Grandi mostre. 1
Jasper Johns a Londra

QUALCOSA DI SIMILE
ALLA VERITÀ

Le curatrici dell’esposizione alla Royal Academy of Arts dedicata a Jasper Johns presentano qui il lavoro portato avanti da oltre sessant’anni dall’artista americano, un lavoro incentrato sul rapporto tra visione e percezione. L’abitudine nasconde la verità: per scoprirla è necessario recuperare un rapporto sensibile con la realtà.

Roberta Bernstein ed Edith Devaney

«La speranza è che baleni qualcosa di simile alla verità, un senso della vita o perfino di grazia, se non altro nell’opera»(1). Per più di sessant’anni Jasper Johns ha condotto un’intensa indagine sul mondo visivo e sulla reazione che questo scatena nell’uomo, in tutta la sua complessità psicologica, nutrendo un’incessante aspirazione verso «qualcosa di simile alla verità». L’arte di Johns è un promemoria sistematico di come questa verità non sia un fatto compiuto ma venga rivelata tramite i significati stratificati e mutevoli che emergono dal processo della percezione.

Le salde abitudini che regolano il vedere, il percepire e il pensare rendono la verità invisibile. Si ha un barlume di grazia quando i sensi si risvegliano e quando nuovi modi di approcciarsi al mondo, perfino agli oggetti ordinari, offrono uno scorcio di questa verità.

Johns è noto principalmente per le opere iconiche e influenti realizzate nel primo decennio della sua carriera. Tra queste vi sono dipinti e sculture che simulano elementi familiari come bandiere americane, bersagli, numeri arabi, lampadine o lattine di birra, opere dotate di chiarezza concettuale che guardano alla natura dell’oggetto artistico e sollevano interrogativi sul modo in cui la percezione plasma il significato. Pur mantenendo vivo questo interesse iniziale, Johns ha continuato a modificare ed espandere le sue immagini e strategie formali, e sempre più spesso si è concentrato su una vasta gamma di esperienze umane tra cui memoria, perdita emotiva, creatività, dubbio, infanzia e invecchiamento.

La forza visiva e intellettuale della sua produzione scaturisce da una simbiosi tra idea, forma e processo. Ha scelto di inserire la sua arte nelle categorie tradizionali di pittura, scultura, disegno e stampa: al loro interno ha adottato approcci innovativi, e molte opere annullano i confini tra una categoria e l’altra. Nei suoi primi dipinti si cimenta con l’encausto, un’antica tecnica a cera poco in uso negli anni Cinquanta. L’encausto asciuga più in fretta dei colori a olio e consente di creare superfici stratificate e con una forte componente tattile. Sviluppa anche un metodo personale per la realizzazione di collage, immergendo frammenti di carta o tessuto nell’encausto e fissandoli sulla tela così da aggiungere un’ulteriore presenza tangibile.

In scultura ha applicato le tecniche della modellatura e del calco, impiegando una varietà di materiali mutuati dal mondo delle belle arti come dall’hobbistica. Ha sfruttato l’intera gamma dei materiali da disegno e delle tecniche di stampa, e spesso li ha combinati insieme. 


Untitled (1992-1994), East Lansing (Michigan), Michigan State University, Eli and Edythe Broad Museum.

La forza visiva e intellettuale della sua produzione scaturisce da una simbiosi tra idea, forma e processo


In generale, disegni e stampe si ricollegano ai dipinti e alle sculture, indagano lo stesso soggetto in una forma diversa. In una fase successiva della sua carriera, con il rafforzarsi dell’interazione tra i vari media, le immagini generate dalle opere grafiche il più delle volte emergono nei dipinti.
La mostra Jasper Johns: “Something Resembling Truth” segue un’impostazione tematica con lo scopo di mostrare come immagini e concetti siano rivisitati e ricontestualizzati nel tempo all’interno della complessa produzione dell’artista. Per rimarcare questa idea, ciascuna sezione accosta esempi di opere giovanili e tarde, a volte con media diversi ma sempre incentrate sullo stesso soggetto. Le otto sezioni tematiche (che vediamo di seguito introdotte dal loro titolo) propongono una serie di approcci diversi all’opera di Johns, rivelando al contempo i loro rapporti reciproci.
“Cose che la mente già sa”. Nelle prime sale sono esposte variazioni di semplici oggetti e simboli che stanno alla base delle sue indagini sul rapporto tra vista e pensiero e sui significati mutevoli insiti anche negli oggetti e nei concetti più familiari.

