GLI ESORDI DI UN ARTISTADA RISCOPRIRE

Marino Marini gode, nella storia della scultura italiana, di una posizione privilegiata. La grande esposizione romana del 1966 a Palazzo Venezia

sanciva una rinomanza internazionale che a partire dal secondo dopoguerra non aveva conosciuto flessioni, e aveva portato le sue opere nei maggiori musei dell’Europa e degli Stati Uniti(1). Ma proprio in questa straordinaria fortuna deve essere individuato il maggior ostacolo a una corretta comprensione critica dell’artista, poiché sulla complessità dei suoi inizi e delle sue successive sperimentazioni è stata ribaltata una lettura tanto seducente quanto semplificata, che ha determinato una riduzione della sua personalità all’immagine dello scultore di “cavallini” e “Pomone”, e ha costruito per lui il mito dell’artista “fuori dal tempo”, nutrito soltanto del suo genio, impermeabile a ogni scambio con i dibattiti contemporanei(2)

Una posizione questa che appare ancora più incomprensibile a fronte della complessità storica delle epoche che Marino ha attraversato: momenti significativi della storia italiana, dei quali egli ha scandito, con le sue opere, fratture, tensioni e conquiste. Giovane promessa della scultura negli anni Trenta, quando il fascismo promuoveva attraverso le esposizioni nazionali un rapporto organico tra gli intellettuali e le arti; cauto e sensibile nel tempestivo dissenso dalla retorica del regime quando questo si avvierà a posizioni di chiusura politica e culturale; capace, durante gli anni terribili della guerra, di infondere alle opere eseguite nell’esilio svizzero la compassione per una umanità dolente; e infine ambasciatore, a partire dal 1948, di una ritrovata modernità dell’arte italiana, di cui sarà protagonista riconosciuto in Europa e in America. 

Questo percorso non poteva avvenire nell’isolamento, se non a prezzo di un esaurirsi della tensione immaginativa e un ripiegamento su formule stereotipe; fu dunque proprio l’intelligenza visiva con cui Marino seppe attraversare la sua epoca, e comprendere le sollecitazioni di volta in volta presenti nel suo ambiente, a garantire la lunga gittata della sua carriera d’artista, dagli anni Trenta agli anni Sessanta del secolo scorso.


Busto di prelato (1927), cera e gesso; Roma, La Galleria nazionale.


Arte etrusca, Canopo in impasto buccheriale (prima metà del VI secolo a. C.); Firenze, Museo archeologico nazionale.

(1) Mostra di Marino Marini (Roma, Palazzo Venezia, 10 marzo-10 giugno 1966), a cura di G. Carandente, Roma-Milano 1966; un nutrito elenco della rassegna stampa è in Marino Marini, Catalogo ragionato della scultura, saggio introduttivo di G. Carandente, Milano 1998, ad annum.
(2) Un primo tentativo di riconsiderare la personalità di Marino Marini con una metodologia filologicamente corretta è in E. Pezzetta, Episodi della scultura italiana, 1948-1958. Marino Marini, Alberto Viani, Luciano Minguzzi, dottorato di ricerca in Storia dell’arte, XXIV ciclo, Università degli studi di Udine, A.A. 2012-2013.

Nel 1927 Marino, pistoiese di nascita, prende studio in via degli Artisti a Firenze, la città dove dieci anni prima aveva iniziato un percorso accademico frequentando i corsi di disegno e pittura di Galileo Chini; entra nel gruppo del Novecento toscano, approdo naturale per un giovane che guarda con attenzione alla possibilità di combinare sensibilità moderna e gusto fedele della tradizione(3)

I suoi modelli sono la scultura fiorentina del Quattrocento e la plastica etrusca, e la consonanza delle sue prime opere col clima corrente della produzione artistica è confermata dalla presenza alla seconda Mostra del Novecento del 1929 di Il prete. In quella rassegna, che Margherita Sarfatti intendeva come vetrina della modernità nazionale, poteva ben apparire esemplare un ritratto che confermava l’eccellenza tutta italiana di questo genere. Ma il giovane Marino sceglie un materiale antiaccademico, la cera, che gli consente di trattare pittoricamente le superfici in sottile antagonismo con le intenzioni della statuaria ufficiale; e anche la dichiarata citazione dai busti di scuola verrocchiesca e dai buccheri etruschi, viene trattata come una autonoma combinazione di fonti non coerenti sul piano visivo per ottenere un inedito esito ironico: la sottolineatura del costume e della tornitura del busto deporrebbe a favore di una intenzione aulica, ma viene poi contraddetta dal ricorso alla fonte più popolare del piccolo vaso di terra, da cui si desume la fisionomia con gli occhi a fessura e il rigido innesto del volto sul collo. 

