TOPOLINOE LA SUA BANDA

Ubbe Ert Iwerks, statunitense, ma olandese d’origine, era il più dotato e talentuoso fra i collaboratori di Walt Disney e, non per nulla, pure quello che aveva avuto lo stipendio più alto: quasi cinque volte superiore rispetto agli altri dipendenti.

Anzi, avrebbe avuto anche il ruolo di socio. Del resto, era suo anche quell’Oswald di cui Walt aveva tratteggiato il carattere, scritto le gag e le sceneggiature. L’idea del nuovo personaggio, però, va riferita al genio di Walt Disney. La leggenda narra che Walt abbia avuto la folgorazione sul treno che da New York lo riportava a Hollywood, insieme alla moglie Lillian, dopo il disastroso incontro con Charles Mintz. In quel viaggio, ripensando ai tempi di Kansas City, si ricordò che - quando si tratteneva fino a tardi - un gruppo di topolini venivano a fargli compagnia infilandosi nel cestino della carta straccia. Uno, che gli era più simpatico degli altri, lo prendeva e lo metteva in una gabbietta sulla scrivania. Così - proseguiva Walt in un racconto narrato centinaia di volte - pensò che un topo sarebbe stato adatto per una nuova serie animata e comunicò a Lillian che l’avrebbe chiamato Mortimer. La donna, però, bocciò la proposta e suggerì Mickey, ossia Michelino. Tuttavia, l’elaborazione grafica fu opera di Iwerks anche se a questa Disney non fu affatto estraneo, come mostrano i bozzetti ancora conservati negli Studios con le indicazioni di Walt. Del resto, da un coniglio a un topo, il passo fu assai breve. Bastò assottigliargli le zampe, la coda e arrotondargli le orecchie per ottenere un nuovo Oswald “rattizzato”. Neppure l’idea del topo era particolarmente originale. In un mondo di cartoni popolato da animali come Oswald, il gatto Felix o Krazy Cat, un topo non era certo un personaggio inimmaginabile, anche perché Ignaz Mouse, l’antagonista dispettoso di Krazy Cat già esisteva.


Via il gatto, Topolino balla (1929), sesto cortometraggio della serie Topolino.


Mickey Mouse, il personaggio dei cartoni animati, icona della Walt Disney Company. Il nome che Walt Disney voleva dare al suo nuovo personaggio era Mortimer. Fu la moglie Lillian a giudicarlo «troppo sdolcinato» e a suggerire Mickey.

Fu la costruzione del carattere di Mickey Mouse (il Topolino italiano) la vera novità del personaggio: il suo spirito tipicamente americano di “self made man”, capace di dar corpo all’ideale della persona semplice, leale, sempre pronta a dare una mano e il meglio di sé nel momento del bisogno. Innamoratissimo di Minnie che bacia con trasporto, Mickey Mouse è diventato una sorta di eroe eponimo dell’umanità del XX secolo che ha fiducia nel futuro perché «ha saputo interpretare le aspettative di tutte le età. La sua immagine è comparsa tanto sui piatti per la pappa dei bambini di mezzo mondo, quanto sulle tute mimetiche dei soldati americani che sbarcarono in Normandia nel giugno del 1944»(9). C’era poi, nel disegno ancora acerbo delle prime versioni grafiche, «qualcosa di aerodinamico che rende accettabile l’umanizzazione così sbrigativa del disegno: l’attaccatura dei capelli (simile a una cuffia, riunisce Lindbergh e Mefistofele), gli ovali neri degli occhi, […] soprattutto quei dischi fungenti da orecchie, che sembrano potersi staccare e rotolare in avanti da un momento all’altro […] Non la caricatura di un animale come il gatto Felix o il topo Ignazio, e nemmeno quella di un uomo, ma uno scattante automa tutto angoli e cerchi»(10). In altre parole, Mickey Mouse aveva nel suo aspetto qualcosa di moderno. Proprio per questo risultava, agli occhi della gente, l’immagine stessa di quell’America dinamica e giovane che era il sogno di tutti. In questo senso, già all’inizio degli anni Venti non erano mancate adesioni statunitensi al movimento futurista che esaltava la modernità, come testimonia la grande arte di Joseph Stella e il suo inno per immagini a New York, trasformata in idolo moderno da adorare col polittico del suo The Voice of the City dipinto fra il 1920 e il 1922 e conservato al Newark Museum di Washington. La realtà, però, era assai diversa dalla fantasia perché l’America si avviava a grandi passi verso il baratro del “Big Crash”, la “grande Depressione” del 1929 da cui, grazie all’iniezione di fiducia del “New Deal”, il “nuovo corso” di Frank Delano Roosevelt, si sarebbe risollevata anche con il contributo di Topolino. Mickey Mouse rappresentava tutto questo e non è un caso che la prima avventura di cui fu protagonista, il cortometraggio Crazy Plane del 1928, fosse ispirato alla grande impresa di Charles Lindbergh che l’anno precedente, con la prima trasvolata atlantica in solitaria e senza scalo, aveva lasciato il mondo a bocca aperta e senza fiato.


