Grandi mostre. 2
Marino Marini a Pistoia

IO SONO ETRUSCO!

Ha esplorato il mondo, è rimasto affascinato dalla modernità ma senza rinunciare alle proprie radici. Marino Marini, protagonista di un’ampia retrospettiva a Palazzo Fabroni, ha sempre tenuto vivo il senso di appartenenza alla Toscana, sua terra natale, e al popolo che la abitava in tempi remoti.

Maria Teresa Tosi

«No, io non sono ispirato [dall’arte etrusca]: io sono etrusco!...».
È con questa frase che Marino Marini (1901-1980) si presenta, è con questa frase che vuole essere conosciuto e ricordato, sottolineando la ferma volontà di legarsi alle proprie radici che sente profondamente e che trasla nelle sue opere. Allo stesso tempo afferma: «Agisce molto essere lontano dal paese e ritornare al proprio paese; allora, vedo la verità delle cose molto più prepotentemente di quando ci sto. Quindi questo bisogno di uscire continuo è proprio per capire meglio quello che c’è da capire, di più che non stando in contatto». Sottolinea in questo modo la volontà di ricerca, la voglia di esplorare il nuovo, la curiosità per il diverso da sé proprio per meglio comprendersi. Marino unisce in se stesso una doppia anima, arcaica e moderna, proiettata verso il futuro. Affascinato dalle antiche civiltà ancora “in nuce” - perché essenziali e pure, ancora libere da sovrastrutture sociali complesse -, lo è allo stesso modo dalla modernità in atto, dalle linee pulite, dai nuovi mondi e dai nuovi materiali.

Essere etrusco significa per Marino asciuttezza ed essenzialità, primitivismo


L’artista toscano resterà sempre legato alla sua città natale tanto da fargli affermare: «Pistoia è la città dove sono nato, […] è in me, anzi, insegna anche qualcosa, un certo ordine gotico, una certa struttura, una certa costruzione medioevale. Ci sono delle bellissime cose a Pistoia, di primissimo ordine, cominciando dal Pisano. Certamente l’artista italiano nasce con questa grande tradizione sulle spalle ed è una grande fatica perché è difficile misconoscerla». Ha però bisogno di spostarsi verso Milano, «la più europea delle città italiane» per trovare, per contrasto, il dinamismo giusto per lavorare. È attratto dallo stile espressionista, anticlassico che trova la sua sublimazione nei Miracoli, nei Gridi e nelle Composizioni di elementi così come in certi ritratti. Pensiamo, per esempio, a quelli dedicati al volitivo Ludwig Mies van der Rohe o allo sfuggente Henry Miller del quale ha dovuto realizzare il ritratto in soli dieci minuti dopo un’infinità di schizzi.


Coperchio di urna cineraria etrusca bisoma, con un defunto e Vanth (400-380 a.C.), Firenze, Museo archeologico nazionale.

Tutto questo non basta ancora a sviscerare la personalità poliedrica di Marino Marini; nonostante gli innumerevoli saggi critici scritti su di lui già dagli anni Trenta, mancava ancora un serio lavoro di contestualizzazione storica e stilistica della sua ricerca. La Fondazione Marino Marini di Pistoia - per collocare dunque nella giusta prospettiva la sua vicenda artistica nell’ambito della storia dell’arte del Novecento - ha sentito l’esigenza di organizzare una grande mostra che ripercorresse le fasi fondamentali della sua opera a partire dagli anni Venti fino agli anni Sessanta. I curatori Flavio Fergonzi e Barbara Cinelli hanno indagato questa parabola artistica ponendola in relazione con quelle che loro stessi hanno definito «le passioni visive» di Marino. In questa ambiziosa operazione culturale si è cercato di ricostruire la visione estetica dell’artista ma anche il suo concetto del “divenire” della storia.