Allo stesso modo, le sculture di oggetti comuni interrogano la natura delle «cose viste ma non osservate, non esaminate»(2). Tutti questi oggetti e simboli sono radicati nella nostra coscienza fin dall’infanzia, per usare la meravigliosa definizione di Johns, sono «cose che la mente già sa»(3). Si compongono inoltre di elementi astratti caricati di significati e associazioni che variano a seconda dell’osservatore.

“Il dipinto come oggetto”. Agli inizi della sua carriera, Johns assume una posizione anti-illusionista enfatizzando lo status del dipinto come puro oggetto e ponendo l’attenzione sugli elementi materiali e tangibili (tela, telaio, vernice, collage) e sulle proprietà formali (colore, forma, linea, spazio, dimensioni). Vi sono oggetti applicati alle opere che sporgono dalla superficie, o come nel caso di Painting with Two Balls (1960) la squarciano rivelando la parete retrostante, per incoraggiare a vedere il dipinto come un oggetto a pieno titolo e non come una finestra su qualcos’altro. Sebbene dia la precedenza alla natura materiale dell’opera d’arte, Johns mantiene una componente di mistero (Canvas, 1956; Disappearance I, 1960).


Flag (1958).

“Parole e voci”. Oltre a introdurre e analizzare gli elementi chiave di un dipinto, Johns esamina con analogo rigore il ruolo del linguaggio nell’arte presentando le ventisei lettere dell’alfabeto come i “mattoni” della comunicazione e le parole come segni portatori di significati ambigui. Le parole sono isolate dal contesto grammaticale in dipinti come The (1957), No (1961), Liar (1961) e Voice (1964-1967). Johns ricorre a termini comuni caricati di potenziale per indagare il processo con cui la lingua evoca vari significati e il suo legame con l’arte visiva. Un’interpretazione del suo utilizzo della parola “voce” è che l’artista, come veicolo di espressioni creative diverse dalle proprie, sia una sorta di ventriloquo visuale: pertanto l’arte di Johns è costellata di allusioni ad artisti precedenti nonché a poeti e scrittori.

“In studio”. Johns evoca l’industriosità dello studio di un artista incorporando nei dipinti gli oggetti con cui si realizzano quelle stesse opere: pennelli, righelli, stecche di telai, stracci, tavolozze. Questi strumenti richiamano l’attenzione sui processi fisici e sulle tensioni psicologiche correlati alla produzione artistica. Nell’ambiente ermetico dello studio, i rituali quotidiani si fondono con l’intensità della vita creativa. Gli oggetti passano dalla casa allo studio: un barattolo di caffè viene convertito in un recipiente per pennelli; le posate vengono usate per raschiare e mescolare.

Nelle opere di questa sezione echeggia l’idea di Wittgenstein secondo cui «il significato di una parola è il suo uso nel linguaggio»(4).


Between the Clock and the Bed (1981).


Fool’s House (1961-1962).

Lo scorrere del tempo costringe a riflettere sulle ambiguità della memoria e sull’ineluttabilità della morte


“Tempo e transitorietà”. Lo scorrere del tempo è un soggetto ricorrente nell’opera di Johns e costringe a riflettere sui momenti di transizione da uno stato all’altro, sulle ambiguità della memoria e sull’ineluttabilità della morte. Questo tema assume particolare rilievo negli anni Settanta, con un gruppo di dipinti in cui i motivi astratti e lineari del tratteggio incrociato sono configurati in composizioni intricate ricorrendo a strategie formali quali ripetizioni, viste speculari, rotazioni e arabeschi. Il gruppo di opere Between the Clock and the Bed prende il nome da uno degli ultimi dipinti di Edvard Munch, un autoritratto del 1940-1943 che contempla le realtà dell’invecchiamento e della morte.