Orazio (Horace Horsecollar), Clarabella (Clarabella Cow) e Minni (Minnie Mouse) si apprestano a trasmettere uno show radiofonico dalla stalla di Topolino, nel cortometraggio The Barnyard Broadcast (1931), Disney Cartoon. Orazio e Clarabella sono ancora legati al mondo rurale statunitense che ricopre, in quegli anni, un ruolo altrettanto importante quanto la dimensione industriale che inizia a essere preponderante. In questo senso i due personaggi interpretano bene queste corde dell'animo americano.

(9) M. Bussagli, F. Fossati, op. cit., p. 228. Per la nascita di Mickey Mouse e la sua “leggenda”: O. De Fornari, Walt Disney, Perugia 1995, pp. 15-20.
(10) O. De Fornari, op. cit., p. 15.

Il successo venne, però, con Steamboat Willie (“Il vaporetto Guglielmo”), un cortometraggio che aveva un innovativo sistema di sincronizzazione fra la musica, i suoni e le immagini per cui è memorabile la scena in cui Mickey Mouse (che qui indossa già le scarpe, ma non ha ancora i guanti) “suona”, bistrattandolo, il gatto di bordo e lo muta in strumento musicale. L’altra novità di Mickey Mouse è che non nasce da solo, ma subito si presenta affiancato da altri personaggi comprimari, a cominciare da Minnie, la sua dulcinea, che - appena può - bacia con passione, come nel caso del cortometraggio The Fire Fighters (“I pompieri”), uscito nel 1930(11). La pirotecnica coppia Walt e Ub, però, non si accontentò della sola fidanzata e dette vita a una schiera di compagni di avventure e al perfido antagonista, ossia Terrible Tom (poi noto come Peg Leg Peter, il nostro Pietro Gambadilegno), già presente in Steamboat Willie, i quali avranno, almeno per un certo periodo, pure una vita propria. Così, nel cortometraggio intitolato The Barnyard Broadcast, uscito nel 1931, insieme all’immancabile Minnie, Orazio (Horace Horsecollar) e Clarabella (Clarabella Cow), un cavallo e una mucca un po’ bislacchi, organizzano una singolare emittente radio nella stalla dove, di nuovo, la musica è protagonista. Proprio quando gli Studios stavano raccogliendo i frutti di tutto questo lavoro, nel 1930, Ub Iwerks, il geniale disegnatore, l’amico della prima ora, andò via per lavorare con Pat Powers (l’inventore della macchina per coordinare suono e immagini) e fondare gli Iwerks Studios. 

Non si possono analizzare qui le ragioni di questo “divorzio” epocale di cui molto si è scritto. Tuttavia, alla base del gesto ci doveva essere la convinzione da parte di Ub che il suo lavoro non fosse apprezzato adeguatamente e, da parte di Walt, la certezza che il suo amico non avesse nulla di cui lamentarsi, visto che era socio al venti per cento della Disney Brothers Productions. I destini di Walt e di Ub - irrimediabilmente - si separarono e, mentre gli Studios di Iwerks fallirono nel 1936, quelli di Disney iniziarono una marcia trionfale verso successi sempre più consistenti che dimostrarono come la capacità inventiva e trainante fosse quella di Walt Disney(12).


Peg Leg Pete, noto in Italia come Pietro Gambadilegno, nel cortometraggio Moving Day (Giornata di trasloco) (1936), Disney Cartoon, è un aggressivo ufficiale giudiziario che obbliga Topolino, Paperino e Pippo (da poco unitosi agli altri due) a sgombrare. Peg Leg Pete nacque nel 1925, al tempo delle Alice Comedies, dalla matita di Ub Iwerks e dall’inventiva di Walt Disney. Concepito originariamente come un orso, divenne definitivamente un gatto con l’avvento di Mickey Mouse. Gambadilegno, infatti, è il principale antagonista di Topolino.

