Il Museo immaginario


L’INVENTORE
DI METROPOLIS

di Alfredo Accatino - Il Museo Immaginario
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Un viaggio alternativo nell’arte del Novecento, alla riscoperta di grandi artisti, di opere e storie spesso dimenticate: Paul Citroen

Non sempre. Ma, una volta su un milione, può capitare che uno studente, preparando le tavole per la mostra di fine anno della sua classe, dia l’ispirazione per la creazione di uno dei capolavori di tutti i tempi.

Ma andiamo per ordine. Nato nel 1896 da una famiglia olandese di origine ebrea emigrata in Germania che gestisce a Berlino un piccolo negozio con annesso laboratorio di conciatura, a soli diciassette anni Paul Citroen capisce che non potrebbe mai fare né il commerciante né l’artigiano. Ci prova, lo giuro, ma proprio non ci riesce. Sino a quando litiga a tavola, fa il classico fagotto e scappa di casa tra le urla dei genitori (il padre non accetterà mai questa scelta), ben deciso a divenire un artista, e ad apprendere i segreti della pittura e della fotografia. Un po’ come Pinocchio che sognava di «imparare a scriver e a far di conto».

Testardo lo è di sicuro. Ma ha anche la fortuna di abitare a Berlino, nel primo ventennio del Novecento. Come dire ad Atene nell’età di Pericle. O a Porto Cervo ai tempi di Briatore. Dopo i primi fiaschi, trascinato dalla corrente, finisce quindi per imbattersi nel 1918 nella celebre Galleria Der Sturm, dove conosce George Grosz, e ad aderire al movimento Dada. Si fa subito notare per la sua intelligenza e per il suo carattere da leader, tanto da essere nominato direttore della centrale Dada di Amsterdam.

Lavora quindi al fianco di Erwin Blumenfeld che gli insegna i trucchi del fotomontaggio e, una volta superato l’esame di ammissione al Bauhaus, diventa allievo di Paul Klee, Vasilij Kandinskij, Johannes Itten e Hannah Höch. Una formula chimica che non si sarebbe mai più ripetuta nel tempo.

È proprio qui, nella sede dello Staatliche Bauhaus di Weimar, tra il luglio e il settembre del 1923, in occasione della esposizione degli allievi, che Paul presenta le sue tavole di fotomontaggi. Ognuna è composta da circa duecento palazzi, ritagliati da cartoline e riviste, agglomerati per esplorare il tema della città “Die Stadt”, da lui chiamata appunto Metropolis (da “mater” e “polis”, città madre, città della nascita).

Un progetto ambizioso, stimolato dalle sperimentazioni di Raoul Hausmann, altro genio incredibilmente sottovalutato, che proprio della tecnica del fotomontaggio è stato l’inventore. Si tratta di una visione maestosa e apocalittica che presagisce la nuova forma della città, quasi fosse un organismo vivente.

Sono queste le immagini che colpiscono fortemente il regista e sceneggiatore Fritz Lang (Vienna 1890 - Beverly Hills 1976) che era stato invitato da Gropius a visitare la ormai celebre “mostra didattica” di fine anno.

Quelle città tumultuose, quegli scenari futuribili e apocalittici sembrano completare l’ispirazione che egli sta già maturando, dopo aver visto in aereo New York di notte, solo pochi giorni prima, quando vi si era recato per la prima dei Nibelunghi. Ecco. Quelle immagini gli fanno capire che anche in Europa il futuro batte alle porte. Tanto che Lang deciderà di dare al film, che uscirà tre anni dopo, lo stesso nome di quel progetto. E i fotomontaggi serviranno di ispirazione alle scenografie di Otto Hunte, Erich Kettelhut, Karl Vollbrecht e, in seguito, al poster di lancio disegnato da Boris Bilinskij.

La produzione impegnò la troupe per trecentodieci giorni di riprese e sessanta notti per seicentovenitimila metri di pellicola. Erich Pommer e la casa di produzione Ufa (Universum-Film Aktien Gesellschaft) non badarono a spese, assoldando otto attori di primo piano, trentaseimila comparse (venticinquemila uomini, undicimila donne) tra le quali millecento comparse calve e settecentocinquanta bambini.


Paul Citroen, Metropolis (1922-1923), particolare.

Poster di lancio disegnato da Boris Bilinskij per il film Metropolis.


Frame da Metropolis, (1927) di Fritz Lang.

L’investimento superò i 5 milioni di marchi e il film, nonostante il successo negli Stati Uniti, fu sostanzialmente un flop, tanto che la Ufa andò in bancarotta e venne trasformata nel canale propagandistico di Hitler. Il quale, paradossalmente, considerò invece Metropolis il suo film preferito, nonostante la pellicola mettesse in guardia da temi come manipolazione delle masse e campi di lavoro.

Dal punto di vista tecnico, nel 1927 Lang sperimentò ogni possibile innovazione tecnica, con riprese strabilianti per l’epoca, come il cosiddetto “effetto Schüfftan”, inventato dal fotografo Eugen Schüfftan. Un sistema che permetteva di proiettare fondali dipinti per mezzo di specchi inclinati a 45 gradi: lo specchio poteva essere grattato in più parti, in modo tale che lo sfondo comparisse solo in alcuni punti della pellicola.
Nelle restanti parti si potevano poi usare scenografie tradizionali e attori in carne e ossa, con uno straordinario effetto di realtà, come nelle sequenze della Torre di Babele e nelle viste aeree.
Metropolis ha introdotto nel cinema d’autore anche il “passo uno”, cioè il sistema di ripresa per singoli fotogrammi, utilizzato per esempio dal cartone animato. Non esistendo tecniche di “editing” adatte, le scene con esposizioni multiple furono realizzate direttamente sul posto, riavvolgendo la pellicola e filmandovi sopra più volte, in alcuni casi anche per trenta passaggi.
Vent’anni dopo, conclusa la repressione nazista che fortunatamente lo risparmia, Paul Citroen può ritornare a esprimersi, confermando un grande talento, tra i più interessanti esponenti della cultura delle avanguardie. Insieme a Charles Roelofsz fonda la Nieuwe Kunstschool ad Amsterdam per poi divenire docente presso l’Accademia reale. Ma ha perso la capacità propulsiva ed esplosiva dei primi anni. O forse vuole solo trasmettere, ad altri come lui, ciò che ha imparato. Smesso l’insegnamento continuerà a dipingere, ritornando al figurativo, banalizzando forme e visioni, come a volte succede ai grandi.
Morirà nel 1983 a Wassenaar, una piccola città costiera dei Paesi Bassi, dove ama passeggiare sulla spiaggia e resistere alla forza del vento. In qualche modo vive, però, in ognuna delle nostre città.

ART E DOSSIER N. 344
ART E DOSSIER N. 344
GIUGNO 2017
In questo numero: MOSTRE PER L'ESTATE Hirst a Venezia, Indiana a Lugano, Documenta ad Atene, Giacomelli a Bergamo, Il colore a Rivoli e a Torino. Picasso a Parigi e a Napoli, Sassoferrato a Perugia, Il Colosseo a Roma. Bergamo celebra Baschenis. In ricordo di Kounellis. Direttore: Philippe Daverio