UNO SCRITTORE
MANCATO

Quando parlavano di lui, i suoi contemporanei distinguevano tra le due personalità, quella dell’“artista” e quella dell’“apostolo”.

telemaco Signorini, oltre a essere stato insieme a Giovanni Fattori e a Silvestro Lega il protagonista del movimento dei macchiaioli anche dopo la sua evoluzione verso il naturalismo, fu, con Adriano Cecioni e Diego Martelli, la vivace coscienza critica del guppo. Era stato infatti il primo a elaborare consapevolmente un nuovo modo di vedere, rappresentare e interpretare la realtà, inventando quel procedimento della Macchia che, qualche anno prima delle rivoluzionarie sperimentazioni degli impressionisti francesi, aveva sconvolto le regole accademiche tradizionali.

«Non fu altro», precisò con la consueta chiarezza, «che un modo troppo reciso del chiaroscuro, ed effetto della necessità in che si trovarono gli artisti di allora di emanciparsi dal difetto capitale della vecchia scuola, la quale, ad una eccessiva trasparenza dei corpi, sacrificava la solidità e il rilievo dei suoi dipinti». Scrittore per vocazione, di quella grande razza dei toscani nitidi e mordaci come i contemporanei Carlo Collodi e Renato Fucini, seppe sempre difendere con invidiabile forza polemica le proprie scelte e quelle dei suoi compagni di strada, senza peraltro prendersi e prenderli mai troppo sul serio. Fu notato che non c’era «nulla di sacro per quella bocca infernale dai bei denti d’ebano». E infatti come una specie di squalo dalla dentatura smisurata e affilata lo aveva rappresentato nel 1867 l’amico Cecioni nella sua celebre rappresentazione satirica del Caffè Michelangelo, il leggendario luogo di riunione a Firenze dei macchiaioli. Mentre risale al 1893 la divertente rievocazione di Signorini, attraverso l’inconsueto registro della deformazione caricaturale, dell’epopea, ormai lontana, di quella rivoluzione rimasta senza seguito. I macchiaioli, diventati i grandi sconfitti della pittura italiana dell’Ottocento, furono da lui ricordati in maniera irriverente, forse proprio per evitare i rischi di una visione nostalgica, nella limpida prosa di Caricaturisti e caricaturati al Caffè Michelangelo.


L’alzaia (1864), particolare.

Signorini seguì nella sua brillante attività di critico militante sulle riviste dell’epoca - soprattutto “Il Gazzettino delle Arti del Disegno” creato nel 1867 («visse solo un anno», ricorderà, «agitando il mondo artistico») con l’amico Martelli - e di memorialista - l’appena citato Caricaturisti e caricaturati al Caffè Michelangelo - quella vocazione letteraria cui aveva dovuto rinunciare per diventare pittore. Nella fondamentale Lettera informativa inviata nel 1892 al presidente dell’Accademia di belle arti di Firenze, che richiestagli in occasione del conferimento del diploma a socio onorario rimane il più compiuto dei suoi scritti autobiografici, ricordava come, per gli obblighi che comportava essere figlio d’arte (nel caso specifico addirittura dell’abile vedutista Giovanni, pittore del granduca di Toscana), nella sua «prima giovinezza, per quanto avessi predilezione allo studio delle lettere piuttosto che a quello dell’arte, dovetti obbedire a mio padre e studiar pittura».
In questa memoria Signorini, considerandosi ormai verso la fine della sua straordinaria parabola artistica, tentava un sintetico, ma eloquente, bilancio di una carriera che, dopo i primi difficili ma esaltanti inizi, era stata costellata da continue e più o meno controverse partecipazioni alle maggiori esposizioni nazionali, tra Firenze, Torino, Milano, Parma, Napoli e Venezia, e internazionali, tra Vienna, Parigi e Londra, dai molti riconoscimenti e premi ottenuti in quelle stesse occasioni, come nel caso dell’Alzaia esposta e insignita della medaglia d’oro a Vienna nel 1873, e dal favore del mercato.


Adriano Cecioni, Il Caffè Michelangelo (1867 circa).