Nelle dieci sezioni in cui è suddivisa la mostra sarà possibile ammirare esempi di scultura egizia, greco arcaica, etrusca o di antica dinastia cinese, passando dall’arte medievale fino ai grandi maestri del Novecento. Marino ha sicuramente seguito con emozione il ritrovamento dell’Apollo di Veio avvenuto nel 1916 e come tanti della sua generazione lo ha probabilmente investito di molti significati simbolici oltre che storicoartistici. Durante i suoi anni giovanili ha visitato il Museo archeologico nazionale di Firenze dove frequentava l’Accademia di belle arti insieme alla sorella Egle, e in quella città dove si sentiva «soggiogato da tanta bellezza» ha sicuramente costruito le proprie basi, il proprio pensiero critico ed estetico. Insieme a Pistoia, culla dolcissima dei primi anni formativi, Firenze gli ha donato un senso viscerale di appartenenza a una “toscanità dell’anima”: essere “etrusco” significa per Marino asciuttezza ed essenzialità, primitivismo. Lo stesso primitivismo che riconosce nella Grecia arcaica, sintesi di Mediterraneo, una forma che egli riassume come «cilindrica, un sole in terra».


Arte cinese, Cavallo del Fergana (Uzbekistan) (dinastia Tang, inizio 618-907 d.C.).

Un Cristo di scuola francese del Duecento, appartenuto a Marino, viene posto a confronto con un suo Icaro e con due dei suoi Giocolieri. Gli anni Quaranta vengono affrontati mostrando opere nelle quali è ben presente la rivisitazione della lezione di Rodin per misurarsi poi, nel dopoguerra, con l’esistenzializzazone della forma. Una svolta probabilmente dovuta al suo incontro con la scultrice Germaine Richier con la quale lavora a lungo durante il triste periodo di allontanamento dall’Italia a causa della guerra.

Oltre all’influenza della Richier, Marino, sempre nello stesso periodo, sembra guardare al drammatico realismo di Donatello, una evidenza stilistica posta in essere dal confronto fra il Busto di Niccolò da Uzzano e le sue opere dolenti fra cui l’Arcangelo del 1943.

Dopo la guerra, una certa ricerca di astrazione diviene evidente, in Marino, e in una sala sono raccolte alcune delle opere che lo hanno posto nell’Olimpo degli scultori figurativi del Novecento, con un emozionante confronto con cavalli e cavalieri delle civiltà mediterranee e dell’antica Cina. Nella sezione dedicata ai ritratti, genere in cui Marino è annoverato tra i maggiori scultori del Novecento, sono poste in suggestiva contrapposizione teste di autori arcaici e moderni in muto dialogo con le sue opere. L’artista, sempre nel dopoguerra, reinventa il linguaggio della ritrattistica passando da un’impostazione classica a una scomposizione del volto e a una ricerca dell’unicità espressiva.

Ritroveremo infine di nuovo il tema del cavaliere ormai disarcionato, ridotto a forma senza vita e a pura ricerca spaziale. E qui si svolge, necessario, il confronto con il lavoro di Henry Moore e Pablo Picasso, inaspettato ma non meno significativo del parallelismo con la drammaticità di Giovanni Pisano, una lezione plastica di forte umanità che Marino non ha mai dimenticato.


Guerriero (1958-1959), Milano, Fondazione Arnaldo Pomodoro.

Marino Marini. Passioni visive

Pistoia, Palazzo Fabroni
a cura di Barbara Cinelli e Flavio Fergonzi
fino al 7 gennaio 2018
orario 10-18, chiuso il martedì e il 25 dicembre
catalogo Silvana Editoriale
www.fondazionemarinomarini.it

ART E DOSSIER N. 347
ART E DOSSIER N. 347
Ottobre 2017
In questo numero: AUTUNNO, TEMPO DI MOSTRE Jasper Johns a Londra, Marino Marini a Pistoia, Magritte a Bruxelles, Paul Klee a Basilea, Mägi a Roma, Caravaggio a Milano, Il Cinquecento a Firenze, I Longobardi a Pavia.Direttore: Philippe Daverio