pp. 38-139. Kay Nielsen collaborò con la Disney dal 1939 al 1941, in particolare nella Notte sul monte Calvo cui cedette quell’atmosfera orientaleggiante che caratterizzava le sue illustrazioni. In proposito: A. Robin, Walt Disney and Europe, Londra 1999, p. 162. Sui Nabis: S. Salvagnini, I Nabis, fascicolo monografico allegato ad “Art e Dossier”, 304, novembre 2013. Su Stolba: R. Weissenberger, Die Wiener Secession, Vienna 1971, p. 275. Su Kupka: S. Fauchereau, Kupka, Milano 1989; su Fischinger: W. Moritz, Optical Poetry: The Life and Work of Oskar Fischinger, Bloomington 2004. Su Fantasia: O. Fornari, op. cit., pp. 87-91. Si veda pure: G. Nader, op. cit., pp. 70-74.

Fantasia (1940), sequenza Suite dello Schiaccianoci, frame con i funghi trasformati in ballerini cinesi. È del tutto evidente un’attenzione alla grafica di stampo Art Nouveau derivata dalla cultura artistica della Secessione viennese. Il remake di Fantasia nel 2000 volle essere un risarcimento alle incomprensioni da parte di una critica e di un’epoca che non era ancora pronta a comprendere la capacità creativa e innovativa di Walt Disney e la sua attenzione all’arte più contemporanea.


Vasilij Kandinskij, Blu di cielo (1940); Parigi, Musée National d’Art Moderne - Centre Georges Pompidou.

DISNEY E L'ARTE
DISNEY E L'ARTE
Marco Bussagli
La presente pubblicazione è dedicata a Disney e l'arte. In sommario: Un nome per sognare; L'ambiente familiare e gli esordi; Topolino e la sua banda; I capolavori: da Biancaneve a Fantasia; Disney l'americano: i racconti dello zio Tom; I grandi film: da Cenerentola a Pocahontas; Disney, fra arte e anatomia; Fra effetti speciali ed elettronica: la Pixar; I parchi di divertimento. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.