(11) Su Joseph Stella: W. Corn, An Italian in New York in Eadem, The Great American Thing: Modern Art and National Identity, 1915-1935, Berkeley 1999, pp. 135-190. Sulla relazione fra il “New Deal” e le scelte di Walt Disney: M. Ciotta, Walt Disney. Prima stella a sinistra, Milano 2010.
(12) Sul ruolo e sul rapporto fra Walt Disney e Ub Iwerks (che poi rientrò a lavorare negli Studios), cfr.: G. Nader, op. cit., pp. 50-51. Si veda pure L. Iwerks, J. Kenworthy, The Hand Behind the Mouse: an Intimate Biography of Ub Iwerks, the Man Walt Disney Called the Greatest, New York 2001, pp. 36-37 e 53-54, dove, sia pur tardivamente, sono riconosciuti i meriti di Ub Iwerks nella creazione grafica di Mickey Mouse.

Infatti, il 1934 fu un anno cruciale per la Disney Brothers Productions giacché Mickey Mouse si avviava a divenire un successo planetario, tanto da suggerire agli ingegneri della FIAT di chiamare con il nomignolo di “Topolino” quella che sarebbe stata l’automobile più popolare della penisola, la 500, il che dimostra come il carattere di modernità del “topo” fosse chiaramente percepito anche al di là dell’oceano. Walt, però, non si accontentava e, quell’anno, inventò un altro protagonista dei suoi cortometraggi che avrebbe eguagliato quasi il successo del primo: Donald Duck cioè Paperino. «La nascita di Donald Duck […] è legata indissolubilmente alla sua voce dal caratteristico timbro un po’ stridulo. Anzi, si può dire che sia nata prima la voce e poi il personaggio perché l’idea venne a Walt Disney ascoltando le imitazioni radiofoniche di Clarence Nash» attore e doppiatore statunitense che, da qui, ricavò il nomignolo di Ducky(13). La prima apparizione di Donald Duck risale, appunto, al 9 giugno 1934 nel corto a colori The Wise Little Hen (“La gallinella saggia”), riduzione filmata della fiaba russa La gallinella rossa che nel 1911 aveva avuto un’edizione americana con illustrazioni di Jessie Willcox Smith allora noto per aver illustrato la fiaba Heidi

Come si vede, anche in queste scelte in apparenza slegate, la conoscenza favolistica di Disney giocò un ruolo tutt’altro che secondario e, del resto, anche la proliferazione di animali nel suo universo animato non poteva prescindere da rimandi alla tradizione classica, come quella di Esopo, oggetto d’iniziative editoriali di tutto rispetto, come quella di Walter Crane che illustrò varie favole in una lussuosa edizione intitolata Baby’s Own Aesop, nota tanto a Londra quanto a New York. Subito Disney capì le potenzialità di quel papero che poteva essere il contraltare di Mickey Mouse. Tanto assennato era il topo, quanto irascibile era il papero il cui nome rimandava a una chiara origine scozzese; il che, di per sé, non faceva che confermarne il carattere. Tuttavia, non è possibile scrivere di Paperino senza fare riferimento a Carl Barks, l’inventore della città di Duckburg, la Paperopoli della nostra infanzia, patria di tutta la genia dei paperi disneyani(14). In meno di cinque anni, insieme a Paperino, era nata quella che tutti definivano la “banda Disney”, la quale, oltre a Minnie, Orazio, Clarabella e Gambadilegno di cui si è già detto, annoverava personaggi come the Pup (1931) il nostro Pluto, affettuoso e fedele cane di Topolino, Goofy (1932), Pippo, il suo più caro amico, un po’ svampito, ma talvolta inaspettatamente acuto, protagonista - insieme a Mickey Mouse - d’innumerevoli avventure che ebbero tutte anche una dimensione fumettistica. Basterà, infatti, ricordare il numero 1 di “Topolino” per la prima volta nella versione a libretto, uscito nel 1949 in Italia, che si poneva come felice epigono di quella fortunata serie di “strip” quotidianamente uscite su una miriade di giornali americani, a partire dagli anni Trenta.


Goofy, meglio noto in Italia come Pippo, si esibisce in un esilarante concerto finale nel cortometraggio Mickey’s Amateurs (I dilettanti di Topolino) (1937), Disney Cartoon.


Il numero 1 di “Topolino” per la prima volta nella versione a libretto, uscito nel 1949. In origine “Topolino” aveva l’aspetto di un giornale, così come lo era, per esempio, il “Corriere dei Piccoli” che mantenne sempre questo formato anche quando divenne “Corriere dei Ragazzi”. “Topolino”, invece, acquisì quello di libro, con la costola gialla, il numero e l’anno di edizione.