Sul versante dei significativi acquisti “ufficiali”, la sua fortuna risulta precoce, come dimostra la duplice acquisizione, all’esposizione della Società Promotrice fiorentina del 1860, di due capolavori di una pittura di battaglie non certo celebrativa, ma piuttosto alternativa. L’artiglieria toscana a Montechiaro salutata dai francesi feriti a Solferino venne acquistato dal principe di Carignano, mentre l’Alt di granatieri a Calcinatello dalla ricca e prestigiosa Società degli artisti di Milano. Mentre è Signorini stesso a ricordare il felice esordio a livello internazionale, quando, riferendosi al «1873-1874, fui a Parigi dal De Nittis e fui a Londra con lui la prima volta, poi tornato a Parigi, rimasi vari mesi nella campagna di Seine et Marne a Combes-la-Ville in compagnia di Boldini e dipinsi in quella campagna per i negozianti Goupil e Reitlinger». Dopo essere stato uno dei tanti italiani passati nella scuderia di Goupil, finirà con il conquistarsi in Scozia e Inghilterra un suo più preciso e qualificato mercato. In realtà l’interesse dei collezionisti inglesi per Signorini è stato molto precoce, con Il ritorno dalla capitale acquistato da Joseph Middleton Jopling alla Promotrice del 1860, ma sarà concentrato e passerà attraverso i nuovi galleristi soprattutto negli anni Ottanta, quando ricorda, sempre nella Lettera informativa, l’acquisto del Ponte vecchio da parte del «negoziante Visart» (William Vizard, titolare della Vizard’s Fine Art Gallery, North Parade), da lui definito «degno eroe di Dickens», nel 1881. Ricordava poi che «nel 1884 tornai a Parigi e Londra e in questa città esposi pubblicamente e privatamente i miei lavori. Diverse marine dipinte a Riomaggiore esposi all’Accademy e al Grosvenor, e venti tele, rappresentanti tutte venti motivi tolti dal nostro vecchio mercato, esposi privatamente in Annover Square in casa di un tal sig. Lucas, e tutti ebbi la fortuna di venderli».
Le tracce fornite dalla Lettera informativa e dagli altri scritti autobiografici vanno integrate con quella straordinaria e particolarissima testimonianza dell’attività critica e della fortuna in vita dell’artista rappresentata dallo Zibaldone, lo straordinario “grande volume” di ritagli conservato alla Galleria d’arte moderna di palazzo Pitti a Firenze e finalmente reso più disponibile agli studi dalla recente ristampa in fac-simile. Nel corso degli anni Novanta Signorini vi aveva raccolto, ritagliandoli e incollandoli dai periodici dove erano comparsi, i propri articoli, in modo da ricostruire, fatta eccezione per “il Gazzettino delle Arti del Disegno”, tutta la sua attività di critico d’arte, dalla recensione pubblicata il 19 ottobre 1862 su “La Nuova Europa” alla relazione a stampa della commissione del concorso ai due premi di pittura della Fondazione Fumagalli di Milano datata 17 settembre 1900. A questi suoi scritti sono alternati altri ritagli, sempre dai periodici dell’epoca, relativi invece ai giudizi espressi tra il 1862 e il 1891 sulla sua produzione letteraria e soprattutto pittorica, con il preciso intento dunque di documentare la propria fortuna critica attraverso gli interventi che aveva ritenuto più significativi e cercando, in diversi casi, di ricostruire il dibattito suscitato da alcune opere presentate alle esposizioni.



Alt di granatieri a Calcinatello (1860).

Il ritorno dalla capitale (1859-1860).

SIGNORINI
SIGNORINI
Fernando Mazzocca
La presente pubblicazione è dedicata a Telemaco Signorini (Firenze, 18 agosto 1835 - Firenze, 10 febbraio 1901). In sommario: Uno scrittore mancato; La rivoluzione della macchia; Il grande realismo di denuncia della condizione umana; Il sentimento della natura. Ritorno alla pittura en plein air; La fortuna delle vedute urbane tra Edimburgo e Firenze; La natura come rifugio tra Settignano e Riomaggiore; La consacrazione di uno spirito ribelle. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.