“Frammenti e volti”. Nella produzione di Johns, la figura umana appare quasi sempre per frammenti, il che conferisce alle sue figure un aspetto inquietante anche quando sono presentate sotto forma di oggetti. Le figure derivano sempre dal corpo umano: abbiamo calchi in gesso o in cera, impronte (mani, braccia, piedi, teste, busti), riproduzioni fotografiche e, più tardi, ricalchi o reinvenzioni di immagini tratte dall’opera di artisti precedenti e altre fonti. I suoi primi soggetti, del 1955, includono calchi di parti anatomiche dai colori sgargianti installati in nicchie. Nella categoria dei frammenti di figure, i volti hanno un ruolo centrale e ricorrono in tutta la produzione dell’artista.

“Stagioni e cicli”. Un’ulteriore riflessione su se stesso emerge con chiarezza nella serie principale di dipinti del 1985-1986 e nelle relative grafiche, i cui titoli rimandano alle quattro stagioni. Qui, usando la cornice metaforica del ciclo della natura, Johns presenta le fasi della vita passando dall’infanzia alla maturità per finire con il declino e la vecchiaia. Una costante è il ricalco della sua ombra, collocata in pose diverse in ciascuna composizione.

“Ricalchi di memoria”. La mostra si conclude con alcune opere incentrate sul rapporto tra memoria e mortalità. Le immagini materne sono suggerite dal volto in stile surrealista di una donna i cui lineamenti si spingono verso i margini della cornice rettangolare. Johns si ispira in parte all’opera di Picasso Donna con cappello di paglia (1936) e in parte al ricordo ben radicato di un disegno che aveva visto anni prima in un articolo dello psicologo infantile Bruno Bettelheim. Riferimenti specifici all’infanzia dell’artista si ritrovano in molte di queste opere (Montez Singing, 1989-1990; Untitled, 1992-1994). Johns continua a usare il ricalco come un processo che sfuma i confini tra astrazione e rappresentazione e come un mezzo per esaminare il funzionamento delle immagini quando sono «private di illusionismo, ridotte a uno schema»(5). Gli ultimi ricalchi sono collocati di fronte alle opere giovanili più letterali, per ricordare all’osservatore la costanza del virtuosismo e dell’integrità di Johns pur nella varietà della sua produzione. I complessi motivi astratti delle opere più recenti in esposizione hanno uno scopo che li accomuna alle bandiere e ai bersagli immediatamente riconoscibili: quello di mettere in discussione e sfidare il modo in cui l’atto del vedere plasma ed è plasmato dal pensare e dal sentire. È in questo processo volto a indagare la mutabilità della percezione che l’artista aspira a svelare «qualcosa di simile alla verità».


Summer (1985), New York, MoMA - Museum of Modern Art.

Questo articolo è un estratto-sintesi di un testo di Roberta Bernstein ed Edith Devaney, qui tradotto da Manuela Faimali, pubblicato nel catalogo della mostra Jasper Johns: “Something Resembling Truth” (Londra, Royal Academy of Arts, 23 settembre - 10 dicembre 2017), a cura di Roberta Bernstein ed Edith Devaney, Londra 2017.


(1) R. Shiff, Flicker in the Work: Jasper Johns in Conversation with Richard Shiff, in “Master Drawings”, 44, 3, autunno 2006, p. 297.

(2) Jasper Johns: Writings, Sketchbook Notes, Interviews, a cura di K. Varnedoe e C. Hollevoet, New York 1996, p. 108.

(3) Ivi, p. 82.

(4) L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, Torino 1993, p. 33.

(5) The Drawings of Jasper Johns, catalogo della mostra (Washington, National Gallery of Art, 20 maggio - 29 luglio 1990), a cura di N. Rosenthal e R. E. Fine, Washington 1990, p. 75.

Jasper Johns: “Something Resembling Truth”

Londra, Royal Academy of Arts
a cura di Roberta Bernstein, Edith Devaney
fino al 10 dicembre
orario 10-18, venerdì 10-22
catalogo Royal Academy of Arts
www.royalacademy.org.uk

ART E DOSSIER N. 347
ART E DOSSIER N. 347
Ottobre 2017
In questo numero: AUTUNNO, TEMPO DI MOSTRE Jasper Johns a Londra, Marino Marini a Pistoia, Magritte a Bruxelles, Paul Klee a Basilea, Mägi a Roma, Caravaggio a Milano, Il Cinquecento a Firenze, I Longobardi a Pavia.Direttore: Philippe Daverio