(13) M. Bussagli, F. Fossati, op. cit., p. 98. Sulla “Topolino” si veda: E. Deganello, Fiat 500, Vimodrone 2002.
(14) Su Carl Barks: M. Bussagli, F. Fossati, op. cit., pp. 365-366. Per Walter Crane, si veda, per esempio, lo stile art nouveau di una scena come La volpe e la gru (p. 19), nel suo Baby’s Own Aesop, edito a Londra e a New York nel 1887. Una giusta riflessione di Oreste De Fornari (op. cit., p. 21): «I personaggi di Disney hanno l’aspetto fisico degli animali e le motivazioni psicologiche degli uomini, senza diventare mai semplici riproduzioni degli animali e degli uomini che esistono nella realtà».

Non è possibile qui scrivere in maniera approfondita dell’importante contributo italiano alla diffusione delle storie disneyane di Topolino e della sua banda che non si limitò a una semplice traduzione dalla madrepatria, ma costituì un apporto originale, con “matite” che crearono nuovi personaggi, come Brigitta, Trudy, Filo Sganga, Atomino Bip Bip e Paperetta Yè Yè, tutti nati dalla fantasia di Romano Scarpa, tanto per fare un esempio. Non solo, ma la dimensione artistica italiana è stata, anche recentemente, motivo d’ispirazione per le storie di Topolino e la sua banda, segno evidente che - anche dopo la scomparsa del suo fondatore - il punto di riferimento dell’arte costituiva una costante nel mondo Disney. Sarà sufficiente ricordare una storia divertente come Pippo della Francesca e il ritratto del complotto, uscito sul numero 2926 di “Topolino” del dicembre 2011. Del resto, lo stesso Walt Disney aveva interessi artistici ed è noto il suo rapporto con Salvador Dalí, incontrato per realizzare un film comune che non vide mai la luce. A questo episodio realmente accaduto nel 1949 si è ispirato il fumetto intitolato Topolino e il surreale viaggio nel destino, apparso sul numero 2861 del 2010. Non fu, comunque, questa la prima volta in cui l’eroe disneyano si ritrovò catapultato nel mondo di un artista. Non si potrà, infatti, non citare il lungo episodio in cui Mickey Mouse è alle prese con Phantom Blot, l’italiano Macchianera, che si aggirava nel labirintico mondo di Escher(15). Per tutti questi motivi, Mickey Mouse stesso divenne un soggetto d’arte e un personaggio da ritrarre, al pari degli altri grandi della terra interpretati da Andy Warhol, che - dedicandogli un’opera - ne fece una vera icona.


“Topolino”, n. 2861, 28 settembre 2010, copertina. La copertina s’ispira soprattutto a due opere celebri di Salvador Dalí. Gli orologi che si sciolgono rimandano a La persistenza della memoria, dipinta nel 1931 e oggi conservata al MoMA - Museum of Modern Art di New York. L’altra fa riferimento a Vestigia ataviche dopo la pioggia, del 1934, appartenente a una collezione privata.


Salvador Dalí e Walt Disney nel 1949. In occasione della mostra Salvador Dalí. Il sogno si avvicina (Milano, Palazzo reale, 22 settembre 2010 - 30 gennaio 2011), il settimanale “Topolino” celebra l’incontro tra l’artista catalano e Walt Disney avvenuto nel 1946 negli Disney’s Hollywood Studios per lavorare alla realizzazione di un cortometraggio ispirato alla ballata del compositore Armando Dominguez dal titolo Destino. Il film però rimase incompiuto per molto tempo, solo nel 2003 la pellicola fu portata a termine da Roy Disney (nipote di Walt).

(15) Su Mickey Mouse ed Escher: M. Bussagli (a cura di), Escher, catalogo della mostra (Roma, Chiostro del Bramante, 28 ottobre 2014 - 13 marzo 2015), Milano 2014, pp. 189 e 215. Su Romano Scarpa: L. Boschi, L. Gori; A. Sani, Romano Scarpa - Un cartoonist italiano tra animazione e fumetti, Bologna 1988.

DISNEY E L'ARTE
DISNEY E L'ARTE
Marco Bussagli
La presente pubblicazione è dedicata a Disney e l'arte. In sommario: Un nome per sognare; L'ambiente familiare e gli esordi; Topolino e la sua banda; I capolavori: da Biancaneve a Fantasia; Disney l'americano: i racconti dello zio Tom; I grandi film: da Cenerentola a Pocahontas; Disney, fra arte e anatomia; Fra effetti speciali ed elettronica: la Pixar; I parchi di divertimento. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.