Analogamente il gesso di Ersilia, di poco più tardo, che nel 1941 Filippo de Pisis definiva un «felice tentativo di poetizzazione di certi aspetti della vita borghese»(4), rivela tangenze con la cordiale naturalezza di Ardengo Soffici; ma pure segna, rispetto a quelle immagini domestiche, una più severa costruzione plastica, nella serrata articolazione del busto e delle braccia che si chiudono sulle ginocchia rigidamente impostate. 

L’interesse per la sperimentazione di tecniche e materiali e per un confronto non convenzionale con le fonti visive del passato è confermato dalla terracotta Popolo che grazie a una fotografia pubblicata nel 1936 dal critico francese Paul Fierens, cui si deve un primo e precoce riconoscimento del giovane scultore, possiamo conoscere nel suo stato originario del 1929, prima delle modifiche intervenute a partire dagli anni Quaranta(5). Componendo ancora una volta istanze di realtà e di tradizione, Marino declina in una versione rurale e contemporanea l’arcaismo delle urne cinerarie con le coppie dei defunti, e testimonia insieme la sua adesione alla fortuna contemporanea della terracotta: la suggestione etrusca e l’attenzione alla materia fittile cooperano nella ricerca di un linguaggio alternativo alla scultura ufficiale di grandi dimensioni, attento ai valori cromatici della superficie, orientato verso un realismo che il rimando a una età italica preromana libera dai rischi della retorica ottocentesca(6).


Popolo (1929), primo stato, terracotta. L’immagine qui riprodotta dell’opera non più esistente è tratta dal volume P. Fierens, Marino Marini, Milano 1936. L’aspetto originario di Popolo fu alterato da Marino in due fasi successive. In un primo momento eliminò le due mani; tra il 1953 e il 1962 quello che restava delle braccia, lasciando emergere la cavità in corrispondenza del busto femminile. La scultura così modificata è oggi visibile al Museo del Novecento di Milano (vedi p. 9, in alto). Questa soluzione finale rimuove ogni allusione a contenuti narrativi, ben presenti nel doppio ritratto del 1929, e si accorda agli interessi più tardi dell’artista che intendeva proporsi come scultore attento a valori principalmente plastici.


Ambito di Andrea del Verrocchio, Busto di Piero di Lorenzo de' Medici (1488 circa), terracotta dipinta; Firenze, Museo nazionale del Bargello.


Ersilia (1931), prima versione, terracotta e legno. L’immagine qui riprodotta dell’opera non più esistente è tratta dal volume L. Vitali, Marino Marini, Milano 1937.

(3) Una buona informazione di base sul Novecento toscano resta a tutt’oggi il testo di M. Pratesi, G. Uzzani, La Toscana, Venezia 1991.
(4) F. de Pisis, Marino Marini, Milano 1941, s.p.
(5) P. Fierens, Marino Marini, Parigi-Milano 1936.
(6) Su questi temi si veda F. Fergonzi, Arturo Martini e le ricerche sulla terracotta nei primi anni Trenta, in “Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, Classe di Lettere e Filosofia”, 3 serie, 16,1986, 3, pp. 895-930.

Popolo (1929), terracotta; Milano, Museo del Novecento.


Ardengo Soffici, La toeletta del bambino (1923); Roma, La Galleria Nazionale.

MARINO MARINI
MARINO MARINI
Barbara Cinelli
La presente pubblicazione è dedicata a Marino Marini (Pistoia, 1901 - Viareggio, 1980). In sommario: Gli esordi di un artista da riscoprire; L'architettura delle forme, l'alba dei Cavalieri, la conquista delle emozioni; Un nuovo Marino; Tra Italia e Stati Uniti; In dialogo con la contemporaneità; Marino ritrattista. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.